Ultimo appuntamento con le riflessioni a vivavoce di Gianfranco Ferré. Pensieri, suggestioni, constatazioni...questo e molto altro è racchiuso negli "appunti" analizzati in queste settimane, in cui sono emersi gli aspetti più umani legati a una professione ma soprattutto a una filosofia di vita, giunta a permeare ogni aspetto esistenziale dello stilista.
Rush finale per una parentesi ampiamente dedicata a quelli che sono i valori per Ferré, quali la creatività, l'unicità, la qualità, la coerenza e la cultura. Valori che, come da lui stesso ribadito, sono saldamente ancorati alle radici, fino a diventare un tutt'uno. Passando poi per un accenno al femminile-maschile e alla loro reciproca contaminazione, si approda in chiusura all'emozionante ricordo di Walter Albini, mentore nonché primo grande incontro dello stilista con il mondo della moda.
Politecnico
‘68
“Mi
sono laureato in Architettura al Politecnico di Milano nel 1969, con Franco
Albini, scrivendo una tesi sulla “Metodologia dell’approccio alla
composizione”. Il progetto architettonico che ho presentato riguardava un
insediamento urbano nella periferia. Erano gli anni della contestazione
studentesca ma anche di grande fermento e di entusiasmo. Il livello
dell’insegnamento era altissimo in quel periodo. Il Preside di Facoltà era
Carlo de Carlo prima e Paolo Portoghesi nell’anno della mia laurea. Molti dei
miei docenti - Franco Albini, Ernesto Rogers e Marco Zanuso innanzitutto -
hanno “firmato” con i loro progetti la rinascita di Milano dopo la guerra. Ed
alcuni dei più grandi architetti o artisti italiani di oggi - come Aldo Rossi,
Gae Aulenti, Renzo Piano e Corrado Levi - allora erano presenti in Facoltà come
assistenti o docenti ordinari.
Radici
e Valori
“Il
mio rapporto con Legnano è fondamentale. Semplicemente perché a Legnano ci sono
le radici. Io che amo infinitamente
viaggiare - nella realtà non meno che con la fantasia, per lavoro e per piacere
- non potrei vivere senza la certezza di un luogo, di una dimensione in cui
ci si sente naturalmente a casa, in cui naturalmente si ritorna e ci si
ritrova. Una dimensione tanto necessaria ed indispensabile quanto forte ed
irresistibile è il desiderio di scoprirne e conoscerne altre. E’ la “certezza delle certezze” che in
qualche modo aiuta anche a comprendere e a “decifrare” ciò che la vita, con le
sue diverse realtà, ci pone dinanzi. Con la mia città ho un rapporto vivo,
tutt’altro che nostalgico. Lì sono nato e cresciuto; lì non c’è solo la mia
casa, ci sono soprattutto la mia famiglia ed i miei amici più cari; lì ritorno
ogni sera da Milano per cenare con mio fratello, mia cognata e qualche amico.
E’ una città piccola, discreta, solida, vivibile. E’ “provincia”, senza dubbio.
Ma lo è nel senso migliore del termine”.
“Il bagaglio di valori e di certezze che mi
vengono dal mio vissuto, dal mio ambiente di origine e dalla mia famiglia in
particolare hanno giocato e continuano a giocare un ruolo determinante nel mio
percorso creativo, non meno nella mia vita personale. I cosiddetti “solidi
valori borghesi”, l’educazione, il senso del dovere e della misura, la
discrezione, la disciplina sono stati, io credo, il migliore punto di partenza,
il migliore “trampolino” che io potessi augurarmi. Mi hanno consentito di
affrontare tutte le prove e tutte le sfide che il mio lavoro un po’ speciale mi
ha posto dinanzi anno dopo anno con grande determinazione ed altrettanto
rigore, nella convinzione che ogni traguardo, ogni successo fossero da meritare
con il massimo dell’impegno e con il massimo della responsabilità. I “solidi
valori borghesi” sono parte del mio essere e del mio vivere. Ciò vale per le
grandi decisioni, per la visione complessiva della vita e del lavoro che mi
sforzo di esprimere in ogni cosa che faccio. E vale in egual misura per le
piccole, “normali” cose della quotidianità. Nell’importanza che dò agli
affetti, ai legami consolidati nel tempo, al ruolo della fedeltà, dell’onestà e
della sincerità con cui vanno vissuti, necessariamente i rapporti
interpersonali. E ancora, nell’attaccamento che ho per i piccoli-grandi riti di
un vivere “normale “e sereno, equilibrato e, soprattutto, umano: i giorni di
festa trascorsi in famiglia, gli affetti saldi e fedeli, i rapporti di amicizia
che durano nel tempo…”
Rêverie
È
una parola che ben esprime quel
sentimento a metà tra il sonno e la veglia, quel rincorrersi di sensazioni che
ancora non sono pensieri ma immagini e frammenti, da cui nasce l’ispirazione.
