giovedì 30 giugno 2016

ABOUT_La Kelly di Hermès


Nata nel secolo scorso, in concomitanza con la fondazione della Maison Hermès, come borsa porta sella per i cavalieri che partecipano alle battute di caccia, soltanto nel 1930 si carica di una nuova anima, diventando – con un formato sensibilmente ridotto - una delle borsette da donna per antonomasia. Un successo annunciato che negli anni ’50 la porta a divenire un must della Maison, riconoscibile dall’inconfondibile chiusura a battente con “serratura”. Nel 1955 il battesimo con il nome della diva che l’ha resa famosa: Grace Kelly, principessa di Monaco, incinta della primogenita Caroline, la utilizza per nascondere la gravidanza ai fotografi. Immortalata su tutti i giornali, la borsa da quel momento diviene “la Kelly”. Declinata nelle nuance più tradizionali come nero, marrone, blu e bordeaux, negli anni ’80 comincia a colorarsi anche delle tinte più vivaci quali giallo, rosso, verde smeraldo e blu zaffiro. Oggi esiste in tre modelli – rigida, morbida e morbidissima – e in vari tipi di pelle (vitello, cinghiale, lucertola, struzzo, coccodrillo). Comprarla rappresenta una vera e propria esperienza d’acquisto di lusso. Le boutique Hermès, infatti, ricevono ogni stagione soltanto poche borse da vendere ai clienti che entrano in negozio (un po’ come un ristorante di livello che tiene sempre libero un tavolo per i clienti che dovessero passare di lì senza aver prenotato). In generale, quindi, se si desidera acquistarla, è necessario ordinarla, anche – e in virtù  delle infinite personalizzazioni che possono essere apportate. I modelli esposti, pertanto, sono meri campioni, utili per agevolare il cliente nella scelta del modello da ordinare. In prima istanza, si può scegliere il materiale di realizzazione così come quello delle parti metalliche (per i clienti più esigenti ci si può spingere sino all’argento, all’oro o ai diamanti incastonati); si può inoltre decidere se si vogliono le cuciture interne o a vista. Ogni Kelly, quindi, è diversa da un’altra in considerazione del semplice fatto che si tratta di una borsa nata da una precisa quanto personale idea. Per realizzarne una di dimensioni medie ci vogliono dalle 15 alle 16 ore, mentre per le più grandi da 25 a 30: un tempo inestimabile in cui l’esperienza e l’artigianalità dei malletiers Hermès prendono vita cucitura dopo cucitura.
Nel caso di materiali pregiati, come il rettile, la procedura di lavoro subisce una dilatazione dovuta alla primordiale fase di controllo delle pelli: tre o quattro uomini le passano in rassegna, stendendole su un tavolo per individuarne i difetti e, successivamente, tagliano le forme per le borse (in  questo caso, a differenza degli altri materiali, non si utilizza la pressa). Gli artigiani Hermès lavorano con tre tipi di pelli di rettile: due di coccodrillo e una di alligatore. Quella più delicata – e quindi costosa – è quella del Crocodylus porosus dell’Australia: ha scaglie quadrate al centro del ventre e quattro o cinque file di scaglie rotonde verso i fianchi. Vi è poi il Crododylus niloticus dello Zimbabwe, con scaglie più grandi al centro e due file di grosse scaglie rotonde sui fianchi. Il terzo è l’Alligator mississippiensis, che arriva da un allevamento di proprietà della Maison in Florida. Ha piccole scaglie rettangolari al centro e scaglie più piccine di forma ovale ai lati. In media, ogni Kelly, richiede l’utilizzo di tre pelli di cui si utilizza la parte morbida che si trova nella zona inferiore del corpo dell’animale, evitando quella della schiena che è ruvida e sfregiata. La pelle del ventre si utilizza per i lati e il risvolto, la parte interna della coda, che ha scaglie più grandi, per il fondo e i lati o per il soffietto. Per preservare la naturalezza, le pelli non vengono verniciate ma semplicemente lucidate sfregandovi sopra pezzetti d’agata: ne consegue che le borse non sono impermeabili. Una volta tagliate, le pelli vengono adagiate su un vassoio di plastica insieme a cerniere, chiusure, pezzi metallici, fodera e tutto ciò che serve per confezionare il prodotto finale. Ogni vassoio viene poi passato a un altro artigiano che provvede a costruire interamente la borsa, lavorando su tre articoli contemporaneamente: stesso modello, stessa dimensione, stessi materiali. La borsa viene costruita a partire dall’interno: la prima cosa che si utilizza è la griffe - uno strumento in metallo fatto a mano che somiglia a un pettine africano con i denti appuntiti – che viene premuta leggermente sui bordi della pelle per segnare l’area dove viene effettuata la cucitura a mano (solo la cerniera e l’interno delle tasche, infatti, vengono cuciti a macchina). L’artigiano inserisce poi un pezzo di cuoio duro tra l’esterno e la fodera, in modo da rendere la borsa più solida e rigida.
