martedì 30 ottobre 2012

ABOUT_Isola di Capri: dolce stil novo














Lo stile caprese: un modo di vivere e intendere che abbraccia aspetti di charme insieme ad altri denotanti una raffinata inclinazione a interpretare la cultura e la storia secondo un particolare punto di vista, devoto alla bellezza nella sua essenzialità. Ecco quindi, che passeggiando per le vie di questa perla del creato, si assiste con incantata meraviglia a un’architettura che alterna piccole case a sontuose ville che rendono il contesto dell’isola unico al mondo. Un’architettura che procede parallelamente alla storia di questo paradiso terrestre, divenuto meta ambita di leggende del cinema hollywoodiano, idolatrato da intellettuali che ne hanno fatto il loro buen retiro, romanzato e citato da pensatori e letterati che trovavano qui un’insolita e impareggiabile dimensione di pace, da Charles Dickens “In nessun luogo al mondo vi sono tante occasioni di deliziosa quiete come in questa piccola isola” a Jean Paul Sartre “Capri è sacra, l’obiettivo non è vederla ma avvertirvi una certa qualità d’emozione”. Un susseguirsi di vicende che hanno enfatizzato il fascino e la magia di quest’isola, tanto da arrivare a battezzare “lo stile Capri”: un modo di vivere che permea ogni aspetto dell’esistenza umana e si contraddistingue per autentica bellezza e raffinato prestigio. Uno stile che affonda radici profonde, riscontrabili già tra l’800 e il ‘900, quando l’isola diviene la meta obbligata di viaggiatori richiamati vuoi dalla ricchezza naturalistica e paesaggistica, vuoi da quelli che sarebbero divenuti in seguito i tratti identificativi della tradizionale architettura caprese, primi su tutti l’aggregazione di cubi bianchi estradossati - arricchiti da colonne e pergolati costruiti con pali di castagno, ornati da finestre e merlature -, i volumi scanditi da un’alternanza di scale esterne e logge volate, l’articolato susseguirsi tra classicità greco-romane e citazioni arabo-moresche.
Rimandi, visioni e interpretazioni che hanno contribuito a rendere Capri un luogo magico e unico, un angolo di paradiso in terra, carico di colori e profumi, inconfondibile per quell’allure rarefatta dal fascino incantatore. Un luogo in cui la risonanza mitica del passato si sposa all’influenza razionalista. Una tradizione gloriosa che risale al 16 d.C., quando Tiberio decise di trasformare la fisionomia dell’isola costruendo l’imponente villa imperiale affacciata sul golfo di Napoli, oltre alle dodici ville dedicate ad altrettante divinità, tra le quali svetta Villa Jovis, edificata in onore del padre di tutti gli dei.

