Abiti, gioielli,
profumi: questi i tre settori creativi che hanno
contraddistinto il tocco di Christian Dior,
il couturier a cui va il plauso d’aver riportato in auge nel secondo dopoguerra
una moda femminile, sontuosa ed elegante. Ma non solo…questi i tre filoni
che, ancora oggi distintivi della Maison, vengono celebrati dalla nuova
pubblicazione Dior a cura della casa
editrice statunitense Assouline: un accattivante cofanetto composto da tre
volumi che esplora le tappe del percorso creativo dello stilista. La penna
di Caroline Bongrand ad accompagnare il lettore nel viaggio pindarico
all’interno della sezione moda, mentre alle parole sagaci del critico Jerome
Hanover (anche lui firma autorevole insieme alla Bongrand della rivista
francese L’Officiel) le altre due
dedicate a profumi e gioielleria. Tre volumi preziosi, arricchiti da
patinate foto d’archivio e citazioni dello stesso Monsieur Dior, per raccontare
la superba leggiadria delle sue creazioni nonché i momenti più memorabili della
casa di moda: un parallelismo tra queste due realtà che ingloba
totalmente il personaggio di Dior, uomo e stilista, mostrandone le peculiarità
personali e professionali insieme. Un connubio ponderato e mistificato da
cui prende vita una leggenda che ha caratterizzato la storia della moda nella sua
accezione più elevata, tripudio di un’élitaria sofisticazione. La storia
della Maison per molti tratti viene così a coincidere con quella della couture,
assumendone per molti versi l’identità peculiare, rappresentata tramite linee,
forme e volumi che contemporaneamente divengono l’emblema d’istanze sociali e
valoriali che cambiano col passare del tempo. Si parte quindi dalla rivoluzionaria
invenzione del New Look alla fine degli anni ’40 e dalle prime
spettacolari campagne fotografiche realizzate da Richard Avedon, per
arrivare ai direttori creativi che nel tempo si sono succeduti, mantenendo fede
al lustro stilistico targato Dior, quali Yves Saint Laurent, Gianfranco
Ferré, John Galliano. Un brand universalmente noto nel mondo del lusso,
celebrato per la sua genialità, e al tempo stesso un nome che ha infuso
nell’immaginario collettivo iconici ideali di classe e raffinatezza tout court,
gli stessi che si possono ritrovare oggi come allora in ogni creazione
dell’universo Dior: gli scintillanti gioielli di foggia ricercata, le celebri
fragranze dai nomi evocativi, il fascino sofisticato di muse del passato
(Mitzah Bricard, Dovima) così come di odierne testimonial (Milla Jovovich,
Charlize Theron). Un viaggio avvincente nell’universo di una Maison che da
oltre 60 anni contraddistingue la moda per garbo e prestigio, continuando a
meravigliare per l’eleganza visionaria e l’estro sofisticato.
venerdì 29 giugno 2012
BOOK_Una nuova pubblicazione firmata Dior
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giovedì 28 giugno 2012
STYLE_A colpi di bauli…di lusso
Cosa succede se i malletier più antichi e
prestigiosi di Francia si trovano nel XXI secolo a due passi uno dall’altro?
Questo e molto altro ancora accade a Parigi
e in particolare in quell’esclusivissima tappa del luxury shopping qual è rue
Saint-Honoré, dove ha recentemente aperto i battenti la nuova boutique Moynat,
storico produttore di bauli e valigie di
altissima gamma, acquistato niente popodimeno che da Bernard Arnault, -
Monsieur Louis Vuitton, per intenderci – nel
2010. Che l’intento – o uno degli scopi – sia proprio spodestare l’altra
leggendaria maison Goyard? Vedere per credere… Nel frattempo, il grande flagship Moynat, di oltre 200
metri quadrati, sorge in tutto il suo splendore a pochi metri di distanza da
quello del marchio fondato da François Goyard nel 1853 e di cui sono stati
mantenuti l’heritage produttiva nonché l’ubicazione al 233 di rue Saint-Honoré.