La Kelly è disponibile in due versioni: il modello sellier, con le cuciture a vista, e il modello retourner, con le cuciture all’interno. Gli orli di quest’ultima sono profilati, di solito nello stesso colore della borsa. La profilatura si realizza avvolgendo un cordoncino di cuoio nella pelle e tenendo poi insieme il tutto con un po’ di colla. Nel complesso, una borsa contiene otto strati di pelle: quella esterna, il cuoio e la fodera per ogni lato, oltre ai due orli delle profilature. Il risvolto, invece, è la continuazione del retro della borsa. Gli artigiani cuciono a mano tutte le parti in pelle con un classico punto sella, utilizzando due aghi e un filo lunghissimo, in modo da poter cucire insieme tutti i pezzi senza fare nodi. Il filo di lino, che arriva dalla Francia, è antistrappo e non si logora nel momento in cui viene fatto passare attraverso la pelle. Per renderlo resistente, impermeabile e morbido, lo si tratta con cera d’api. È sempre in tinta con la pelle, a meno che non si tratti di pelle dorata o naturale: in quei casi, si utilizza un filo bianco. L’artigiano tiene insieme le pelli con un morsetto di legno, in modo da avere le mani totalmente libere; buca le tracce lasciate dai denti della griffe con un punteruolo, facendo in modo di penetrare tutti gli strati della pelle; poi infila un ago in una direzione e un ago nell’altra, tira fino a stringere il punto e procede con il successivo. All’inizio e alla fine di ogni cucitura esegue tre doppi nodi, per evitare che possa scucirsi. Una volta completata, la cucitura viene appiattita con un martello di plastica e gli orli lisciati, smerigliati e lucidati in modo da sembrare un unico pezzo. Il manico è composto da sei strati di pelle e viene messo in forma dall’artigiano: per fare ogni manico ci vogliono fino alle tre ore e mezza e, se questo non è perfetto, nemmeno la borsa lo è. Quanto l’interno e l’esterno della borsa sono pronti, l’artigiano li assembla e aggiunge le parti metalliche con un metodo tutto speciale, detto “perlaggio: si appoggiano la chiusura sulla parte esterna e un sostegno metallico sull’interno; poi, dall’interno, s’infila un chiodo attraverso ciascuno dei buchi che si trovano sui quattro angoli e si taglia la parte di chiodo in eccedenza, lasciandone solo un pezzetto. Successivamente, l’artigiano prende uno strumento speciale, simile a un punteruolo, ma con la punta leggermente concava, e, con delicatezza, lo preme ruotando il polso sul pezzetto sporgente, fino a ridurlo a una sorta di perlina rotonda. Ogni parte metallica ha 4 perline – una in ogni angolo – tutte della stessa forma. Le parti metalliche vengono poi ricoperte con una sottile pellicola di plastica per evitare che si graffino. A questo punto l’artigiano rivolta la borsa e la stira per metterla in forma. Nel caso della pelle in coccodrillo, si stira scaglia per scaglia vista la sua naturale delicatezza. Si fa passare infine un ferro sottile e caldissimo tra le cuciture per pulirle e definire i bordi. Quando la borsa è finita, un supervisore la controlla per assicurarsi che le cuciture siano simmetriche e le perline ben fatte, che la chiusura funzioni, la forma sia perfetta e la superficie priva di difetti. Se il supervisore la approva, sulla Kelly – in corrispondenza della fibbia di pelle - viene impresso un marchio che identifica l’artigiano, l’anno e il laboratorio. Viene poi infilata nel classico sacchetto arancione di feltro e spedita al reparto logistica per essere controllata una seconda volta. Se passa anche questo controllo, viene avvolta in carta velina, inscatolata e spedita al negozio, pronta per essere consegnata al cliente che l’ha ordinata.
La Kelly, ma più in generale le borse di Hermès, rappresentano l’antitesi della borsa del momento. Molti modelli sono rimasti invariati per quasi un secolo e ciononostante rimangono ambiti: una constatazione che denota come non subiscano la moda, ma, al contrario, si spingano oltre. Non ostentano loghi, fiere del fatto che siano già sufficientemente riconoscibili di per sé. Trasmettono un messaggio di nobiltà e raffinatezza, a prescindere dal braccio che le sostiene. Nel mondo del lusso, quindi, sono i più discreti tra i simboli di ricchezza e potere.