Catturati da questa meravigliosa magia, ecco i posti imperdibili, da vedere nel corso di un delizioso soggiorno caprese. Chiamata piazza, anzi ''a chiazz", per dirla in dialetto, sulle mappe è segnata come Piazza Umberto I, ma è universalmente nota come La Piazzetta. Per tutti è il centro dell'isola. Oggi come allora, rappresenta il centro della vita locale. Un tempo sede del mercato della verdura e del pesce, nel 1938 è protagonista di una svolta mondana a cura di Raffaele Vuotto che la rende ritrovo prestigioso per la vita sociale, fino ad allora reclusa all’interno degli alberghi e delle mura domestiche. Un carattere di mondanità che è andato aumentando negli anni, tanto che oggigiorno rappresenta il salotto privilegiato del mondo, al punto che d’estate è possibile incontrarvi monarchi e celebrità a fianco di gente comune.
Dalla Piazzetta dritti fino a un altro dei punti inconfondibili di Capri: i Faraglioni, tre picchi di roccia che si alzano dal mare a pochi metri dalla costa. Ogni Faraglione ha un nome: il primo unito alla terra si chiama Stella, il secondo, separato dal primo per un tratto di mare, Faraglione di Mezzo ed il terzo Faraglione di Fuori o Scopolo, ossia capo o promontorio sul mare. Su quest’ultimo – e solo su di esso – è possibile trovare la famosa Lucertola Azzurra dei Faraglioni, la Podarcis sicula coerulea. Nemmeno il tempo di salire su una barchetta a remi, stendersi e lasciarsi trascinare dal remare del marinaio ed ecco un’altra meraviglia della natura: da un iniziale buio totale si passa a una miriade di riflessi azzurri e argentei, scanditi da sfumature trasparenti. Questa è la suggestione della Grotta Azzurra, un luogo-non luogo, in cui sembra di galleggiare sospesi a mezz’aria. Un capolavoro del creato che deve la sua particolare colorazione a un effetto naturale: l’azzurro è dato dalla luce del sole che entra attraverso una finestra sottomarina che si apre esattamente sotto il varco d'ingresso, subendo in tal modo una filtrazione da parte dell'acqua, che assorbe il rosso e lascia passare l'azzurro. Un secondo fenomeno determina i riflessi argentei degli oggetti immersi: le bolle d'aria che aderiscono alla superficie esterna degli oggetti, avendo indice di rifrazione diverso da quello dell'acqua, permettono alla luce di uscire. In epoca romana, ai tempi di Tiberio, la Grotta era utilizzata come ninfeo marino: un periodo di cui restano prestigiose testimonianze, come le statue custodite alla Casa Rossa ad Anacapri. Per molti anni la Grotta Azzurra non è stata visitata, complici leggende che la narravano come luogo infestato da spiriti e demoni. 
Soltanto nel 1826, quando il pescatore locale Angelo Ferraro accompagna lo scrittore tedesco August Kopisch e il pittore Ernst Fries a visitarla, la Grotta Azzurra conosce una rinascita, divenendo tappa fissa di ogni soggiorno caprese che si rispetti.
Per chi invece cerca una passeggiata lontana dalla folla, in un luogo dalla bellezza autentica e incontaminata, imperdibile è il sentiero della Migliera. Un percorso magico e unico, che si snoda tra coltivazioni tipiche, lembi di antichi boschi e squarci di mare, per concludersi con il Belvedere del Tuono, forse il più suggestivo di tutta l’isola. Davanti, soltanto una distesa sconfinata di mare e un precipitare di rocce bianche e appuntite, che arrivano fino alla Cala del Limmo e al Faro di Punta Carena. Sovrani incontrastati di questi luoghi solo i gabbiani che, ad ali spiegate, volano padroni del mondo. Risalendo un sentiero adiacente, si arriva a un ultimo belvedere che affaccia anche sui Faraglioni e dal quale ci si può illudere, per un istante, di essere soli sull’isola di Capri, complice, magari, un suggestivo tramonto di mezza estate.