Oltre
che dalla rivalità, i due marchi sono accomunati da una storia a tratti ricca
di similitudini. Goyard da tre
generazioni è di proprietà della famiglia Signol, che si è sempre attivata
per mantenere l’identità di azienda-atelier artigianale. Come ogni luxury brand
che si rispetti, vanta la paternità di
diverse innovazioni, come il Malle Bureau – un baule che diventa una scrivania
mobile, brevettato nel 1931 -, ha un suo simbolo icona – il monogramma Goyard
Chevron – e offre numerosi servizi su misura di personalizzazione dei prodotti.
Con 15 punti vendita nel mondo, tra
cui due in rue Saint-Honoré, uno a Londra e diversi shop in shop nei department store di alta gamma come
Barneys New York, Isetan a Tokyo, Peninsula a Hong Kong e Iguatemi a San Paolo,
si prepara fulgido e orgoglioso alla conquista del nuovo millennio, pronto a
lasciare viva testimonianza del suo savoir-faire e della sua tradizione
manifatturiera, tripudio di ricerca, qualità e artigianalità. Moynat Malletier, invece, è stata fondata
da Pauline Moyant pochi anni prima della Maison rivale, nel 1849. Negli anni
’30 ha visto il suo massimo periodo di gloria grazie ai leggendari bauli dalla
caratteristica forma curvilinea, che li rende facilmente trasportabili nelle
prime automobili dell’epoca. Come Goyard, si posiziona nell’alta gamma, ma
di diverso rispetto al rivale vi è il fatto che dopo aver chiuso nel 1976, è entrato nelle mire di Monsieur Arnault,
intenzionato a sviluppare uno stile di vita basato sul lusso e il bien vivre.
Quale migliore occasione, pertanto, se non coprire l’intero segmento della
pelletteria francese di altissima qualità? Detto, fatto. E al patron di uno dei
due gruppi di superlusso d’Oltralpe è bastato inglobare la Maison Moynat nel
proprio portafoglio prodotti, dotandola di un manager figlio della scuola Louis
Vuitton – Guillaume Davin – e di un direttore creativo ex Hermès e Christian
Lacroix - l’indiano Ramesh Nair - che ne ha studiato gli archivi per
attualizzarli in una collezione di bauli e borse senza tempo, quintessenza
dello stile Moynat. Last but not least,
l’apertura del flagship nel cuore della Ville Lumière, immerso in una delle
mecche dello shopping più famose al mondo, accanto a Goyard e Hermès. Una lotta
a colpi di bauli…che vinca il migliore!
martedì 26 giugno 2012
LEISURE_Maglifico! Sublime Italian Knitscape
Quale
migliore occasione di debutto come la settimana della moda maschile per una
mostra che mette in scena l’eccellenza di un’attività squisitamente italiana come
la maglieria e la sua evoluzione? È stata infatti inaugurata ufficialmente
sabato 23 giugno Maglifico! Sublime Italian Knitscape.
L’esposizione, visitabile sino al 2
settembre negli spazi di Palazzo
Morando in via Sant’Andrea, nasce da un progetto di Federico Poletti di cui vanta anche la cura in collaborazione con Giusi Ferré e Angelo Figus.
Sulla scia della grande mostra svoltasi al
Museo della Moda di Anversa Universal Knitwear in Fashion, è sorta quasi
spontanea l’esigenza di ripercorrere l’evoluzione di un’industria creativa così
particolare, che continua a giocare un ruolo importante nella storia della moda
e della società più in generale, di cui si è dimostrata l’aspetto più versatile, pronta ad assecondare esigenze,
gusti e tendenze, riuscendo ad essere “democratica”
e, al contempo, fonte di continua
ispirazione per la moda d’alta gamma. A fasi altalenanti e a periodi di
fortune alterne, la maglieria ha sempre
mantenuto un posto di rilievo nelle collezioni di molti designer, alcuni dei
quali ne hanno fatto un caposaldo se non addirittura un tratto distintivo della
propria cifra stilistica (Krizia e Missoni docent).
Il grande rispolvero degli ultimi anni l’hanno resa oggetto d’interesse, studio
e sperimentazione sia da parte di brand consolidati che di giovani progettisti
che vedono nella maglia e nelle sue declinazioni infinite possibilità di lavorazione e interpretazione.