Una borsa Hermès, in altre parole, è la quintessenza di quello che era un tempo il lusso e che oggigiorno non è più: maestria, cultura, abilità, esperienza, disinvoltura, pacatezza.

martedì 28 giugno 2016

PEOPLE_Franco Moschino


Francesco (Franco) Moschino nasce ad Abbiategrasso, alle porte di Milano, da Battista, imprenditore metallurgico, e Giuseppina Boeri. Dopo gli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera, l’incontro con Gianni Versace - per il quale realizza alcuni disegni di tessuti - lo introduce nel mondo della moda, portandolo ad affermarsi come illustratore di prestigiose testate – Gap, Linea Italiana e Harper’s Bazaar – e come disegnatore per diverse aziende produttrici di abbigliamento. Conclusa nel 1977 la collaborazione con Versace, l’anno successivo fonda insieme all’amico Mauro Foroni, anch’egli disegnatore, la società Franco Moschino focalizzata sulla creazione e la vendita di modelli per l’industria tessile e dell’abbigliamento. Numerose le collaborazioni avviate nel corso degli anni: disegna il prêt-à-porter prodotto dalla parigina Dejac, la linea Hamilton per Nordic Furs, la Albinea – divenuta poi Pianoforte – per Max Mara, le collezioni della pellicceria Matti e della camiceria per la Ascom e Lory of Florence, la maglieria Blumarine e i costumi da bagno Armonia. Cadette – impresa fra le prime a intuire l’importanza dell’unione tra stilismo e industria, avendola sperimentata con il precursore Walter Albini – nel 1978 lo ingaggia come fashion designer. Nel 1983 Moschino comincia a “firmare” i propri capi, prima quelli femminili e poi le collezioni uomo.
Nel 1984 la società Franco Moschino si unisce con Moonshadow, una società specializzata nell’organizzazione di attività promozionali dei marchi emergenti nel campo dell’abbigliamento, degli accessori e dell’arredamento. Dal 1984 al 2000, anno dell’acquisizione da parte della AEFFE – l’impresa riminese dei fratelli Alberta e Massimo Ferretti, licenziataria “storica” del marchio Moschino – la società Moonshadow concentra le attività di creazione stilistica, promozione e gestione delle licenze di produzione distribuite fra diverse aziende fra cui, oltre alla citata AEFFE, Sportswear International (jeans), IPAC e ALMA (maglieria), Maska e Miroglio (abbigliamento femminile), Portolano (guanti), Malipiero (cartoleria), Lario Seta (foulard), Ottica Ratti (occhiali), Falc (calzature) Marvel (costumi), Redwall (pelletteria), Sharra Pagano (bigiotteria). Moltiplicatisi nel corso degli anni fino a diventare una ventina, i contratti di licenza segnano il rapido diversificarsi dall’Alta Moda femminile in cui lo stilista aveva esordito con il marchio Moschino Couture, al prêt-à-porter, all’abbigliamento maschile e a quello casual, alla maglieria esterna e all’intimo, agli accessori.
I risultati economici sono di assoluto rilievo: nel 1988 gli utili realizzati da Moonshadow oltrepassano il miliardo di lire. Un traguardo che riflette la felice intuizione concretizzatasi nel lancio sul mercato della collezione Cheap&Chic, prodotta dalla rete di laboratori esclusivisti, organizzata tra Romagna e Marche, e pensata per i giovani, che gli consente di interpretare al meglio il ruolo di maestro della dissacrazione che la stampa di moda gli ha attribuito sin dalle prime sfilate. Dal punto di vista stilistico la collezione è ispirata dall’irrisione del culto dell’immagine che pervade la società dei consumi degli anni Ottanta, bersaglio delle provocazioni e dei paradossi di Moschino. L’irriverenza verso la moda prende la forma di oche applicate ai vestiti femminili, uova fritte disegnate sulle tasche, abiti stampati «no stress no dress», a cui si aggiungono il tubino nero con prezzo ricamato, l’autoironica T-shirt con la scritta «Moschifo», i vestiti fatti con i sacchi della spazzatura, con posate al posto dei bottoni e tazze invece del reggiseno. Nella campagna pubblicitaria del 1990, considerata il culmine della sua battaglia, di cui è al tempo stesso paladino e vittima, la moda è rappresentata da un vampiro abbinato alla scritta «Stop the fashion system».