Il sogno che si trasforma in
meditazione, la meditazione che trascolora sulla spinta delle emozioni. È
in questo procedere vagabondo, per scene – direi per appunti – che si forma il
terreno su cui mette radici l’immaginario come un paesaggio fantastico cui
approdo per vie del tutto naturali.
Valori
La
creatività: intesa come capacità
di interpretare l’eleganza in un’ottica fortemente individuale, elaborando soluzioni costantemente nuove ed originali
ed integrando la conoscenza ed il
rispetto profondo per le regole e per la tradizione dello stile - non meno
che per la metodologia del design di moda - con un’appassionata volontà “in
progress” di ricerca e di sperimentazione.
La
qualità: come risultato di un’attenzione
massima per il pregio intrinseco del prodotto, che nasce dal rigore dello
studio delle sue forme, dalla scelta accurata dei materiali e soprattutto dal
ricorso a trattamenti e lavorazioni che integrano il meglio della tradizione
artigianale con le più avanzate espressioni della tecnologia e del know how
industriale. La somma di tutti questi attributi conferisce al prodotto
Gianfranco Ferré una sorta di valenza al
di là delle stagioni, facendone qualcosa
che è “di moda” ma che, allo stesso tempo, è al di sopra delle “mode”.
L’unicità:
obiettivo che connota sempre l’iter progettuale di Gianfranco Ferré,
indipendentemente dall’oggetto del creare. E’ l’obiettivo di una ricerca appassionata e costante nel segno
dell’esclusività e della bellezza, che esprime un concetto moderno di lusso fortemente
calibrato sul valore intrinseco del prodotto non meno che sulla sua valenza
emozionale. In questa logica il prodotto Gianfranco Ferré viene concepito
tanto come oggetto d’uso quanto come
oggetto del desiderio calibrato sul bisogno di individualità e di espressione
di sé, che sempre più regola l’approccio alla moda. In risposta a questa
esigenza, l’unicità di un abito Gianfranco Ferré si concretizza in particolare
nelle forti connotazioni di poesia, di
“magia” e di sogno che vi sono intenzionalmente incorporate.
La
coerenza: ovvero l’identità forte
di uno stile versatile ed articolato, ma costantemente fedele a se stesso,
perché capace, stagione dopo stagione, di declinazioni inedite e di espressioni
su molteplici livelli, tutte sempre ed immediatamente riconducibili a principi
estetici che non cambiano nel tempo, ad un lessico di segni e di espressioni
che possono variare, arricchirsi, assumere nuove sfumature conservando comunque
un inconfondibile “inprinting”.
La
cultura: vissuta come capacità di
elaborare soluzioni di stile, attingendo non solo ad uno specifico e
personale back ground formativo, ma anche facendo riferimento alle tante
espressioni della vita del nostro tempo - le arti figurative, il design, il
cinema, la letteratura - così come alle tante “culture” del mondo ed alle più
svariate epoche storiche. Lo stile Gianfranco Ferré si può intendere dunque
anche come risultato di una lettura approfondita, critica, volutamente
soggettiva ed originale di tutti questi apporti.
Vestire
Donna e Uomo
L’uomo di oggi, la donna di oggi. Uguali
tra loro nel senso di libertà, nell’indipendenza del carattere, nell’autonomia
del gusto. E profondamente diversi. Nei miei abiti io amo
sottolineare le differenze che li oppongono e li rendono complementari uno
all’altro. Amo le dolcezze del corpo femminile, amo sottolinearle e svelarle,
per dare una forza moderna alla seduzione. All’uomo concedo invece il lusso
della disobbedienza, della disinvoltura con cui rileggere il principio
consolidato dell’abito-uniforme…
Walter
Albini
“Di
Walter Albini conservo moltissimi ricordi: per più di una stagione, agli inizi
della mia carriera, ho collaborato con lui disegnando accessori per le sue
collezioni. Del suo stile conservo un’impressione indelebile di fantasia
assoluta, di propensione dandy e volutamente pignola al coordinamento a tutto
campo, dall’abito alla sciarpa, alla pochette nel taschino. Un coordinamento
operato a priori, già a livello di primo abbozzo del capo… Lui era così:
l’estro allo stato puro, la fantasia capace di valicare e quasi di annullare la
realtà, l’approccio puramente estetico al concetto di eleganza. Ma soprattutto
conservo un ricordo personalissimo, un’immagine precisa, una specie di flash
che ancora riesce a sorprendermi quando riaffiora nella memoria. Era la prima
volta che lo incontravo. Io indossavo un abito di gabardine beige,
rigorosamente borghese, ed avevo raccolto i bozzetti che intendevo mostrargli
in una cartelle di pelle ancora più borghese. Lui mi ha accolto in un completo
di lino bianco, accecante, totale, quasi irreale. Non potevamo apparire, ed
essere, più diversi l’uno dall’altro…”
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