Moda e cinema. Una delle accoppiate più celebri che da sempre
caratterizza il viaggio a due della moda con le altre forme espressive
artistiche. Innumerevoli sono le contaminazioni tra queste due discipline
creative e, chiedersi quale sia la natura del loro legame, è un dilemma che da
tempo occupa la mente e le energie di studiosi e appassionati cultori.
Ma cosa succede quando la moda entra di
diritto nel cinema, che diventa così proscenio privilegiato? Si apre qui una
parentesi a parte, che implica di andare a scovare nella storia della
cinematografia film e sceneggiature che
vedono la moda protagonista a tutti gli effetti e non come semplice
implicazione trasversale, chiamata in causa obbligatoriamente per esigenze di
costumiste e registi. A conti fatti,
non sono più di una ventina i film di un certo rilievo che si occupano di moda:
avventure o commedie, gialli o documentari che siano, si tratta di pellicole
girate in un atelier, o ambientati nell’universo delle mannequin di una volta o
delle fotomodelle di oggi. In altre parole, contesto o protagonisti sono
indissolubilmente legati al mondo della moda, la quale diviene la colonna
portante attorno a cui ruota l’intera sceneggiatura. Senza quasi bisogno di
precisarlo, Hollywood la fa da padrona, seguita dal cinema italiano (i cugini
d’oltralpe sono invece presenti con un solo film). Giusto per cominciare,
impossibile non citare Sinners in the Sun (Peccatori, 1932,
di Alexander Hall, con Carole Lombar, Chester Morris e Cary Grant). In un’elegante
località della California, tra coppie di ricchi affermati ne finisce una di
poveri dipendenti di una casa di moda. Entrambi hanno frivole avventure d’amore
e la protagonista femminile (Lombard) non nasconde mai il suo sogno d’indossare
gli splendidi abiti della Maison. Finale con morale a sorpresa per questa
commedia frizzante: “il denaro non è tutto”. Segue due anni dopo Fashion
of 1934 (Le armi di Eva, 1934, di William Dieterle, con William Powell
e Bette Davis). La storia di due americani a Parigi, il truffatore (Powell) e
la disegnatrice di moda (Davis), che vogliono rubare i gioielli di un grande
atelier. Per farlo, lui si finge stilista: un ruolo che gli riuscirà talmente
bene da conquistare il mondo della couture parigina. È poi la volta di Roberta
(1935, di William A. Seiter, con Irene Dunne, Fred Astaire, Ginger Rogers e
Randolph Scott). In fuga dalla Rivoluzione d’ottobre, una principessa russa
ripara a Parigi, dove diventa disegnatrice di moda e fa innamorare il suo
principale. Una storia ai limiti del romanticismo, resa celebre dagli
indimenticabili numeri di danza della coppia Ginger Rogers – Fred Astaire. Al 1937 risale il primo film italiano
sul tema: La contessa di Parma (di Alessandro Blasetti, con Elisa Cegani,
Antonio Centa, Maria Denis, Umberto Melnati, Osvaldo Valenti, Nunzio Filogamo).
Una commedia degli equivoci, ironica e sofisticata, con sequenze girate nel
vero ambiente dell’alta moda torinese: l’indossatrice Marcella, lanciata con il
soprannome Contessa di Parma in virtù del suo portamento aristocratico, fa
innamorare il centravanti della nazionale di calcio. Come cita Paolo Mereghetti
nel Dizionario dei film “gustosa
commedia ambientata nell’high society emergente dell’epoca (moda e+ calcio) che
Blasetti definì come “il film più cretino” che avesse mai fatto”. Nello
stesso anno, a Hollywood esce Vogue of 1938 (Modella di lusso,
1937, di Irving Cummings, con Joan Bennet, Warner Baxter e Misha Auer), un
musical sulla rivalità tra due case di moda della Fifth Avenue. Con i sui
capricci la moglie di uno dei proprietari mette in crisi gli affari
dell’atelier; all’intuito di una modella piena d’iniziativa la risoluzione di
tutti i problemi. Più che il film e il set cinematografico, Cummings dirige le
sfilate, al suono di meravigliose canzoni come That old Feeling. L’anno seguente è la volta di Artists
and Models Abroad (1938, di Mitchell Leisen, con Jack Benny, Joan
Bennet e Mary Boland) e delle peripezie di una troupe musicale di fanciulle e
del loro manager, in difficoltà a Parigi. A soccorrerli il provvidenziale
intervento di un petroliere texano multimiliardario. L’enfasi sull’eleganza e
la moda contraddistingue questa pellicola dalle altre simili del periodo. Nel
corso della guerra esce negli USA Lady in the dark (Le schiave della
città, 1944, di Mitchell Leisen, con Ginger Rogers, Ray Milland, Warner Baxter
e Misha Auer): un mix di moda e psicanalisi. Alle prese con tre pretendenti, la
direttrice della rivista fashion Allure ha problemi col proprio inconscio.