Nel 1993, per celebrare il decennale della griffe Moschino, la Permanente di Milano gli dedica la mostra retrospettiva 10 anni di caos, in cui Moschino espone per la prima volta al pubblico i propri quadri. Nel 2000 il brand passa sotto la direzione artistica di Rossella Jardini Conti, la quale riprende – per rielaborarla in chiave contemporanea – l’heritage lasciata dallo stilista - prematuramente scomparso nel 1994 - mix di originalità irriverente e genialità creativa.

lunedì 27 giugno 2016

ABOUT_La Rinascente



Mecca dello shopping made in Milano e di desiderata lussuosi o comunque denotanti il gusto e lo stile italiani, la Rinascente vanta una storia di tutto rispetto che affonda le radici nel lontano 7 dicembre 1918, quando all’ombra del Duomo, grazie all’intraprendenza del senatore Borletti, apre i battenti, in segno – tra le altre cose – di fiducia verso nel sorti di un Paese appena uscito dalla grande guerra, vittorioso nella morale ma economicamente a pezzi. Recuperando gli spazi dei locali ormai decadenti dell’emporio Aux Villes d’Italie, voluto da Ferdinando Bocconi nel 1865, deve il suo nome, subliminale invito a una “rinascita” della vitalità economica italiana, a Gabriele d’Annunzio di cui Borletti è mecenate. Una rinascita che però pare essere stoppata da una malasorte fatale: diciotto giorni dopo l’inaugurazione, infatti, il magazzino va a fuoco. Un incidente che non ferma in alcun modo la frenesia e il desiderio di rimettere in piedi i fasti del Belpaese, tanto che in pochissimo tempo riprende la sua piena attività, all’insegna dello slogan “portare la moda a tutti”, complice l’innovativa realizzazione di un catalogo mensile da inviare per posta e in cui rappresentare le tendenze di stile dettate dal momento. Proprio così, in quegli anni La Rinascente forse più di ogni altro attore rappresenta un fattore di modernità e democratizzazione, volto a rendere fruibili a chiunque aspetti fino ad allora appannaggio delle classi più abbienti. Un approccio rivoluzionario per l’epoca che pone a mettere sullo stesso piano i diversi ceti sociali, nel rispetto di un principio di uguaglianza che mina la ferree discriminazioni, eredità di una società fortemente ancorata a una clusterizzazione praticata sulla base di criteri d’appartenenza. In un documentario realizzato dalla Rai Tv sugli anni ’30, nel quale La Rinascente viene presa come azienda simbolo, Gaetano Afeltra – grande firma del Corriere della Sera – racconta che ad Amalfi, il suo paese natale, la gente aspetta con ansia il catalogo mensile del magazzino milanese e lo sfoglia come se svelasse il favoloso mondo della moda. Anche nel Nord, fino agli anni ’50-’60, quando le boutique sono ancora rare e troppo esclusive e le catene dei grandi magazzini d’abbigliamento presentano prodotti medio-bassi, è numeroso il pubblico femminile che stagionalmente e nel periodo natalizio approda a Milano per recarsi alla Rinascente a vedere la moda: gli abiti e gli accessori esposti già da allora possiedono quel tocco in più che fa la differenza. Ricostruita dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, continua nel ‘900 a fare la moda, divulgandone stili e tendenze, nell’ottica di una democratizzazione sempre più sensibile, che mira a coinvolgere con gusto e glamour tutti i ceti sociali.  Antesignana tra i punti vendita d’abbigliamento nel presentare il cosiddetto pronto moda, nel 1963 suscita scalpore con la realizzazione di un elegante corner dedicato alle creazioni di Pierre Cardin: per la prima volta nella storia, la moda firmata da un grande couturier viene presentata dalla grande distribuzione e a prezzi accessibili. Altro che le ben più recenti capsule collection firmate da celebri stilisti e vendute da catene low cost! Sulla scia di Cardin seguono altri prestigiosi nomi – tra i quali svetta Lanvin -  con collezioni dedicate però all’uomo. In virtù del coordinamento e dell’omogeneità dell’offerta, in modo da poter incontrare esigenze diverse e vestire completamente i propri clienti, avvalendosi di un’equipe stilistica strutturata e di designer qualificati (tra cui Biki Louis de Hidalgo, Alma Filippini, proprietaria dell’omonima griffe, Adriana Botti e un giovanissimo Giorgio Armani), la Rinascente ha sempre svolto un ruolo determinante per la moda, presente e puntuale nel momento preciso in cui evolvono e prendono forma le tendenze, assurgendo all’autenticazione di vero e proprio canone estetico.
Nel tempo ha realizzato grandi manifestazioni monotematiche, come la mostra mercato sul Messico e Seta + Seta (invero 1985/1986), riuscitissimo connubio tra moda, cultura, tradizione e etnie. Ha collaborato inoltre con la Triennale, sperimentando soluzioni innovative nell’ambito della grafica, dell’arredamento, dell’oggettistica con il supporto di nomi eccellenti quali Giò Ponti, Bruno Munari, MAx Huber, Tomàs Maldonado, Robert Sambonet e Albe Stenier.

