martedì 12 giugno 2012

PEOPLE_Walter Albini: il progenitore del prêt-à-porter italiano











Walter Albini ha impresso un segno geniale negli anni ’60 e ’70, anticipando molte tendenze e aprendo le porte del successo al prêt-à-porter italiano. Nato come Gualtiero Angelo Albini, sfidando la volontà dei genitori interrompe gli studi classici per frequentare, unico allievo maschio, l’Istituto d’Arte, Disegno e Moda di Torino. A 17 anni collabora a giornali e riviste, riproponendo schizzi presi dalle passerelle d’alta moda, prima da Roma e poi da Parigi, dove si trasferisce per quattro anni. La Ville Lumière diviene un’insostituibile occasione d’incontro di grandi personaggi, tra i quali svetta lei: Mademoiselle Chanel.
Nel frattempo, nel 1963, crea la sua prima collezione. Galeotto è l’incontro – sempre parigino, ça va sans dire - con Mariuccia Mandelli, a seguito del quale lavora tre anni per Krizia, l’ultimo dei quali a fianco di un allora giovanissimo ed esordiente Karl Lagerfeld. In seguito, disegna per Billy Ballo, Cadette e Trell: già in queste creazioni è possibile leggere un subliminale elogio a Poiret. Verso la fine degli anni ’60, ormai affermato, disegna per le principali case di moda italiane e collabora con Gimmo Etro per i tessuti stampati. La ricerca parallela sul taglio – sempre più alleggerito – e sul tessuto è una delle costanti del lavoro di Albini che, con maestria e dedizione, studia un ideale connubio tra due aspetti apparentemente differenti ma accomunati dalla resa spaziale e formale di un perfetto modello di stile. Ad Albini quindi il plauso d’aver dato vita un nuovo rapporto, finalmente coordinato, tra lo stilista e il produttore di tessuti. Innovativa la sua proposta per Montedoro –risalente al 1970 - della formula “uni-max”: uniformità di taglio e colore per uomo e donna, all’insegna di una grande disinvoltura e scioltezza delle forme Dello stesso anno la famosa collezione Anagrafe, otto spose rosa in lungo, otto vedove in nero corto. Per Misterfox, la stagione successiva disegna una collezione Preraffaelita, dimostrazione esemplare della sua abilità di rielaborare in moda i propri innamoramenti culturali. È lo stilista più famoso e corteggiato del tempo, ma anche il più insofferente alle limitazioni d’ispirazione e d’esecuzione. Il gruppo Ftm assume la distribuzione delle sue linee, disegnate – secondo un progetto unitario - per cinque case di moda specializzate in diversi settori (giacche, maglieria, jersey, abiti, camicie): Basile, Escargots, Callaghan, Misterfox, Diamant’s (sostituita da Sportfox qualche mese dopo). Ottiene così una gamma completa che decide di presentare a Milano e non nell’allora canonica Firenze: un distacco dalla passerella fiorentina seguito da Caumont, Ken Scott, Krizia, Missoni, Trell, che sancisce in maniera inequivocabile la nascita del fenomeno del prêt-à-porter italiano, eleggendo la Città di Milano a capitale della moda. Ma se è vero il detto “nessun profeta in patria”, ad Albini succede qualcosa che autentica gli aspetti più retorici di una simile dichiarazione: la stampa internazionale lo celebra infatti come l’astro nascente dello stile, caratterizzato da una dirompenza simile a quella di Yves Saint Laurent; quella italiana, così come la distribuzione, si dimostrano miopi e provinciali, incapaci di coglierne l’effettiva avanguardia in grado di scardinare le tendenze fino ad allora assunte come veri e propri dogmi di stile. Albini, sfiduciato nel suo essere creativo, rompe tutti i contratti in essere ad eccezione di quello con Misterfox, con cui comincia a produrre una nuova linea uomo-donna a suo nome, presentata a Londra per la primavera-estate 1973. È la prima volta che viene adottata la formula – in seguito molto imitata - di una prima linea dall’immagine forte e trainante ma dalla vendita ristretta, economicamente sostenuta da una seconda collezione più facile, che molto s’ispira alla principale, riprendendone ispirazioni, tagli e volumi, ma realizzata per il grande pubblico. Albini, che vive e disegna come un personaggio di Scott Fitzgerald, la battezza Grande Gatsby. Una realtà così romanzata diviene l’occasione per creare la