Walter Albini ha
impresso un segno geniale negli anni ’60 e ’70, anticipando molte tendenze e
aprendo le porte del successo al prêt-à-porter
italiano. Nato come Gualtiero Angelo
Albini, sfidando la volontà dei genitori interrompe gli studi classici per frequentare,
unico allievo maschio, l’Istituto d’Arte, Disegno e Moda di Torino. A 17 anni
collabora a giornali e riviste, riproponendo schizzi presi dalle passerelle d’alta
moda, prima da Roma e poi da Parigi, dove si trasferisce per quattro anni. La
Ville Lumière diviene un’insostituibile occasione d’incontro di grandi
personaggi, tra i quali svetta lei: Mademoiselle Chanel.
Nel frattempo, nel 1963, crea la sua prima collezione.
Galeotto è l’incontro – sempre parigino, ça
va sans dire - con Mariuccia Mandelli,
a seguito del quale lavora tre anni per
Krizia, l’ultimo dei quali a fianco di un allora giovanissimo ed esordiente
Karl Lagerfeld. In seguito, disegna
per Billy Ballo, Cadette e Trell: già in queste creazioni è possibile leggere
un subliminale elogio a Poiret. Verso la fine degli anni ’60, ormai affermato,
disegna per le principali case di moda italiane e collabora con Gimmo Etro per
i tessuti stampati. La ricerca parallela sul taglio – sempre più alleggerito –
e sul tessuto è una delle costanti del lavoro di Albini che, con maestria e
dedizione, studia un ideale connubio tra due aspetti apparentemente differenti ma
accomunati dalla resa spaziale e formale di un perfetto modello di stile. Ad Albini quindi il plauso d’aver dato vita
un nuovo rapporto, finalmente coordinato, tra lo stilista e il produttore di
tessuti. Innovativa la sua proposta per Montedoro –risalente al 1970 - della
formula “uni-max”: uniformità di
taglio e colore per uomo e donna, all’insegna di una grande disinvoltura e
scioltezza delle forme Dello stesso anno
la famosa collezione Anagrafe, otto
spose rosa in lungo, otto vedove in nero corto. Per Misterfox, la stagione successiva disegna una collezione Preraffaelita, dimostrazione esemplare
della sua abilità di rielaborare in moda i propri innamoramenti culturali.
È lo stilista più famoso e corteggiato del tempo, ma anche il più insofferente
alle limitazioni d’ispirazione e d’esecuzione. Il gruppo Ftm assume la distribuzione delle sue linee, disegnate –
secondo un progetto unitario - per cinque case di moda specializzate in diversi
settori (giacche, maglieria, jersey, abiti, camicie): Basile, Escargots,
Callaghan, Misterfox, Diamant’s (sostituita da Sportfox qualche mese dopo).
Ottiene così una gamma completa che
decide di presentare a Milano e non nell’allora canonica Firenze: un
distacco dalla passerella fiorentina seguito da Caumont, Ken Scott, Krizia,
Missoni, Trell, che sancisce in maniera inequivocabile la nascita del fenomeno
del prêt-à-porter italiano, eleggendo la Città
di Milano a capitale della moda. Ma se è vero il detto “nessun profeta in patria”, ad Albini succede qualcosa che
autentica gli aspetti più retorici di una simile dichiarazione: la stampa internazionale lo celebra infatti
come l’astro nascente dello stile, caratterizzato da una dirompenza simile a
quella di Yves Saint Laurent; quella italiana, così come la distribuzione, si
dimostrano miopi e provinciali, incapaci di coglierne l’effettiva avanguardia
in grado di scardinare le tendenze fino ad allora assunte come veri e propri
dogmi di stile. Albini, sfiduciato nel suo essere creativo, rompe tutti i contratti
in essere ad eccezione di quello con
Misterfox, con cui comincia a produrre una nuova linea uomo-donna a suo nome,
presentata a Londra per la primavera-estate 1973. È la prima volta che viene adottata la formula – in seguito molto
imitata - di una prima linea dall’immagine
forte e trainante ma dalla vendita ristretta, economicamente sostenuta da una
seconda collezione più facile, che molto s’ispira alla principale,
riprendendone ispirazioni, tagli e volumi, ma realizzata per il grande pubblico.