In perfetta simbiosi con i mutamenti storico-sociali, la Rinascente ha sempre mantenuto intatto il suo ruolo di ribalta per grandi firme della moda pronta, ospitando nei suoi spazi i più emblematici nomi dello stile italiano e del lusso internazionale, da Valentino a Zegna, da Dolce & Gabbana a Versace a Ralph Lauren. Nel 2007 è periodo di restyling e dopo mesi di lavoro riapre al pubblico con un’immagine tutta nuova: un progetto che la porta ad avere una splendida terazza all’ultimp piano che si affaccia sulle guglie del Duomo. L’architetto – Lifschutz Davidson Sandilands si è ispirato ai grandi shopping mall d’Europa, da Harrods a Galeries Lafayette. La Rinascente è nuova, è “rinata”: è sempre più luogo di culto in cui poter dilettarsi in uno shopping dedicato che ora contempla anche le eccellenze food made in Italy. Per un’esperienza d’acquisto emozionale e a tuttotondo, che mira a coinvolgere ogni aspetto della quotidianità, ponendo – come sempre – al centro di tutto il cliente. Un’esperienza che dal 2016 si arricchisce di un ulteriore elemento come il riconoscimento quale miglior department store nel mondo.

mercoledì 22 giugno 2016

ABOUT_Lusso e dintorni



“Lusso: s.m. (dal lat. luxus, -us, sovrabbondanza, eccesso nel modo di vivere). Sfoggio di ricchezza, di sfarzo, di magnificenza; tendenza (anche abituale, come tenore di vita) a spese superflue, incontrollate, per l’acquisto e l’uso di oggetti che, o per la qualità o per l’ornamentazione, non hanno un’utilità corrispondete al loro prezzo e sono volti a soddisfare l’ambizione e la vanità più che un reale bisogno”. Così recita l’Enciclopedia Treccani alla voce lusso, un fenomeno che dalla definizione stessa appare fortemente legato al contesto sociale e culturale di un’epoca: probabilmente, infatti, se negli anni ’50 era un lusso possedere un’automobile, oggi questo non lo è più, avendo lasciato il posto piuttosto al modello di supercar posseduto…questo sì che fa lusso. Si tratta quindi di un concetto mutevole e che tuttavia, denigratori compresi, ha sempre affascinato l’umanità, rappresentando modi e oggetti di vita da desiderare e a cui ambire, visibili e riconoscibili da chiunque. Una sorta di formulario le cui diciture sono risuonate per l’uomo, nel corso dei tempi, una specie di distinzione: se le rispetti entri di diritto nell’universo lusso, altrimenti ne resti fuori. A ben guardare, da ciò scaturisce una divisione della società al proprio interno: ecco perché probabilmente è idolatrato dai suoi sostenitori, che lo interpretano come una molla propulsiva per il progresso nonché come un’importante industria, e denigrato dai suoi detrattori, che lo vivono come uno smacco morale o, peggio ancora, un indebolimento. Un desiderio, quello dell’uomo, di dimostrare il suo grado di benessere e prestigio, diffuso sin dagli antichi egizi che si facevano tumulare con tanto di gioielli, suppellettili, armi e a volte mezzi di locomozione: tutti quegli oggetti, in altre parole, che in vita li avevano accompagnati nella loro scalata sociale, testimoniandone visibilmente l’ascesa graduale. Una voglia di grandeur che ancora oggi ci accompagna - forse non fino alla tomba - condizionando le nostre scelte. Connesso alla moda, però, spesso e volentieri viene snaturalizzato della purezza del suo