giacca-destrutturata - altrimenti detta giacca-camicia -, che diviene un caposaldo della moda italiana seguente se non addirittura tratto distintivo d’intere collezioni o cifra stilistica di una griffe. Nel 1973 apre lo showroom di via Pietro Cossa a Milano e prende casa a Venezia, dove ambienta, al Caffè Florian, una memorabile sfilata con abiti che sembrano uscire da un sogno senza tempo, riproposta poi a New York. Il suo talento creativo è ormai internazionalmente riconosciuto: se ne apprezza la capacità di dar corpo ai sogni personali e ai riferimenti culturali, attualizzandoli con garbata leggerezza. Le sue collezioni si contraddistinguono per la naturale bellezza, ottenuta anche per merito dei raffinati tessuti stampati su disegno. Rilancia il paisley, la stampa a motivo cachemire, che dalla moda passa direttamente all’arredamento, con una fortuna che ancora oggi continua. Altri motivi celebri dei suoi tessuti sono le stelle, le righe, i pois, i volti, le ballerine, gli scottish terrier, lo zodiaco, le Madonne, il pied-de-poule e il galles giganti stampati su seta e velluto. Insomma, qualsiasi cosa gli possa ispirare una visionaria immaginazione, volta a reinterpretare le sue ispirazioni più profonde, donando loro luce nuova. Fautore del total-look, lo mette in atto prima di tutto personalmente, identificando il suo stile di vita con quello creativo, arredando quindi le case in tono con le sue collezioni di moda e disegnando con la stessa cifra stilistica tessuti, oggetti, mobili, vetri e proposte integrate per le riviste d’arredamento (Casa Vogue). Disegnatore eccellente, quando salta una stagione propone una mostra dei suoi disegni dal 1962 in poi. Viaggia molto, soprattutto in India, in Oriente e in Tunisia, luoghi da cui trae ispirazione per le sue collezioni. Nel 1975 presenta la prima collezione uomo autonoma, anticipando ancora una volta i tempi, e a Roma la sua prima sfilata d’alta moda, in collaborazione con Giuseppe Della Schiava che produce le sete stampate su suo disegno. Ispirata a Chanel e ai suoi amori di sempre – gli anni ’30 – diviene il manifesto di ciò che la moda rappresenta per Albini: “l’alta moda è morta, viva l’alta moda”, il motto attestante la sua personale vocazione ad andare controcorrente. La seconda collezione è tutta rosa, ispirata ancora a Chanel ma anche a Poiret; mentre le linee di prêt-à-porter realizzate per Trell strizzano l’occhio a un ritrovato bon-ton, prontamente contraddetto nelle stagioni successive da uno stile “guerriglia urbana”. Le collezioni maschili sono presentate di volta in volta da amici (e amiche, per sottolinearne l’aspetto unisex) o su busti che riproducono narcisisticamente la sua immagine. A volte si riducono a un assemblaggio di robes trouvées, a dimostrazione che quel conta realmente è la capacità di abbinare capi e accessori. In ogni caso, i motivi ricorrenti sono gli anni ’30, le giacche con la martingala, i colli piatti, i pantaloni larghi, la giacca-camicia, i sandali, le scarpe bicolori, i bermuda, i giubbotti, i berretti di maglia calati sulla fronte, i primi anfibi. Nell’evoluzione del suo percorso creativo ha saputo impartire impareggiabili lezioni di stile che hanno dato una svolta significativa al prêt-à-porter italiano, traghettandolo a vero fenomeno di moda, in grado di influenzare le tendenze mondiali. Con lui il design è stato applicato alla moda in modo innovativo, ma nel rispetto di solide radici storiche. Ha inventato l’immagine della donna in giacca, pantaloni e chemisier; ha riproposto il revival come intelligente forma di ricerca e reinvenzione; ha usato criticamente la contestazione e l’ironia; ha affermato il total-look, con l’estrema cura dei particolari e degli accessori, per lui ancora più importanti dell’abito, dedicando un perfezionismo maniacale, tradotto in distacco e naturalezza. Ha dato il massimo, senza cedere alla fretta, all’approssimazione, alla mediocrità, ai compromessi, alle cadute di stile, alle costrizioni dettate dagli stereotipi. Ha semplicemente dato il meglio, con naturalezza e spontaneità, nell’ideale espressione stilistica del suo estro creativo. 

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