venerdì 31 maggio 2013

ABOUT_Gli attimi celebri del bikini








È quel bikini che mi ha dato il successo”. Così ancora oggi, Ursula Andress racconta il motivo principale della sua celebrità, facendo riferimento al film Agente 007 – Licenza di uccidere (Terence Young, 1962) e all’indimenticabile scena – bersaglio di innumerevoli, quanto vani, tentativi di imitazione - in cui usciva dall’oceano in un due pezzi bianco, pronta a sedurre l’agente 007/Sean Connery. Un bikini divenuto un feticcio, stando a giudicare le 35.000 sterline a cui è stato battuto in un’asta londinese.
Viene da sorridere se si pensa che nel 1951, per timore di offesa al pubblico pudore, fu proibito alle aspiranti Miss Mondo. Anche se, in realtà, non bisogna correre così indietro nel tempo, ma fermarsi al 2005 per trovare lo scoglio della legalità: il trailer di Trappola in fondo al mare (John Stockwell, 2005) in America, infatti, è stato manipolato digitalmente per rendere il bikini della protagonista Jessica Alba meno provocante e non incorrere in divieti di alcun tipo.
Vi è da dire che di strada ne ha fatta il bikini se si considera che le sue prime apparizioni risalgono all’epoca romana. Tuttavia, esiste una data ben precisa a cui riferire la sua nascita: correva l’anno 1946 quando il sarto francese Louis Réard lo inventava, battezzandolo come l’atollo di Bikini nelle Isole Marshall, dove negli stessi anni gli Stati Uniti conducevano test nucleari. Réard, infatti, riteneva che l’introduzione del nuovo tipo di costume avrebbe avuto effetti esplosivi e dirompenti. E come dargli torto?! Il suo modello rifiniva il lavoro di Jacques Heim che, due mesi prima, aveva introdotto l’Atome (così chiamato a causa delle dimensioni ridotte), pubblicizzato come il costume da bagno più piccolo al mondo. Tuttavia, non pienamente soddisfatto, Réard lo rese ancora più piccolo, ma non riuscì a trovare una modella che osasse indossarlo. Finì per ingaggiare Micheline Bernardini, spogliarellista del Casino de Paris. L’intento di calarlo nella vita reale e quotidiana fu la miccia che scatenò le reazioni della chiesa e dei benpensanti. Dovettero trascorre quindici anni perché il bikini fosse accettato negli Stati Uniti.
Nel 1956, il bikini indossato da Brigitte Bardot nel film E Dio creò la donna (Roger Vadim) e nel 1960 la canzone di Brian Hyland Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini, diedero l’avvio a una corsa all’acquisto del bikini.
In America sue grandi estimatrici e testimonial incomparabili sono state Marilyn Monroe e Rita Hayworth. Nel 1957, Jane Mansfield fu immortalata sulla copertina di Life Magazine con uno strepitoso bikini. Negli anni ’60, il due pezzi entra di diritto a far parte del mercato di massa: nel 1963 il film Vacanze sulla spiaggia, di William Asher con Annette Funicello (non in bikini, dietro espressa richiesta della Walt Disney) fu il primo di una lunga serie di pellicole che resero il costume un’icona della cultura pop.
L’alto tasso seduttivo ne ha fatto un ingrediente di successo di innumerevoli film e telefilm dal momento in cui venne ritenuto accettabile per il pubblico pudore. Un esempio su tutti è dato dai surf movie degli anni ’60 o da serie tv come Baywatch.
La lista delle apparizioni da piccolo e grande schermo non si esaurisce qui: Raquel Welch eroina preistorica nel film Un milione di anni fa (Don Chaffey, 1966), Phoebe Cats in Fuori di testa (Amy Heckerling, 1982), Charlize Theron e il suo bikini-armatura con il quale sfida il male in AEon Flux (Karyn Kusama, 2005).
Oltre mezzo secolo e non sentirlo. Il bikini ha segnato un capitolo della moda, tracciandone l’evoluzione in stretto contatto con il contesto socio-culturale dell’epoca, che vedeva la donna proiettata verso un’emancipazione globale. Il tutto sull’onda di un gioco equilibrato degli estremi: perché se con pochi centimetri di stoffa nasconde, al tempo stesso rivela, evocando e mostrando all’unisono. 

giovedì 30 maggio 2013

LEISURE_Glamour & Charity a Milano: l'evento





















Una serata da ricordare quella di giovedì 23 Maggio al Mercedes-Benz Center di Milano: la presentazione del libro edito da Electa “Le mie amiche dicono che…”, ideato e voluto da Nicoletta Poli Poggiaroni e Roberto Spada con l’intento di raccogliere fondi da destinare alle opere della Fondazione Umanitaria “City of Joy Aid” di Dominique Lapierre.