significato, venendo associato a oggetti inondati di loghi in caratteri cubitali nel tentativo di far comprendere appieno di quale maison siano i capi e gli accessori indossati: un’ostentazione alquanto gridata che risulta nettamente in contrasto con una sussurrata esaltazione di raffinatezza quale è in realtà il lusso. Perché sì, con lusso si intende proprio un prodotto di altissima qualità, realizzato artigianalmente, nel rispetto delle più nobili tecniche produttive, con l’utilizzo di pregiati materiali e un culto meticoloso dei dettagli. Non è un logo gridato né un eccesso provocatorio ad ogni costo, bensì un bell’oggetto o, altresì, potersi permettere lo stile di vita che più piace. Il lusso è pertanto qualcosa di evocato ed accennato, che emoziona e non aggredisce, che suggella l’armonia di un’atmosfera che attiene intimamente a un vero e proprio modo di vivere. Il tutto girando al largo dalla volgarità di cui ne è addirittura il contrario, come asserisce madame Chanel. Accedere al lusso non è semplice e non solo per i prezzi spesso alla portata non proprio di tutti: ci vuole una vera e propria predisposizione mentale. Il lusso deve essere sognato e non perché se ne sente il bisogno, bensì perché rappresenta uno stile in perfetta sintonia con la nostra persona e a cui ambire…necessario quindi un percorso propedeutico che educhi a questo universo, infondendone la magia dello spirito. In virtù delle sue caratteristiche intrinseche, il lusso si colora di una sfumatura eterna: ha una storia, che conferisce prestigio, e soprattutto un futuro, che infonde uno slancio avantgarde. Esula dal campo degli oggetti alla moda che hanno letteralmente il tempo di una stagione. Riassume in sé tradizione e progresso e non è affatto democratico come spesso ultimamente molti si ostinano ad affermare: se fosse per tutti che lusso sarebbe? (sulle orme di un interrogativo ormai celebre posto da un lussuosissimo Tom Ford…). È per pochi, è qualcosa di limitato: ecco perché le famose limited edition godono sempre di un senso di lusso innato. Disponibili in nei numeri e per poco tempo…più élitario di così. Impossibile non notare quindi come trascenda dai bisogni meramente funzionali e si spinga oltre. Ma in questo modo giunge a conquistare una sfera di noi stessi che esula anche da quelli che sono i nostri desideri più reconditi, approdando a quella dimensione che profuma di sogno. Lambisce quindi il nostro intimo, soddisfa un piacere segreto e  appaga l’edonismo. Il lusso è quindi per noi stessi in prima istanza e soltanto dopo si connota delle varie e possibili implicazioni sociali e culturali. Il lusso per antonomasia diviene sinonimo di personalità, un bene che non si può comprare e che cristallizza lo stile e il lifestyle. Sicuramente una cornice amena aiuta e rende tutto più armonico. Non si cada però nell’errore di ritenere che quest’ultima sia la sola condizione necessaria: imprescindibile è la nostra naturale propensione ad assaporare e vivere il sogno. Un’inclinazione che fortunatamente non ha prezzo, rivelandosi quindi, in un certo qual modo, la cosa più lussuosa che si possa sognare di avere. Lusso inteso quindi come carattere, con un pizzico di magia. Con l’obbligo di non fossilizzarsi sulla questione e godersi la “conquista” di questo universo su invito.