La mostra diviene così un omaggio al
talento – tutto italiano – di realizzare estrose e difficili creazioni in
maglia: una straordinaria capacità di trasformare la creatività
sperimentale in veri e propri pezzi unici, frutto di un’heritage produttiva e
stilistica che solo il Belpaese può vantare. Un viaggio sublime e onirico nel panorama del saper fare italiano, a
bordo di un leggero e nobile filato di lana, che si snoda attraverso le regioni
produttive e le aziende oggi fiore all’occhiello del tanto celebrato Made in
Italy, per arrivare alle creazioni dei più importanti designer di tutto il
mondo. Fil rouge dell’intera esposizione, la produzione totalmente italiana di capi così eccezionali, dalle
calze ai cardigan, dagli abiti ai total look. Complice un allestimento coinvolgente ed emozionale, la mostra cattura il
pubblico in un’esperienza ludica,
che lo rimanda avanti e indietro nel
tempo e nei temi, a spasso nella tradizione della moda internazionale di cui
scopre confini, curiosità e particolarità.
La
parte iniziale di Maglifico! Sublime Italian Knitscape svela la stretta relazione fra l’industria tessile
italiana – da sempre pioniera in termini di qualità e innovazione – e i produttori di lana Merino Australiana.
Un dialogo d’eccellenza – ça va sans dire
– tra queste due importanti realtà che hanno saputo valorizzare la potenzialità
e l’intrinseca preziosità di una fibra così nobile. Le sezioni della mostra che
seguono, rivelano invece la versatilità della lana, che ha ispirato i
grandi nomi della moda internazionale, dai veri knitwear brand come Missoni, Krizia, Laura Biagiotti, Malo,
Saverio Palatella, Ermanno Scervino, Pierluigi Fucci, Gaetano Navarra, Lietta
Cavalli, fino ai grandi stilisti che hanno dato contributi significativi
nella maglieria come Iceberg, Prada,
Gucci, Gianfranco Ferré, Jean Paul Gaultier, Sonia Rykiel, Vivienne Westwood,
Maison Martin Margiela, per arrivare ai designer più innovativi e ai brand
sperimentali come Sandra Backlund, Paolo
Errico e Almo.Richly, solo per citarne qualcuno. Si comincia con una prima
stanza dedicata al tema ACCELLERATE
che celebra la maglia sportiva e la
performance. Sportiva per davvero – o apparentemente tale – aderisce al
corpo e scatta in avanti. Movimento e spinta al progresso sono le idee che
trapelano e che hanno ispirato Angelo Figus nella creazione dell’artwork con
tanto di tandem e ciclisti ricoperti da maglie coloratissime. Un inno alla
velocità che introduce alle altre sale: GRAF.K!
e la maglia cartellone, che comunica un messaggio o un’emozione
attraverso l’utilizzo di grafiche e colori combinati in composizioni
geometriche e segnaletiche d’ispirazione Pop; FLORILEGIO e la maglia che
fiorisce, in un tripudio di boccioli, pitture e jacquard che celebrano la
primavera sulle note di una danza botticelliana, all’insegna dell’energia e
della positività; PUMP UP THE VOLUME
per la maglia fuori scala, che
ridefinisce e scolpisce il corpo e le sue proporzioni attraverso il volume e le
lavorazioni, a volte estreme e al limite della portabilità; LOOKS LIKE LUX LITE per una maglia preziosa, luminosa, brillante di
luce propria come un gioiello attraverso fili ludici, ricami, spalmature che
conferiscono ai capi un aspetto elegante e lussuoso; GRRRRR!!!!! ossia l’ “Animaglione”,
una maglia ispirata agli animali, nel bel mezzo di una giungla visionaria e
seducente composta di capi selvaggi che
interpretano il vello iconico dei felini più belli del mondo. Infine, un posto
davvero unico e speciale occupa la sezione WASHED
che vede protagonisti i trattamenti
sulle maglie che svelano caratteristiche del filo non evidenti, trasformando la
maglia più comune in un capo alternativamente sofisticato. Lavorazioni che
hanno avuto un notevole sviluppo nel corso degli ultimi anni, ispirando creazioni
dall’aspetto lavato, stramato, usurato, infeltrito, decolorato. Da segnalare
l’imponente installazione, creata ad hoc e ispirata a una vera e propria
lavanderia, che crea un ideale dialogo tra l’alta maglieria e la
lavabiancheria.