lunedì 29 ottobre 2012

ABOUT_A ogni clan il suo tartan














Il tartan è un particolare disegno dei tessuti in lana delle Highland scozzesi. Il termine deriva dal francese “tiretaine” e indica un tipo di materiale. Si caratterizza per un particolare disegno – in italiano chiamato comunemente scozzese – ottenuto alternando strisce, in angolo retto le une rispetto alle altre, composte da fili colorati (pre-tinti), tessuti in modo tale da ripetersi sia nell’ordito che nella trama. Per tesserlo, l’armatura del telaio necessaria è la saia.
Pur non conoscendo l’origine esatta di questa particolare tessitura, si può attestare con certezza che intorno al XVI secolo il tartan scozzese assume le caratteristiche attuali, divenendo - oltre che un fenomeno di costume - un simbolo d’identità nazionale. Fino alla metà del XIX secolo, gli highland tartan erano associati a regioni e distretti piuttosto che a uno specifico clan. Martin Martin, nel suo A Description of the Western Islands of Scotland, pubblicato nel 1703, scriveva che i tartan potevano essere utilizzati per distinguere gli abitanti delle diverse regioni. Pertanto, la distinzione dei tartan in base alle diverse famiglie viene istituita solo in epoca moderna, in virtù del fatto che i clan utilizzavano il tartan della zona in cui erano presenti. Un fenomeno in voga ancora oggi, tanto che le famiglie scozzesi non appartenenti ad alcun clan, utilizzano il tartan della propria regione. Nella storia, è stato per così dire vittima anche di pratiche proibizioniste, come, per esempio, nel 1746 dopo la battaglia di Culloden, quando il governo britannico con l’Act of Proscription vietò l’uso del tartan per cercare di avversare la rivolta dei clan gaelici giacobiti. Nel 1765, invece, conobbe il suo momento d’istituzionalità, divenendo la divisa degli Highland Regiments; mentre nel 1815, la Highland Society of London ufficializzò il legame tra un clan e il suo tartan. Nel libro Wilson’ key pattern book del 1819, erano già stati raccolti 250 tartan differenti; oggi ne sono registrati 4.000 anche se le tipologie in commercio si aggirano tra i 600 e i 700. Nel 1822 è il momento della sua rinascita, complice il Movimento Romantico che lo porta a divenire simbolo per eccellenza con cui contraddistinguere gli scozzesi: durante la visita a Edimburgo di Giorgio IV, Sir Walter Scott convince il re, il suo seguito e tutti i capi dei clan a indossare il tartan. 
Tuttavia, accanto ai clan tartan ufficialmente depositati, esistono molte altre categorie registrate per famiglie, distretti, istituzioni e anche semplicemente per commemorare particolari eventi. In molti casi, inoltre, hanno assunto specifici significati. Il Duke of Fife tartan, per esempio, disegnato in occasione del matrimonio di Alexander Duff I, duca di Fife, con la principessa Luisa, figlia di Edoardo VII e della regina Alessandra, è ormai conosciuto anche come tartan del distretto di Fife e utilizzato dalle famiglie della regione che non hanno un particolare clan di riferimento. La tradizione, inoltre, ne riserva alcuni alle Scottish Highland Military Unit del Regno Unito e degli altri paesi del Commnowealth. La Famiglia Reale britannica utilizza il tartan Barmoral e le unità ad essa associate il Royal Stewart Tartan. Vi sono, inoltre, tartan per le forze armate, come il Royal Air Force e il Royal Canadian Air Force, ma anche per compagnie commerciali, speciali gruppi come Amnesty International, movimenti religiosi (tra cui Hare Krishna), città, club di football (compresi alcuni non britannici, come, per esempio, Hammarby IF), società di danza, gruppi etnici non scozzesi che vivono in Scozia. Addirittura in Canada tutte le provincie hanno il proprio tartan, così come molti stati degli Stati Uniti.
Tra le più belle stoffe scozzesi tramandate dalla tradizione, degna di nota è quella dei Buchanans, a quadri minuti e a vivaci tinte rosse e gialle, contrastanti col verde cupo e il blu. Fondatore di questo clan fu nel XIII secolo Gilberto, siniscalco del conte di Lennox, dal quale ottenne parte delle terre dei Buchanans nello Stirlingshire, da cui prese il nome. L'emblema di questo clan è il mirtillo e il suo grido di guerra "Clar Innys", nome di un'isola del Loch Lomond. Elegantissimo nella sua severità, invece, col rosso vivo che traspare luminoso da un fitto graticolato verde e blu, è il tessuto dei Mac Donald di Clanranald, il cui emblema è l'erica e il grido di guerra: "Contro chi osa". L'origine di questo clan risale a Giovanni, lord delle isole, che sposò Ami de Insulis, dalla quale ebbe un figlio, Ranald, da cui l'appellativo di Clanranald. Per quanto concerne il tessuto Macinnes, questo richiama, per l'insieme e l'effetto dei colori, il tessuto Mac Donald. Il clan dei Macinnes, che ha per emblema l'agrifoglio, ha origini comuni col clan Mac Donald. Un tessuto a quadrettatura verde e blu su fondo nero distingue invece il clan dei Graham, le cui origini risalgono al XII secolo con Guglielmo di Graham, il quale, per segnalati servizi, ottenne terre da David I, intorno al 1150. Ai Graham, che hanno per emblema l'alloro, il plauso di aver fatto abolire nel 1782 un atto del parlamento del 1747 che vietava, sotto penalità, l'uso del costume scozzese. Smagliante nel suo giallo predominante è il tessuto del clan Mac Leod. Il fondatore di questa famiglia fu Leod, figlio di Olave, re di Mann (XIII secolo), la cui insegna è il ginepro.
Ed ecco, infine, il tessuto regale, l'Abito stuardo (Dress Stewart) che si differenzia da tutti gli altri per il fondo bianco, sul quale posano, come sopra una luminosità, le altre tinte fondamentali di tutti i tessuti scozzesi: il rosso, il verde e il blu. Non si sa precisamente a quale autorità questo tessuto debba la sua denominazione, ma certo è che esso è stato il preferito dei re: si dice che Carlo II se ne adornasse con fiocchi le spalle e la regina Vittoria lo adorava.
I disegni quadrettati scozzesi sono stati poi applicati a tutti i tessuti di lana, seta, cotone, rayon e misti e, seppur con alti e bassi, non sono mai stati abbandonati dal mondo della moda che, con cadenzata periodicità, se ne è avvalsa per abiti femminili, scialli, fazzoletti, cravatte, riscoprendo, ogni volta, l’intramontabilità di un grande classico, in grado di riproporsi fulgido nella sua orgogliosa essenzialità quale simbolo di valorosi ideali. 

