Moda e...architettura, arte, giovani. Queste le connotazioni principali, declinate in una miriade di nuances più o meno accennate, che assume la moda per Gianfranco Ferré, stilista-architetto prima ancora che grande estimatore dell'arte e fervido sostenitore dei talenti giovanili. Et voilà un piccolo estratto delle sue riflessioni a vivavoce sulla questione....
Moda
e Architettura
“La
mia idea di moda si fonda sul principio di un
intervento ragionato sulle forme come punto di partenza per la creazione
dell’abito, che è sempre il risultato di un processo di costruzione e di un
progetto. Vestire una donna o un uomo significa dunque ragionare in termini di linee, volumi, proporzioni. Esattamente come “vestire” uno spazio. La
differenza, importantissima, risiede nel fatto che per il fashion designer
l’elemento di riferimento primario è il corpo umano, ovvero un’entità in
movimento che come tale va considerato sin dal primissimo abbozzo d’idea per un
abito. Inoltre, in entrambe le situazioni non
può e non deve mancare anche un approccio emozionale, dettato dalla fantasia e
dalla sensibilità.”
“Credo
si debba sempre ricercare un equilibrio
tra l’approccio “cerebrale” all’abito - inteso cioè come risultato di un
processo di elaborazione creativa ragionato e pianificato – e l’approccio emozionale che fa dell’abito
il risultato di un’intuizione di pura fantasia. Ciò vale per il creatore
non meno che per i potenziali fruitori che intendono e vivono l’abito come
oggetto ad alta definizione funzionale, ma dal potenziale emozionale non meno
intenso. Un oggetto d’uso dunque: che si butta facilmente in valigia, ma che
non si butta via dopo una stagione; che si presta ad un utilizzo versatile, ad
un consumo magari veloce, ma sempre ragionato e realistico; che vale perché è
“fatto bene”, perché è bello e
confortevole insieme. E poi c’è la
valenza espressiva dell’abito, che in una dimensione di vita omologata ha il
potere di rendere individuo ogni uomo e ogni donna, di dar corpo e visibilità a
desideri, sogni, emozioni, volontà, slanci. L’abito è un mezzo, uno strumento, attraverso il quale si compie il
contatto tra vita interiore e vita reale”.
Moda
e Arte
“E’
determinante la mia passione per le arti figurative della contemporaneità, che
mi affascinano per la loro energia, per la carica espressiva riassunta quasi
sempre in tratti intensi, vibranti di velocità e di immediatezza. Credo che la chiave di lettura di tutta la
nostra epoca - in tutte le sue espressioni, i modi di vivere, le
manifestazioni del pensiero, dell’arte e della cultura - sia infatti una concezione del tempo, dello spazio e del movimento molto
diversa rispetto al passato perché fortemente incentrata sulle valenze della
velocità, dell’energia, del dinamismo. Valenze essenziali anche nella
quotidianità della nostra vita che è fatta di viaggi, spostamenti,
comunicazioni che si compiono in tempo reale, ritmi produttivi sempre più
accelerati, flusso costante e rapissimo di notizie, informazioni e dati, flusso
tale da annullare i limiti sino ad ora imposti all’agire umano dalla
concretezza delle dimensioni spazio-temporali. Questa credo sia realmente una
delle “cifre” primarie della nostra epoca che, come tale, non può non permeare
la moda. E nella mia moda, nel mio stile c’è ed è sicuramente forte il senso
del movimento, che connota l’oggetto-abito sin dal suo nascere sotto forma di
schizzo: pochi “segni” tracciati sul foglio bianco in velocità”.
Moda
e giovani
“Io
sono convinto che l’istruzione finalizzata alla moda, al pari di ogni altro
specifico sbocco professionale, abbia un senso ed una funzione se si crea un
legame, un interscambio direi, tra scuola e dimensione del lavoro vero e
proprio, tra dimensione dell’apprendimento e dimensione della verifica in
concreto degli insegnamenti. Un legame che dovrebbe tra l’altro essere
premiante per entrambe le parti. Un legame che in Italia può contare su una
normativa ancora insufficiente che ne stabilisca con chiarezza forme e modi,
come altrove avviene invece da tempo. In Francia, per esempio, tutte le Maison
de Couture devono attenersi alla regola della Chambre Syndicale (vera e propria
emanazione dello Stato con potere decisionale che orienta tutto il settore) che
impone di accogliere negli atelier, un certo numero di allievi delle scuole di
moda in qualità di apprendisti. In altre parole, io non credo che esista un
problema di discrepanza qualitativa tra l’insegnamento impartito nelle scuole
di moda italiane e quello offerto all’estero. Il problema è semmai di strutture
e di infrastrutture, di mezzi e, come ho detto, di normativa. Una normativa che
in generale ponga la dimensione della formazione e quella del lavoro in un
rapporto proficuo e al passo con i tempi”.
“La
scuola deve segnare percorsi, aprire orizzonti, essere “avanti”, fornendo a chi
la frequenta strumenti e valori. Ed operando non come corpus separato, ma come
parte integrante della realtà, cogliendone dinamiche, fermenti, stimoli.
Sicuramente ci sono ancora carenze nell’apparato scolastico - soprattutto
pubblico - che in Italia non privilegia la formazione specifica in ambito moda,
e neppure, in verità, quella professionale in generale. Inoltre non è neppure
particolarmente agevole, quantomeno in relazione ad altri paesi, la normativa
che regola l’attuazione degli stages nelle aziende, anche se va riconosciuto
che in proposito molto è stato fatto negli ultimi tempi, né l’attuale normativa
aiuta ad assicurare un futuro alla creatività. Persiste insomma una sorta di
scollamento tra mondo della scuola e mondo del lavoro, che impedisce alla moda
di disporre di professionalità adeguate alle reali esigenze, né aiuta ad
assicurare un futuro alla creatività. Di fronte a questo stato di cose, diventa
più facile per la moda italiana attingere nuove forze dalla scuole di altri
paesi, in cui - per tradizioni culturali, impostazioni didattiche, assetti
legislativi - la creatività dei giovani viene stimolata e plasmata con una
rispondenza maggiore rispetto ai bisogni effettivi del mondo professionale”.
“Fortunatamente
con i giovani io ho un ottimale punto d’incontro nel mio atelier, dove mi
affiancano assistenti e stagisti; non solo sono tutti giovani, ma sono anche
ben mescolati in fatto di provenienza, nazionalità, lingua, perché credo che il
principio del melting pot sia stimolante e vantaggioso per tutti quelli che ne
sono parte. In questo contesto i miei consigli si leggono in termini di
esempio: determinazione, volontà,
abnegazione, anche sacrificio. La moda è logica, metodo, sistema. E’ lavoro.
Anzi, la moda sono tanti lavori: quello del disegnatore, quello del sarto,
dell’artigiano, del tecnico… E un lavoro tale non può non presupporre entusiasmo, dedizione, curiosità intesa
come capacità e volontà di guardarsi intorno per ricavare stimoli, cultura
intesa come conoscenza delle esperienze altrui, delle espressioni del sapere
umano, di altri orizzonti ed altre realtà di vita. Un consiglio in sintesi?
Conoscere e sperimentare, lavorare e
sapere quello che si vuole”.
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