Decide quindi di andare dallo psicanalista e, alla fine, oltre la sicurezza in
se stessa trova anche l’uomo giusto. Versione musicata di uno spettacolo di
Broadway, è un esempio lampante di una tipica commedia romantica anni ’40:
ricca, stilizzata, divertente. È ancora periodo di guerra quando arriva sugli
schermi americani Laura (Vertigine, 1944, di Otto Preminger, con Gene Tierney,
Dana Andrews, Clifton Webb e Vincent Price), un archetipo noir denso di
ambiguità e mistero. Mentre indaga su un delitto, un tenente di polizia
s’innamora del ritratto della morta, Laura, direttrice di un’agenzia di
pubblicità. Tra peripezie e colpi di scena vari, la donna ricompare in carne e
ossa e si scoprirà che la vittima era un’oscura indossatrice. Secondo la
migliore delle tradizioni, con una strepitosa Gene Tierney negli eleganti abiti
di una dark lady. Coetaneo il francese Falbalas (1944, di Jacques Baker,
con Micheline Presle, Gabrielle Dorzat). Un raro esempio di commedia europea,
sentimentale quel tanto che basta per non tralasciare aspetti più ironici
relativi all’ambiente dell’alta moda parigina. Non mancano inoltre ricordi
personali legati all’adolescenza del regista, dal momento che la madre lavorava
nell’haute couture. Al francese segue un titolo del cinema italiano: Cronaca
di un amore (1950, di Michelangelo Antonioni, con Lucia Bosé, Massimo
Girotti e Franco Fabrizi). Sposata a un ricco industriale, Paola ritrova
Giulio, un vecchio amore. I due diventano amanti, progettando di eliminare il
marito. Primo lungometraggio di
Antonioni con il quale introduce il ritratto noir della borghesia milanese
nell’epoca del neorealismo. Splendida la Bosé nelle elegantissime mise
disegnate da un giovanissimo Fausto
Sarli così come nelle indimenticabili sottovesti. L’atelier Noberasco aveva aperto per l’occasione le sue porte di via Manzoni
a Milano, prestandosi a set di alcune scene. Hollywoodiano invece il
rifacimento Lovely to the At (Modelle di lusso, 1952, di Mervin Le Roy, con
Red Skelton, Ann Miller e Kathryn Grayson), seconda versione con notevoli varianti di Roberta. Tre amici di Broadway vanno a Parigi, dove uno di loro ha
ereditato una maison di moda. Dopo aver scoperto che è sommersa dai debiti, la
rimettono a galla grazie a una sfilata spettacolo (le sequenze dello show sono
dirette da Vincet Minnelli). Dello stesso anno l’italiano Le ragazze di Piazza di Spagna
(1952, di Luciano Emmer, con Lucia Bosé, Cosetta Greco, Liliana Bonfatti,
Eduardo De Filippo e Marcello Mastroianni), la storie di tre sartine di un
atelier romano raccontata nello stile quotidiano e ironico come solo Emmer sapeva
fare. Annoverato tra i prototipi del
neorealismo rosa, il film vanta una voce narrante d’eccezione: lo scrittore
Giorgio Bassani. Il Belpaese torna trionfante con il film vincitore del
Leone d’argento Venezia Le Amiche (1955, di Michelangelo
Antonioni, con Eleonora Rossi Drago, Valentina Cortese, Yvonne Forneaux,
Gabriele Ferzetti, Franco Fabrizi, Madeleine Fisher, Ettore Manni). Tratto dal
racconto di Cesare Pavese Tre donne sole,
il film racconta la storia di Clelia: direttrice di una casa di moda, arriva a
Torino per aprire una boutique; qui frequenta ricche borghesi, indossatrici,
intellettuali. Su sceneggiatura scritta
da donne (Suso Cecchi D’Amico e Alba de Cèspedes), la pellicola propone in