Nata in India nel 1982, “City of Joy Aid” è un'organizzazione umanitaria senza scopo di lucro fondata e finanziata dal celebre scrittore francese Dominique Lapierre e da sua moglie. L’associazione, nata originariamente per aiutare i bambini sofferenti di lebbra che affollano le bidonville di Calcutta, opera oggi in diversi Paesi a favore delle persone più svantaggiate del mondo attraverso una rete di cliniche, scuole, centri di riabilitazione e barche ospedale.

Dunque, non un libro qualsiasi ma un gesto per fare del bene. 240 pagine da gustare con sorpresa e curiosità, come se si sfogliassero i “taccuini privati” di alcune fra le protagoniste più chic della vita meneghina di oggi… 51 autrici “speciali”, unite da una nobile causa, hanno infatti deciso di svelare ai lettori indirizzi nascosti e quasi segreti, che sfuggono anche a Internet, da annotare e sperimentare, contribuendo così alla realizzazione del libro e alla raccolta dei fondi. Due di queste hanno anche contribuito all’evento: Melba Ruffo di Calabria, conduttrice d’eccezione, che con professionalità e simpatia ha coinvolto il pubblico in una frizzante e informale presentazione, raccontando alcuni aneddoti interessanti e divertenti presenti nel libro, e Laura Morino Teso, organizzatrice e social pr dell’evento.

Presenti la maggior parte delle 51 autrici, solo per citarne alcune: Maria Emanuela Vallarino Gancia Orioli e la figlia Betta Gancia Fontana, Annamaria Bernardini De Pace e Laura Sartori Rimini, Vannozza Guicciardini Paravicini Crespi e Alida Forte Catella, Alessandra Moschillo e Talitha Puri Negri, Ornella Vanoni e Paola Buratto Caovilla.

Cornice di eccellenza, il Mercedes-Benz Center di Milano, che ha ospitato l’evento nella sua splendida e avveniristica sede con un sofisticato Welcome Drink a base di champagne, gentilmente offerto da Moët & Chandon, e a seguire un ricco e sfizioso Light Dinner con DJ set al piano superiore del Center, con vista mozzafiato delle sue prestigiose autovetture e installazioni.

Tra gli ospiti della serata, oltre al padrone di casa Radek Jelinek, Amministratore Delegato di Mercedes-Benz Milano, e al Direttore generale Libri di Mondadori Electa Stefano Peccatori, numerosi volti del mondo dell’industria, della finanza, della cultura, dello spettacolo e del Jet Set, tra cui Bruno e Iris Ermolli, Ernesto Mauri con Maria Felice Ardizzone, Maria Luisa Trussardi, Elio Fiorucci, Lina Sotis, Gianna Ratti, Adriano Teso, Marco e Bianca De Luca, Paolo Berlusconi, Carla Tolomeo, Alessandro Algardi, Massimiliano Ermolli con Pilar Palacio Ordonez.

Le mie amiche dicono che…
Electa, 240 pagine, 60 illustrazioni
40 euro
In libreria dal 4 giugno 2013
Parte del ricavato andrà devoluto alla Fondazione Umanitaria “City of Joy Aid” di Dominique Lapierre

Autrici del libro
Annamaria Bernardini de Pace, Cinzia Berti, Paola Bianchi, Emanuela Bonomi Croce, Giaele Bosio, Michela Bruni Reichlin, Claudia Buccellati, Paola Buratto Caovilla, Margherita Chiarva, Nicoletta Diana Del Mar, Alessandra De Marco, Marinella Di Capua, Alida Forte Catella, Ita Franchini Klinger, Betta Gancia Fontana, Daniela Gerini, Donatella Girombelli, Umberta Gnutti Beretta, Alessandra Grillo, Vannozza Guicciardini Paravicini Crespi, Rossella Jardini, Andreina Longhi, Marisa Malerba, Warly Mantegazza Tomei, Giorgia Martone, Albertina Marzotto, Giovina Moretti, Laura Morino Teso, Alessandra Moschillo, Letizia Ogniben, Talitha Puri Negri, Titti Quaggia, Liliana Querci Innocenti, Maria Vittoria Randaccio del Timavo, Giorgia Re, Lithian Ricci, Lia Riva Ferrarese, Maela Rosso Andreana, Alessandra Rovati Vitali, Melba Ruffo di Calabria Vicens Bello, Micol Sabbadini, Laura Sartori Rimini, Valentina Scambia Floriani, Riccarda Serri, Diana Terragni, Maddalena Tronchetti Provera, Maria Emanuela Vallarino Gancia Orioli, Ornella Vanoni, Sandra Vezza, Maurizia Villa, Giulia Zoppas