venerdì 26 ottobre 2012

LEISURE_L'estro di Enrico Coveri in mostra






















Dalla moda alla cultura, passando per le vie dell’arte. Questo e molto altro ancora è quello che si può vedere in mostra a Prato in un’esposizione dedicata a uno dei protagonisti del made in Italy qual è stato Enrico Coveri.
Irriverente, sconvolgente, esilarante, la sua moda ha stravolto con la forza del colore lo stile, traghettando su abiti e accessori sferzate d’ironia e allegria. Oggi come allora, la stessa brillantezza regna sovrana negli spazi dell’auditorium della Camera di Commercio di Prato, città natia dello stilista amico di Andy Warhol e Keith Haring, dove il suo estro trova valorizzazione tra vestiti, bozzetti, fotografie, copertine patinate, storyboard e video di sfilate. Un’immersione totale nell’universo targato Coveri, ma soprattutto nel colore e nella sua forza espressiva, nel suo valore semantico ed emozionale: un’esperienza unica nel suo genere, che suggestiona il visitatore inducendolo a una piacevole – e per nulla scontata – scoperta. A fare da guida, per l’appunto, il colore. Un colore che sussurra, dice, evoca: in ogni caso, in modo più o meno dirompente, riporta alla mente ricordi passati, ma pur sempre attuali perché nati dall’estro di uno dei geni indiscussi della moda italiana. Una forza espressiva pressoché unica, che permea gli ambienti così come lo speciale allestimento in linea, ovviamente, con il concept della mostra.
Il percorso espositivo non è meramente biografico e non mira nemmeno a ripercorrere fase dopo fase in modo didascalico l’evoluzione artistica dello stilista. Piuttosto, vive di emozioni, cogliendo gli elementi realmente innovativi dell’universo Coveri. Uno spirito che trapela già nel sottotitolo, “Da Prato al Made in Italy”: un excursus sentito e partecipato di quelli che sono stati i momenti salienti della sua storia, dal rapporto folgorante con l’arte – autenticato dall’amicizia con Andy Warhol, che disegnò personalmente il marchio Coveri, e Keith Haring (un tessuto color fucsia corre lungo lo scalone, riportando il riconoscibilissimo tratto grafico dell’artista) – al ruolo centrale di New York per quei mitici anni ’80, dal debutto parigino nel 1978 all’ascesa inarrestabile nel panorama della moda internazionale. Un viaggio infinito nella cultura a tutto tondo, caratterizzato da due note dominanti - la moda e l’arte -, alla scoperta del Coveri pensiero, riflesso speculare della sua stessa esistenza: lo stilista, infatti, viveva con allegria e brio, riuscendo in una perfetta contaminazione tra i due universi che tanto lo affascinavano.
Esposti una dozzina di abiti, tra cui svettano le luminescenze di quelli con le paillettes indossati da manichini sospesi a mezz’aria all’ingresso, una decina di quadri dipinti in qualche caso per lui da Urano Palma, Gianni Dova, Luciano Bartolini, Gianni Bertini e molti altri. A corollario, fotografie a firma dei più grandi interpretiBill King e Olivero Toscani in testa - e immortalanti le modelle che sarebbero poi divenute top: da Claudia Schiffer a Carré Otis, da Milla Jovovich a Naomi Campbell.

Coveri Story – Da Prato al Made in Italy
Auditorium della Camera di Commercio di Prato, via del Romito 71
Fino al 18 gennaio
Lunedì-venerdì 10.00-12.00/16.00-18.00; sabato e domenica 10.00-13.00/14.00-19.00
Ingresso gratuito