C’era una volta la sartoria.
In bilico tra psicologia ed estetica, virtuosa nel cambiamento ma attenta a
preservare la tradizione più pura, ha vissuto il suo periodo d’oro a cavallo
degli anni ’50, quando veniva celebrata quale sublime espressione di stile ed
eleganza in un’Italia appena uscita dalla guerra e desiderosa di riscatto. Il
successivo boom economico e la conseguente diffusione del benessere hanno però
indotto un aumento tanto massiccio dei beni di lusso da determinare la nascita degli abiti industriali e, più in
generale, della moda pronta. Una svolta epocale nella storia del Paese e
soprattutto nelle abitudini dei consumatori che ha innestato un inesorabile appannamento della sartoria su
misura. Un’inversione di tendenza
per così dire rallentata negli anni ’90 con lo sviluppo massiccio della
strategia di produrre in modo industriale beni personalizzabili secondo i gusti
della clientela: un “giusto”
compromesso tra massificazione e customizzazione, nell’ottica del rispetto
di logiche di profitto che non tralascino però di considerare, anche se
velatamente, le preferenze intrinseche del consumatore finale. È il caso di prodotti particolari, diversi dai concorrenti
a livello tecnico, funzionale ed emotivo: fattori che inducono il cliente a
pagare un plus valore, quintessenza di significati sublimi e sussurrati. Due
esempi su tutti, la personalizzazione delle polo Ralph Lauren e della calzature per adulti Kikers.
Una
strategia che ha affascinato anche il mondo della moda classica maschile al
punto da sviluppare l’apposita etichetta “su misura”: un elemento che ha
attratto nuove fasce di consumatori, sia per età che per potere d’acquisto, decise più che mai ad avere sì un completo
firmato ma, al tempo stesso, caratterizzato da piccoli dettagli personalizzati.
Una propensione tutta nuova che ha
coinvolto soprattutto le griffe più importanti, lambendo di striscio le
sartorie vere e proprie, protagoniste di un ulteriore offuscamento negli ultimi
anni: nel 2007 erano 473 per arrivare nel 2011 a 302. Un dato che appare in
netto contrasto con l’esito della semplice ricerca in internet della voce
“abiti su misura”: sono 300mila i risultati che si possono ottenere. Peccato, però, che ben pochi siano sarti
effettivi, trattandosi, nella maggior parte dei casi, di commercianti di abiti
dalle strutture molto snelle, che offrono un servizio di sartoria rivolgendosi
a maestranze esterne. Non è raro, inoltre, il caso addetto commerciale che,
armato di metro e cartella tessuti fornita dai lanifici, si rechi a far visita
al cliente, eliminando così fisicamente il punto vendita.
Se è vero quindi che un abito di sartoria
sia necessariamente fatto su misura, non è altrettanto esatto il contrario, affermare
cioè che un abito tailor made sia di
sartoria tout court. Questi ultimi molto hanno in comune con i primi –
soprattutto per quanto attiene gli aspetti emozionali (visibilità,
riconoscimento sociale, ricerca d’identità, ecc.) – ma si differenziano per le caratteristiche più formali: non sono cuciti
interamente a mano e non sono realizzati a partire da un cartamodello disegnati
sul cliente. In compenso, garantiscono costi più contenuti e tempi d’attesa
notevolmente ridotti. Ecco quindi che il su misura, detto anche bespoke
(in perfetto stile anni ’60), si è arricchito nel corso della seconda metà del
‘900 di altre due sfumature: il semi-sartoriale
e l’industriale termosaldato.
Bespoke
L’abito sartoriale per eccellenza: tra le
50 e le 80 ore di lavorazione, 4mila punti per il solo petto della giacca,
interamente tagliato e cucito a mano, doppiato – affinché il capo mantenga la
forma - e stirato. Personalizzabile
in ogni elemento, richiede dalle due alle tre prove perché caschi a pennello,
almeno per il primo. Realizzato il cartamodello, non è più necessaria la
presenza del cliente per un ordine successivo, eccezion fatta per la scelta del
tessuto. Un servizio offerto
dall’artigiano sarto per un cliente che ricerca la qualità ed l’esclusività.