lunedì 27 maggio 2013

ABOUT_Il lato celebre dei jeans







“Ho detto spesso che mi sarebbe piaciuto inventare i jeans: il capo più spettacolare, più pratico e nonchalant. Hanno carattere, modestia, sex appeal e semplicità – tutto quello che spero esista nelle mie creazioni”: questo, forse, il rammarico più forte di Yves Saint-Laurent che, se anche non ha inventato i mitici jeans, ha in ogni caso segnato in maniera indelebile la storia del costume e della couture.
Rimpianti celebri a parte, i jeans nella loro essenzialità rappresentano valori emblematici come sincerità, autenticità, coscienza del proprio corpo. Nell’universale spettro del visibile che contempla tutte le gradazioni dell’azzurro denim, griffati o meno che siano, disegnati o ricamati, racchiudono sempre la giusta dose di poetica rudezza che li contraddistingue da decenni, rendendoli immortali. E se ufficialmente esiste una data per festeggiare il loro compleanno – 20 maggio 1873, quando l’ufficio americano dei brevetti rilascia al commerciante Levi Strauss e al sarto Jacob Davis l’autorizzazione a produrre in esclusiva pantaloni di cotone robusto tenuti insieme da rivetti metallici – la loro origine è italiana. Il loro nome, infatti, deriva dalla storpiatura di “Genova”, dove venivano tagliati e cuciti per i marinai che, dovendo traversare in lungo e in largo mari e oceani, richiedevano abiti in tessuti robusti, realizzati con la tela cobalto proveniente dalla città francese di Nimes, “de Nimes”, da cui deriva la parola “denim”.
Tutti ne possiedono almeno un paio nell’armadio, da alcuni sono addirittura considerati un modo di vivere, da altri il capo passe-partout in grado di risolvere ogni inconveniente vestimentario, da altri ancora un oggetto di culto, inviolabile nel suo valore più autentico, e infine non mancano quelli per i quali sono una moda permanente, una sorta di evergreen imperturbabile allo scorrere del tempo e delle stagioni. Tanto permanente da essere arruolato ufficialmente per la campagna pubblicitaria USA della MasterCard, noto marchio di carte di credito, dove le foto di tre icone rigorosamente in jeans per l’appunto – Marlon Brando, James Dean e Marilyn Monroe – sono utilizzate per lo slogan: “Trovare il jeans perfetto? Non ha prezzo”. Un’autorevolezza a tuttotondo, che pone in risalto il lato oscuro del denim, ossia quello di esaltare la seduzione e rivestire il desiderio: dall’adolescente Brooke Shields che sussurrava in uno spot per Calvin Klein “Cosa c’è tra me e i miei Calvin? Assolutamente niente” alla parata in blu che accompagnava i motti culturali anti-convenzionali degli anni ’70 e ’80. Andy Warhol nel 1971 firma un close-up di jeans maschile, con tanto di cerniera funzionante, per l’album Sticky Fingers dei Rolling Stones, il cui leader, Mick Jagger, pochi anni prima aveva fatto da testimone di nozze al matrimonio tra Catherine Deneuve e David Bailey completamente vestito in denim.
Le eroine del serial Charlie’s Angels ne fanno la loro divisa; si propone sportivo, invece, sulle gambe scattanti di Kelly McGillis in Top Gun (Tony Scott, 1986), aderente per Thandie Newton in Mission: Impossible 2 (John Woo, 2000), folk firmato Dsquared nel 2000 per il video Don’t tell me di Madonna e modaiolo per Anne Hathaway ne Il diavolo veste Prada (David Frankel, 2006). Anche se, meritatamente, le apparizioni cinematografiche più celebri e indimenticabili restano quelle di Marilyn Monroe: dalla sexy ma fragile Kay, la cantante di saloon de La magnifica preda (Otto Preminger, 1954) alla bella e ingenua Roslyn ne Gli spostati (John Huston, 1961). In entrambi i casi, i jeans esaltano le forme, mettendo in risalto però, al contempo, la personalità e l’autenticità della persona. Un capo d’abbigliamento che, per così dire, si spinge oltre il personaggio, per andare a scovare le inclinazioni più nascoste e celebrarle con l’onnipotenza visiva e immaginifica che solo un paio di jeans può garantire, restando inalterata nel tempo e proponendosi sempre nella fulgida essenza di informale formalismo.