Fondamentale
per la realizzazione della mostra il supporto del maglificio Miss Deanna, fondato
da Deanna Ferretti Veroni, colonna portante per lo sviluppo della maglieria
creativa in Italia: oggi trasformato
in Modateca Deanna, centro
internazionale di documentazione di moda, conserva la storia dei 40 anni del
maglificio, a partire dalle collaborazioni con gli stilisti italiani e
internazionali dai primi anni ’70, tra cui svettano Kenzo, Martin Margiela,
Julien MacDonald, Pour Toi, Claude Montanà, Enrico Coveri, Krizia, Valentino,
Joseph, Lawrence Steele, Stefano Mortari, ecc. Grazie ad oltre 50.000 capi,
6.000 volumi, 80.000 riviste e innumerevoli prove tecniche di punti, filati,
stampe, ricami, volumi e finissaggi, Modateca
è diventato il punto di riferimento per la ricerca tecnica e iconografica.
Una ricerca meticolosa e puntuale ben nota anche a Zegna Baruffa Lane Borgosesia Spa, che ha fornito per
l’allestimento preziosi teli di maglieria, provenienti dallo straordinario
archivio punti dell’azienda, nonché le migliori qualità grezze di lane merino
Australiane: un’opportunità ineguagliabile per scoprire tutte le fasi di
lavorazione del processo produttivo del filato, dalla materia prima al capo
finito. A corollario, speciali scenografie
surreali creano una sorta di cortocircuito tra i temi della mostra, i capi
esposti e lo spazio del museo, per una trionfante mise en place del saper fare italiano nella sua dimensione più
sublime.
Maglifico! Sublime
Italian Knitscape
Palazzo Morando – Costume Moda Immagine, via
Sant’Andrea 6, Milano
Fino al 2 settembre 2012
Ingresso libero
I partner di Maglifico!
ABC
Manichini, ALU, Woolmark
Brand & Designer che partecipano a
Maglifico!
Aimo.Richly,
Albertina, Anteprima, Antonio Berardi, Antonio Marras, Au Jour le Jour, Aviu,
Benetton, Blumarine, Brunello Cucinelli, Boboutic, Chanel, Costume National,
Connie Croenewegen, Dirk Bikkembergs, Emilio Cavallini, Ermanno Scervino,
Enrico Coveri, Fuzzi, Dolcicalze, Gaetano Navarra
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giovedì 21 giugno 2012
ABOUT_Appunti di stile e di vita firmati Gianfranco Ferré
Ultimo appuntamento con le riflessioni a vivavoce di Gianfranco Ferré. Pensieri, suggestioni, constatazioni...questo e molto altro è racchiuso negli "appunti" analizzati in queste settimane, in cui sono emersi gli aspetti più umani legati a una professione ma soprattutto a una filosofia di vita, giunta a permeare ogni aspetto esistenziale dello stilista.
Rush finale per una parentesi ampiamente dedicata a quelli che sono i valori per Ferré, quali la creatività, l'unicità, la qualità, la coerenza e la cultura. Valori che, come da lui stesso ribadito, sono saldamente ancorati alle radici, fino a diventare un tutt'uno. Passando poi per un accenno al femminile-maschile e alla loro reciproca contaminazione, si approda in chiusura all'emozionante ricordo di Walter Albini, mentore nonché primo grande incontro dello stilista con il mondo della moda.
Politecnico
‘68
“Mi
sono laureato in Architettura al Politecnico di Milano nel 1969, con Franco
Albini, scrivendo una tesi sulla “Metodologia dell’approccio alla
composizione”. Il progetto architettonico che ho presentato riguardava un
insediamento urbano nella periferia. Erano gli anni della contestazione
studentesca ma anche di grande fermento e di entusiasmo. Il livello
dell’insegnamento era altissimo in quel periodo. Il Preside di Facoltà era
Carlo de Carlo prima e Paolo Portoghesi nell’anno della mia laurea. Molti dei
miei docenti - Franco Albini, Ernesto Rogers e Marco Zanuso innanzitutto -
hanno “firmato” con i loro progetti la rinascita di Milano dopo la guerra. Ed
alcuni dei più grandi architetti o artisti italiani di oggi - come Aldo Rossi,
Gae Aulenti, Renzo Piano e Corrado Levi - allora erano presenti in Facoltà come
assistenti o docenti ordinari.