scene filmate un dramma amaro, dove i vestiti dell’atelier delle sorelle
Fontana contribuiscono al disegno psicologico dei personaggi. Correva
l’anno 1957 invece per Funny Face (Cenerentola a Parigi, di
Stanley Donen, con Audrey Hpburn e Fred Astaire). Un fotografo maturo scopre il
volto di una giovane modella dal grande portamento, la lancia nel mondo della
moda e se ne innamora, ricambiato. Un musical di grande stile ed eleganza,
ambientato negli ambienti più tipici della Ville Lumière. Un allora giovanissimo Richard Avedon, che all’epoca scattava per Vogue
e Harper’s Bazaar, aveva supervisionato le immagini, rendendolo uno dei film
più aderenti al mondo della haute couture. Vestita da Givenchy, Audrey Hepburn unisce sapientemente grazia sofisticata a
naturale simpatia. Ancora italiano il film Sei donne per l’assassino (1964, di
Mario Bava, con Eva Bartok e Cameron Mitchell), la storia di serial killer
ambientata nel mondo della moda (progenitore di Sotto il vestito niente).
Proprietario e direttore di un prestigioso atelier uccidono un’indossatrice per
coprire un vecchio delitto. Da qui s’innesca una catena di omicidi. Barocco e
sadico, all’epoca era stato accusato d’immoralità. Si arriva agli anni ’90
invece con Prêt-à-porter
(1994, di Robert Altman, con Julia Roberts, Sophia Loren, Marcello Mastroianni,
Kim Basinger, Anouk Aimée, Lauren Bacall, Rupert Everett e numerosissime
comparse effettivamente legate al mondo della moda, nel ruolo di se stessi). In
una Parigi in piena settimana della moda, brulicante di stilisti, modelle,
giornalisti, fotografi e vip, viene commesso un omicidio. Critico come sempre, Altman utilizza il mondo della moda quale
metafora di una società delle apparenze, che cela sotto l’immagine difetti e
vizi. La stilista Aimée protesta contro la mercificazione, organizzando una
sfilata di modelle nude. Davanti alla
macchina da presa del regista compaiono schiere di star, tra le quali le ex
modelle Basinger e Bacall, oltre ai veri stilisti nel ruolo di se stessi
(Ferré, Trussardi, Gaultier). Del 1995 Unzipped (Sbottonate, di Douglas
Keeve, con Isaac Mizrahi, Cindy Crawford e Linda Evangelista), un documentario
americano sulle sfilate dello stilista Isaac Mizrahi. In un mix di pellicola e
video, colore e bianco e nero, il
regista alterna immagini ufficiali della passerella con altre, ufficiose, delle
modelle dietro le quinte. Palcoscenico e backstage si alternano in questo
ritratto a cui prendono parte anche le più rinomate topo model nel ruolo di se
stesse: Cindy Crawford, Linda Evangelista, Naomi Campbell, Kate Moss. Last but non least, battente bandiera a
stelle e strisce, Il Diavolo veste Prada (2006, di David Frankel, con Maryl
Streep, Anne Hathaway e Simon Baker), storia (realmente) ispirata alla
temutissima direttrice di Vogue America, Anna Wintour. Una giovane assistente
si trova catapultata nella frenesia di Runway,
la più importante rivista di moda americana, diretta dall’esigentissima e impietosa
Miranda Prestely (Maryl Streep). Tra paia di Jimmy Choo, tailleur Chanel e
foulard Hermès, la vita patinata della moda sfila nei suoi aspetti più glamour
e in tutta la sua velocità di reazione, portavoce di un universo ben più vicino
alla realtà quotidiana di quanto si possa pensare.
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