Una sartoria che preserva la tradizione, strizzando l’occhio all’innovazione: non sono rari i casi, infatti, di
laboratori che mirino alla destrutturazione degli abiti – soprattutto delle
giacche – alla volta di capi senza peso che mantengano però la forma. Un
compromesso reso possibile, per esempio, dalla stretta collaborazione con i
lanifici, in modo da creare tessuti elastici e ineguagliabili, ottenuti da
fibre extrafini, frutto di tecniche esclusive di lavorazione. Qualche nome
blasonato nel settore: Gaetano Aloisio,
Carlo Brandelli, Gianni Campagna e Domenico
Caraceni.
Semi-sartoriale
Un combinato di antico e moderno. Un sarto
o un commesso specializzato prova al cliente numerosi capi-modello fino a
trovare quello che più gli si addice per forma e stile; vengono quindi prese le
misure, si sceglie il tessuto, si decidono le personalizzazioni e, dopo una
sola prova, il capo è pronto. L’abito è in parte cucito a macchina e in
parte a mano (girospalla, asole, impunture, iniziali, ecc.). Le ore di
lavorazione e i costi relativi diminuiscono sensibilmente; il tessuto e la struttura
differenziano fortemente dall’offerta. Tra i nomi più celebri, degni di nota la
Sartoria Rossi di Arezzo, Luca Minori di
Torino, Veri Sarti di Crema.
Termosaldato
Di fattura industriale, si tratta in ogni
caso di un abito su misura a tutti gli effetti: taglio e cuciture sono
realizzate a macchina e la struttura per mantenere il capo in forma è
termosaldata al tessuto esterno. Soluzioni produttive che implicano un
abbattimento delle ore di lavorazione e quindi dei costi finali. Le possibilità di avere un capo unico sono
molteplici: tessuto, mono o doppiopetto, tasche e taschino, revers, numero
di bottoni delle maniche, spacchi, fitting, contrasti, fodera, piping,
colletto, asole, orlo, ecc. Soluzioni agevoli fornite soprattutto dagli
e-commerce iTailor e Tailor4less.
Intesi
che il miglior consiglio sia quello offerto dal sarto (meglio se di fiducia), conoscere però i dettami dello stile e
qualche regola pratica su cosa indossare quando, nonché sviluppare una
personale affinità per gli abbinamenti, si rivelano fattori strategici per
poter creare un look che più corrisponda alla nostra persona.
Nulla toglie che l’abito sia facile da
indossare: giacca e pantalone dello stesso colore e tessuto non consentono
di incappare in clamorosi errori cromatici e non. Oltre ai classici grigi e ai blu, questi ultimi indicati anche per le
cerimonie, sono apprezzati le declinazioni dei blu e le fantasie. Lo
spezzato è divenuto invece il segno distintivo di molti imprenditori e top
manager attenti allo stile. Da ricordare che il su misura richiede revers a lancia nelle varie larghezze, da 8 cm in
su. La giacca ready-to-wear, in
altre parole quella alla moda, va portata abbastanza corta e piuttosto
fasciante: caratteristiche alle quali non è invece vincolata quella made-to-measure.
Un su misura, quindi, che rispecchia appieno gusti ed esigenze, carattere e identità. Atemporale nella sua forma così come
nei contenuti, accompagna nell’affermazione sociale della propria personalità. A
ciascuno il suo: non vi sono regole ferree
per tracciare le linee di stile della propria vocazione estetica. Pertanto,
libera interpretazione ed espressione dell’eleganza, con un occhio attento alla
personalizzazione della tradizione, al buon gusto e, ça va sans dire, al senso della misura.
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