Radici
e Valori
“Il
mio rapporto con Legnano è fondamentale. Semplicemente perché a Legnano ci sono
le radici. Io che amo infinitamente
viaggiare - nella realtà non meno che con la fantasia, per lavoro e per piacere
- non potrei vivere senza la certezza di un luogo, di una dimensione in cui
ci si sente naturalmente a casa, in cui naturalmente si ritorna e ci si
ritrova. Una dimensione tanto necessaria ed indispensabile quanto forte ed
irresistibile è il desiderio di scoprirne e conoscerne altre. E’ la “certezza delle certezze” che in
qualche modo aiuta anche a comprendere e a “decifrare” ciò che la vita, con le
sue diverse realtà, ci pone dinanzi. Con la mia città ho un rapporto vivo,
tutt’altro che nostalgico. Lì sono nato e cresciuto; lì non c’è solo la mia
casa, ci sono soprattutto la mia famiglia ed i miei amici più cari; lì ritorno
ogni sera da Milano per cenare con mio fratello, mia cognata e qualche amico.
E’ una città piccola, discreta, solida, vivibile. E’ “provincia”, senza dubbio.
Ma lo è nel senso migliore del termine”.
“Il bagaglio di valori e di certezze che mi
vengono dal mio vissuto, dal mio ambiente di origine e dalla mia famiglia in
particolare hanno giocato e continuano a giocare un ruolo determinante nel mio
percorso creativo, non meno nella mia vita personale. I cosiddetti “solidi
valori borghesi”, l’educazione, il senso del dovere e della misura, la
discrezione, la disciplina sono stati, io credo, il migliore punto di partenza,
il migliore “trampolino” che io potessi augurarmi. Mi hanno consentito di
affrontare tutte le prove e tutte le sfide che il mio lavoro un po’ speciale mi
ha posto dinanzi anno dopo anno con grande determinazione ed altrettanto
rigore, nella convinzione che ogni traguardo, ogni successo fossero da meritare
con il massimo dell’impegno e con il massimo della responsabilità. I “solidi
valori borghesi” sono parte del mio essere e del mio vivere. Ciò vale per le
grandi decisioni, per la visione complessiva della vita e del lavoro che mi
sforzo di esprimere in ogni cosa che faccio. E vale in egual misura per le
piccole, “normali” cose della quotidianità. Nell’importanza che dò agli
affetti, ai legami consolidati nel tempo, al ruolo della fedeltà, dell’onestà e
della sincerità con cui vanno vissuti, necessariamente i rapporti
interpersonali. E ancora, nell’attaccamento che ho per i piccoli-grandi riti di
un vivere “normale “e sereno, equilibrato e, soprattutto, umano: i giorni di
festa trascorsi in famiglia, gli affetti saldi e fedeli, i rapporti di amicizia
che durano nel tempo…”
Rêverie
È
una parola che ben esprime quel
sentimento a metà tra il sonno e la veglia, quel rincorrersi di sensazioni che
ancora non sono pensieri ma immagini e frammenti, da cui nasce l’ispirazione.
Il sogno che si trasforma in
meditazione, la meditazione che trascolora sulla spinta delle emozioni. È
in questo procedere vagabondo, per scene – direi per appunti – che si forma il
terreno su cui mette radici l’immaginario come un paesaggio fantastico cui
approdo per vie del tutto naturali.
Valori
La
creatività: intesa come capacità
di interpretare l’eleganza in un’ottica fortemente individuale, elaborando soluzioni costantemente nuove ed originali
ed integrando la conoscenza ed il
rispetto profondo per le regole e per la tradizione dello stile - non meno
che per la metodologia del design di moda - con un’appassionata volontà “in
progress” di ricerca e di sperimentazione.
