La donna, la contaminazione femminile/maschile, il lessico quale manifestazione di stile, il lusso, i materiali e poi l'amatissima Milano: capisaldi dell'universo targato Ferré, in cui vita e moda viaggiano a braccetto.
La
“mia” donna
E’
alta, sottile, slanciata, agile, sinuosa e dinamica. Può non essere perfetta nei lineamenti né bellissima secondo i canoni
classici, ma sa sempre essere interessante, seducente e femminile.Il suo
fascino è nello sguardo, nel sorriso, nei gesti e nei movimenti.
Lessico
“La storia
del mio stile si fonda su una sorta di alfabeto, di lessico stilistico che può
manifestarsi in infinite varianti, evolversi nel tempo, arricchirsi,
assimilare nuovi segni,
restando però coerente. La mia esperienza creativa di tutti questi anni - in
termini tanto di atteggiamento operativo quanto di impostazione di metodo -
altro non è se non l’applicazione in
concreto di questo lessico ed il suo costante aggiornamento che si compie nella
perizia con cui si attuano tutti gli interventi di realizzazione di ogni
singolo oggetto (sia esso
un abito da gran sera, un impeccabile completo maschile, un jeans, un
accessorio…), e che si concretizza nel
rigore delle forme e delle costruzioni, nella perfezione delle proporzioni,
nella sintonia totale con il corpo. Il lessico Gianfranco Ferré si
individua, per esempio, nel ricorso sistematico a materiali importanti e spesso
esclusivi arricchiti sempre da lavorazioni all’avanguardia, nella cura sacrale
riservata ai particolari ed alle finiture, nel gioco appassionato tra formale
ed informale che si compie come semplificazione del primo e nobilitazione del
secondo, nell’intenzionale commistione di generi, funzioni e tipologie che
produce grande originalità. Applicare il
mio lessico porta al piacere ed alla certezza di ritrovare in ogni collezione
presenze che non hanno tempo (la camicia iperfemminile, il tailleur
perfetto, la sera sontuosa, lo sportswear raffinato) e danno un senso preciso di continuità, di linearità, di fedeltà ad
un’idea di bellezza”.
Lusso
In
tempi di edonismo mi sono sempre sforzato di proporre il lusso della sostanza, un lusso di contenuti e di qualità. In
tempi di minimalismo ho continuato a sostenere le ragioni del lusso. Ragioni in
cui credo fortemente. Perché il lusso è
un grande, innegabile piacere senza tempo.
Maschile/Femminile
“Si deve giocare con il guardaroba,
maschile o femminile che sia. Interpretarlo, adattarlo a sé, “percorrerlo” in
libertà, per mettere il trench da Humprey Bogart sopra il tubino da Audrey
Hepburn, il piumino “tecnico” (che magari è in
taffettà lucente) sull’abito da sera, il body-guepiere mozzafiato sotto il
tailleur gessato, eventualmente evitando questo accostamento per l’appuntamento
di lavoro alle dieci del mattino. Giocare
con il guardaroba è espressione di personalità e identità. E per lo stile
di oggi è quasi un must. La realtà del
nostro tempo è fluida, articolata, multiculturale, in continuo movimento. Deve
esserlo anche la moda. E, soprattutto, deve esserlo il nostro modo di vivere la
moda. Anche per questo, il tailleur “a uomo” non è più il power suit degli
anni Ottanta. Può essere in tessuto maschile, secco e funzionale, può essere
definito da dettagli tecnici, ma segue nella costruzione la logica naturale del
corpo, rispetta il bisogno di comfort e le forme della femminilità: ha le
spalle ammorbidite ed appena imbottite, ha la vita segnata ma non strizzata, i
revers misurati; può mutare d’aspetto, grazie a tagli ed accorgimenti
strategici, così che la giacca, che cade diritta e impeccabile, può anche
drappeggiarsi come una stola; se c’è l’effetto gessato, può essere il risultato
di impunture da alta sartoria o persino di ricami. Nel Terzo Millennio, il senso del “maschile al femminile” è
proprio questo: mischiare, interpretare,
applicare le logiche dello stile maschile alle tipologie del vestire femminile,
scambiare materiali, tecniche di costruzione, scelte di colore, fogge,
finiture, funzioni d’uso… Così, se la camicia ha un taglio perfetto a uomo,
è in raso lucente e candido, se è in Oxford, è drappeggiata e sontuosa.
Il
jeans è asciutto e scattante, ma è in raso jacquard o in broccato. Lo smoking
diventa abito da sera anche per la donna, ma perde le maniche, oppure è
costruito in certe sue parti in tulle nude-look. Il pastrano militare è severo,
ma ha il bordo in visone, come la jeans jacket. Il piumino è caldissimo e
iperfunzionale, ma ha le imbottiture calibrate in sintonia con la silhouette”.
Materie
“Io amo i materiali puri, pregiati come la
seta, duttili come la pelle, leggeri e naturali come il lino, caldi ed
avvolgenti come la pelliccia. Della seta in particolare, amo le tipologie
più preziose: l’organza iperfemminile, il taffettà corposo, che su un corpo in
movimento produce un fruscio ultrasensuale. Ma con eguale entusiasmo sono un sostenitore della sperimentazione e
della ricerca applicata ai materiali che per la moda di oggi è una necessità.
La fornisce di nuove sostanze, consente usi inediti di materie tradizionali,
amplia i limiti della creatività, la proietta verso il futuro. Per me la
ricerca è anche passione, un filo rosso che spiega moltissimo della mia
creatività e la percorre senza mai interrompersi. Io amo il rapporto diretto
con la materia, amo toccarla, maneggiarla, inventarla, reinventarla, cambiarla.
Tentativi su tentativi, progressi che si sommano, avvicinamento progressivo al
risultato desiderato: ricerca e
sperimentazione diventano alchimia. Con tantissime sfide vinte: il primo tulle elasticizzato e
“rivelatore”, il pizzo gommato, il costume da bagno in lattice, il jeans che
sembra carta, la maglia che sembra pelliccia, gli “animal prints”, la pelle
resa duttile come il tessuto, la pelle accoppiata al pizzo, la seta
stropicciata come la carta…”
Milano
”Di Milano amo lo spirito concreto, la
dimensione privata che garantisce privacy, discrezione, concentrazione per il
lavoro. Milano è una città piccola, che vive “in interno”. Un tempo, nei
quartieri alti, i palazzi si proiettavano nei giardini bellissimi rinchiusi dai
portoni, mentre in quelli popolari l’animazione era nei cortili, sui ballatoi
delle case di ringhiera. E’ la forza e la debolezza di Milano: ciò che è di
tutti non è sempre curato, la città non è tanto brava a vivere e pensare “in
pubblico”; il suo progresso spesso nasce dall’individualità. Un difetto che si
traduce oggi in infrastrutture carenti, nella mancanza di una politica globale
della città e di una pianificazione del vivere urbano, nell’assenza di risposte
alle necessità collettive. Qui vorrei che Milano migliorasse… Intanto prendo
delle boccate d’aria altrove. Parigi, New York, Londra mi offrono ciò che
Milano non mi dà. Ampio respiro, senso della metropoli e del mondo, orizzonti
multiculturali e multirazziali, uno stimolo indispensabile per il mio lavoro.
Poi torno a casa, a Milano…”
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