Albini, che vive e disegna come un personaggio di Scott Fitzgerald, la battezza
Grande Gatsby. Una realtà così romanzata diviene l’occasione per creare la
giacca-destrutturata - altrimenti detta giacca-camicia -, che diviene un
caposaldo della moda italiana seguente se non addirittura tratto distintivo d’intere
collezioni o cifra stilistica di una griffe. Nel 1973 apre lo showroom di via
Pietro Cossa a Milano e prende casa a Venezia, dove ambienta, al Caffè Florian,
una memorabile sfilata con abiti che sembrano uscire da un sogno senza tempo,
riproposta poi a New York. Il suo
talento creativo è ormai internazionalmente riconosciuto: se ne apprezza la
capacità di dar corpo ai sogni personali e ai riferimenti culturali,
attualizzandoli con garbata leggerezza. Le sue collezioni si contraddistinguono per la naturale bellezza,
ottenuta anche per merito dei raffinati tessuti stampati su disegno. Rilancia
il paisley, la stampa a motivo
cachemire, che dalla moda passa direttamente all’arredamento, con una
fortuna che ancora oggi continua. Altri
motivi celebri dei suoi tessuti sono le stelle, le righe, i pois, i volti, le
ballerine, gli scottish terrier, lo zodiaco, le Madonne, il pied-de-poule e il
galles giganti stampati su seta e velluto. Insomma, qualsiasi cosa gli
possa ispirare una visionaria immaginazione, volta a reinterpretare le sue
ispirazioni più profonde, donando loro luce nuova. Fautore del total-look, lo
mette in atto prima di tutto personalmente, identificando il suo stile di vita
con quello creativo, arredando quindi le case in tono con le sue collezioni di
moda e disegnando con la stessa cifra stilistica tessuti, oggetti, mobili,
vetri e proposte integrate per le riviste d’arredamento (Casa Vogue).
Disegnatore eccellente, quando salta una stagione propone una mostra dei suoi
disegni dal 1962 in poi. Viaggia molto,
soprattutto in India, in Oriente e in Tunisia, luoghi da cui trae
ispirazione per le sue collezioni. Nel
1975 presenta la prima collezione uomo autonoma, anticipando ancora una volta i
tempi, e a Roma la sua prima sfilata d’alta moda, in collaborazione con
Giuseppe Della Schiava che produce le sete stampate su suo disegno.
Ispirata a Chanel e ai suoi amori di sempre – gli anni ’30 – diviene il
manifesto di ciò che la moda rappresenta per Albini: “l’alta moda è morta, viva l’alta moda”, il motto attestante la sua
personale vocazione ad andare controcorrente. La seconda collezione è tutta
rosa, ispirata ancora a Chanel ma anche a Poiret; mentre le linee di prêt-à-porter realizzate
per Trell strizzano l’occhio a un ritrovato bon-ton, prontamente contraddetto
nelle stagioni successive da uno stile “guerriglia urbana”. Le collezioni
maschili sono presentate di volta in volta da amici (e amiche, per sottolinearne
l’aspetto unisex) o su busti che riproducono narcisisticamente la sua immagine.
A volte si riducono a un assemblaggio di robes
trouvées, a dimostrazione che quel
conta realmente è la capacità di abbinare capi e accessori. In ogni caso, i motivi ricorrenti sono gli anni ’30, le
giacche con la martingala, i colli piatti, i pantaloni larghi, la
giacca-camicia, i sandali, le scarpe bicolori, i bermuda, i giubbotti, i
berretti di maglia calati sulla fronte, i primi anfibi. Nell’evoluzione del
suo percorso creativo ha saputo impartire impareggiabili
lezioni di stile che hanno dato una svolta significativa al prêt-à-porter
italiano, traghettandolo a vero fenomeno di moda, in grado di influenzare le
tendenze mondiali. Con lui il design è stato applicato alla moda in
modo innovativo, ma nel rispetto di solide radici storiche. Ha inventato
l’immagine della donna in giacca, pantaloni e chemisier; ha riproposto il
revival come intelligente forma di ricerca e reinvenzione; ha usato criticamente la contestazione e
l’ironia; ha affermato il total-look, con l’estrema cura dei particolari e
degli accessori, per lui ancora più importanti dell’abito, dedicando un
perfezionismo maniacale, tradotto in distacco e naturalezza. Ha dato il massimo, senza cedere alla
fretta, all’approssimazione, alla mediocrità, ai compromessi, alle cadute di
stile, alle costrizioni dettate dagli stereotipi. Ha semplicemente dato il
meglio, con naturalezza e spontaneità, nell’ideale espressione stilistica del
suo estro creativo.
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