venerdì 24 maggio 2013

PEOPLE_Federico Forquet: stile pulito e seduzione intelligente








Discendente da una famiglia di origine francese, lo stilista italiano Federico Forquet nasce e cresce all’ombra del Vesuvio, a contatto con il bel mondo e i salotti che contano. La sua famiglia, infatti, nel 1789 si trasferisce a Napoli per sfuggire alla rivoluzione: uno dei suoi antenati diviene ministro di Ferdinando IV di Borbone.
A sei anni comincia a studiare pianoforte al Conservatorio, sviluppando una particolare affinità con la musica, che diventa la sua grande passione. Poi, appena ventenne, la svolta: ama trascorrere il tempo disegnando. Si tratta inizialmente solo di schizzi, che però riscuotono l’ammirazione di Balenciaga, presentatogli da un amico a Ischia. È il 1955. Il grande sarto lo invita a bottega nel suo atelier parigino, dove già cominciano a muovere i primi passi Ungaro e Courrèges. Decide così di abbandonare l’Università, lavorando a fianco del maestro che all’epoca rappresentava il massimo livello dell’haute couture. Trascorre due stagioni nella Ville Lumière, dopodiché il rientro in Italia e, per la precisione, a Roma, dove continua ad apprendere ed affinare il mestiere da Fabiani e, successivamente, lavora per Irene Galitzine.
Nel 1962 si sente pronto per il debutto, che avviene sulla passerella della celeberrima Sala Bianca di Palazzo Pitti. Un trionfo: sfila un bon ton accompagnato da una personalissima nota chic, che rende omaggio a una donna charmante e seducente al tempo stesso. Per dirla breve, il suo è lo stile dell’eleganza. È qualcosa che si spinge oltre il mero perfezionismo formale e approfondisce la semantica del gusto e della raffinatezza, paradigmi che vanno al di là dello scorrere del tempo, restando immutabili nelle stagioni della vita. Irene Brin lo celebra scrivendo “Il Dior italiano si chiama Forquet”. Da quel debutto in poi si ricordano memorabili esercitazioni di grande livello: abiti in alcuni casi considerati difficili, proprio per quella raffinatezza fatta di tagli puliti e precisi. Un invito subliminale a vestirsi di linearismo, quando alcuni colleghi prediligono un’ispirazione barocca. Le clienti sposano appieno il suo stile: teste coronate, principesse e regine, miliardarie e dive, first ladies, trovano nelle sue creazioni l’esatta compensazione di femminilità ed eleganza, di seduzione e raffinatezza. All’estero è una star: la stampa inglese lo definisce “Frederick the Great”.
Numerose le innovazioni da lui apportate e introdotte nella moda e che hanno segnato inesorabilmente la sua evoluzione: i primi hot pants sono merito suo così come il suo nude look anticipa quello tanto osannato di Yves Saint-Laurent. Una giovanissima Ira Fürstenberg, modella d’eccezione, sembra vestita di aria colorata; le trasparenze di gonne e pantaloni si accompagnano a top di sole collane.
Nel frattempo, con inesorabile frenesia, si susseguono le stagioni della moda: è l’avvento del prêt-à-porter e Forquet, solista del costume, chiude il suo atelier nel 1972. Ha sempre fatto tutto da solo, non ha mai avuto un assistente, né un disegnatore, non solo per i modelli, ma nemmeno per gli accessori e le stoffe. Sarebbe stato, quindi, impensabile per lui instaurare rapporti con l’industria. Il business fine a se stesso non è mai interessato a Forquet, che ha sempre fatto dell’ispirazione, della creatività e della moda nella sua più autentica accezione i veri pilastri sui quali articolare la sua attività.
Segue una breve parentesi nel corso della quale disegna tessuti per arredamento, dopodiché la permanenza a Roma si dirada: preferisce risiedere nella bella casa che si è costruito nei dintorni di Siena, dove scopre un’altra stimolante vocazione: i giardini. Con amabile maestria disegna il suo: un’armonia di verde, percorso dai colori che alternano le stagioni. Diviene dunque stilista di giardini per gli amici, gli amici degli amici. Così vive oggi questo professionista dell’eleganza, fautore dello stile di un’epoca e, al contempo, antesignano di tendenze che oggigiorno imperano sulle passerelle di tutto il mondo. Due le clienti rimaste amiche: Marella Agnelli, da sempre considerata l’ispiratrice della sua moda, e Allegra Caracciolo, per un periodo sua collaboratrice. Nessun rimpianto, se non il desiderio di rivivere le emozioni del passato. Numerosi i ricordi di stilisti che negli anni a venire hanno fatto grande la moda italiana. Uno su tutti, quello di Giorgio Armani, che gli elogia per lo stile pulito e la seduzione intelligente: un mix congeniale a entrambi.