La
qualità: come risultato di un’attenzione
massima per il pregio intrinseco del prodotto, che nasce dal rigore dello
studio delle sue forme, dalla scelta accurata dei materiali e soprattutto dal
ricorso a trattamenti e lavorazioni che integrano il meglio della tradizione
artigianale con le più avanzate espressioni della tecnologia e del know how
industriale. La somma di tutti questi attributi conferisce al prodotto
Gianfranco Ferré una sorta di valenza al
di là delle stagioni, facendone qualcosa
che è “di moda” ma che, allo stesso tempo, è al di sopra delle “mode”.
L’unicità:
obiettivo che connota sempre l’iter progettuale di Gianfranco Ferré,
indipendentemente dall’oggetto del creare. E’ l’obiettivo di una ricerca appassionata e costante nel segno
dell’esclusività e della bellezza, che esprime un concetto moderno di lusso fortemente
calibrato sul valore intrinseco del prodotto non meno che sulla sua valenza
emozionale. In questa logica il prodotto Gianfranco Ferré viene concepito
tanto come oggetto d’uso quanto come
oggetto del desiderio calibrato sul bisogno di individualità e di espressione
di sé, che sempre più regola l’approccio alla moda. In risposta a questa
esigenza, l’unicità di un abito Gianfranco Ferré si concretizza in particolare
nelle forti connotazioni di poesia, di
“magia” e di sogno che vi sono intenzionalmente incorporate.
La
coerenza: ovvero l’identità forte
di uno stile versatile ed articolato, ma costantemente fedele a se stesso,
perché capace, stagione dopo stagione, di declinazioni inedite e di espressioni
su molteplici livelli, tutte sempre ed immediatamente riconducibili a principi
estetici che non cambiano nel tempo, ad un lessico di segni e di espressioni
che possono variare, arricchirsi, assumere nuove sfumature conservando comunque
un inconfondibile “inprinting”.
La
cultura: vissuta come capacità di
elaborare soluzioni di stile, attingendo non solo ad uno specifico e
personale back ground formativo, ma anche facendo riferimento alle tante
espressioni della vita del nostro tempo - le arti figurative, il design, il
cinema, la letteratura - così come alle tante “culture” del mondo ed alle più
svariate epoche storiche. Lo stile Gianfranco Ferré si può intendere dunque
anche come risultato di una lettura approfondita, critica, volutamente
soggettiva ed originale di tutti questi apporti.
Vestire
Donna e Uomo
L’uomo di oggi, la donna di oggi. Uguali
tra loro nel senso di libertà, nell’indipendenza del carattere, nell’autonomia
del gusto. E profondamente diversi. Nei miei abiti io amo
sottolineare le differenze che li oppongono e li rendono complementari uno
all’altro. Amo le dolcezze del corpo femminile, amo sottolinearle e svelarle,
per dare una forza moderna alla seduzione. All’uomo concedo invece il lusso
della disobbedienza, della disinvoltura con cui rileggere il principio
consolidato dell’abito-uniforme…
Walter
Albini
“Di
Walter Albini conservo moltissimi ricordi: per più di una stagione, agli inizi
della mia carriera, ho collaborato con lui disegnando accessori per le sue
collezioni. Del suo stile conservo un’impressione indelebile di fantasia
assoluta, di propensione dandy e volutamente pignola al coordinamento a tutto
campo, dall’abito alla sciarpa, alla pochette nel taschino. Un coordinamento
operato a priori, già a livello di primo abbozzo del capo… Lui era così:
l’estro allo stato puro, la fantasia capace di valicare e quasi di annullare la
realtà, l’approccio puramente estetico al concetto di eleganza. Ma soprattutto
conservo un ricordo personalissimo, un’immagine precisa, una specie di flash
che ancora riesce a sorprendermi quando riaffiora nella memoria. Era la prima
volta che lo incontravo. Io indossavo un abito di gabardine beige,
rigorosamente borghese, ed avevo raccolto i bozzetti che intendevo mostrargli
in una cartelle di pelle ancora più borghese. Lui mi ha accolto in un completo
di lino bianco, accecante, totale, quasi irreale. Non potevamo apparire, ed
essere, più diversi l’uno dall’altro…”
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