Caso
più unico che raro nella storia della moda di perfetta osmosi tra uno stile di semplicità formale, grazia rigorosa,
culto dei dettagli e il suo creatore, uomo d’inossidabile eleganza fisica,
cultura eccelsa e gusto innato, Hubert de Givenchy rappresenta un caposaldo nella
couture finemente intesa. Francese di
Beauvais, nel dopoguerra approda a Parigi, convinto d’intraprendere con
successo la strada della moda. Una scelta che non gli ha risparmiato le
resistenze della famiglia, come afferma l’indimenticata Maria Pezzi in un ritratto per Donna: “Aveva sostenuto una strenua lotta con la famiglia borghese,
protestante che non poteva pensare un figlio nella piovra della moda. Aveva
incontrato subito, con grande fortuna, l’accoglienza dell’atelier di Jacques
Fath, il più giovane, estroso, trascinante sarto del momento”.
Vicissitudini famigliari che si erano protratte nel tempo fino a quando era
approdato nella Maison di Robert Piguet,
più classico e soprattutto svizzero protestante. Dopo Piguet, breve sosta da Lelong e approdo felice da Elsa
Schiaparelli: un momento
particolarmente favorevole per lo stilista che si trova per quattro anni circa
in un atelier unico, diverso da ogni altro, con una sarta che non è una
sarta ma piuttosto un’artista, circondata a sua volta da artisti. Un contesto speciale e meraviglioso,
permeato di cultura e di sane contaminazioni tra le arti figurative; una base
sulla quale lo stilista sviluppa il senso del bello e dell’eleganza nella sua
accezione più sublime, caratterizzandolo per un’inconfondibile unione di stile,
classicismo e perfezionismo a ironiche note di fantasia, sorpresa ed
eccentricità.
Il debutto a 25 anni, nel 1952 ed è subito
successo. Tutti i giornali parlano indistintamente della blusa Bettina,
battezzata con il nome di una delle più celebri indossatrici dell’epoca. L’anno successivo, l’incontro, decisivo per
lui e per il futuro della Maison, con Audrey Hepburn,
che diviene la sua musa vivente, il suo ideale femminile, la personificazione
del suo stile. Fisco esile, sicurezza ingenua, bellezza interiore, nei film
come nella vita non porta che suoi modelli, diventando naturale ambasciatrice
della moda Givenchy: taglio classico,
toni teneri e gioiosi. L’abito a sacco (1953), il mantello dal collo avvolgente
(1958) e quello a garitta, la gonna a palloncino, l’abito a bustino (1969),
sono, insieme a certe tenute ispirate al mondo dello sport, agli abiti
grembiule, ai pantaloni a fiori di campo e ai suoi tailleur capolavoro, la
declinazione stilistica di Givenchy, caratterizzata, sin dalle prime
collezioni, da alcune note di fondo come i tessuti e le forme da camicia, il
comfort, l’eleganza e la sobrietà. L’incontro e la conoscenza con Balenciaga segnano un punto di svolta
per lo stilista, rafforzandone inequivocabilmente l’idea creativa: in lui
riconosce il proprio maestro nella concezione architetturale dell’abito e nella
spoglia ma scolpita vitalità. “Era un
uomo meraviglioso, univa a un diluvio di creatività una tecnica imbattibile. Da
lui ho imparato che non bisogna mai barare né nella vita né nel lavoro, che è
inutile un bottone a 5 buchi quando ne bastano 4, o un fiore in più. Lui e
Vionnet sono stati i più creativi”, così Givenchy ricorda Balenciaga a
vivavoce. Una stima radicata nel tempo, tanto che quando nel 1968 il sarto
spagnolo si ritira dall’alta moda, ne eredita la prestigiosa clientela,
costellata di attrici e donne da vero jet set internazionale: da Lauren Bacall
alla duchessa di Windsor, da Jean Seberg a Grace di Monaco a Jacqueline
Onassis. Nel 1988 l’addio di Givenchy al
mondo della moda e la vendita della Maison al gruppo Louis Vuitton di Bernard
Arnault: da allora la griffe ha alternato diverse guide creative fino ad
arrivare all’italianissimo Riccardo
Tisci che ha saputo recuperare e rivisitare il perfezionismo stilistico,
combinandolo a fantasiose note eccentriche, nel rispetto di un retrogusto
formale targato Givenchy.
Al lavoro dello stilista, consacrato da due Dé d’Or (1978 e 1982) e dall’Oscar dell’eleganza (1985), è stata
dedicata nel 1991 un’indimenticabile retrospettiva al Museo della Moda e del
Costume di Parigi a Palazzo Galliera.
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