Il cappello:
copricapo ma anche simbolo di personalità; accessorio e, al tempo stesso,
pubblica esternazione di sé. In altre parole, un abbellimento alla propria mise
nonché una consacrazione caratteriale a tutti gli effetti.
Volendo ripercorrere le sue peripezie storiche,
bisogna risalire agli anni ’20 del Novecento per ritrovare un’Italia alle prese
con l’esportazione di circa 12 milioni e mezzo di cappelli di paglia o di
truciolo verso il resto del mondo. Le aziende coinvolte in tale produzione
sono più di un migliaio e occupano circa 20mila dipendenti.
Dalla metà degli anni ’50, però, inizia un
inarrestabile declino: il cappello,
fino ad allora elemento immancabile nel guardaroba di ogni vero gentleman che
si rispetti, passa di moda. i vecchi cappellai cedono la loro attività, le
antiche botteghe spariscono. I modelli fino ad allora diffusi – dai
leggerissimi piuma agli enormi Dobbs, passando per le numerose varianti
create negli anni, tripudio di volumi e fogge diverse – escono dal concetto di eleganza, diventando mero oggetto di culto di
veri estimatori del genere. Un fenomeno di costume che implica un
cambiamento nelle dinamiche sociali e territoriali: i principali centri della produzione
si spopolano. I cappelli in feltro,
infatti, fino a questo delicato momento storico-culturale sono prodotti in
decine di piccole realtà artigianali sparse in tutta la penisola, che
contribuiscono al rinvigorimento economico del loro specifico ambito
territoriale, tanto da diventarne un punto di riferimento nonché un elemento
identificativo. Da Alessandria a Monza, da Biella a Intra, da Voghera a
Sagliano Micca, da Spinetta Marengo ad Alzano Maggiore, da Montappone a
Montevarchi a Prato, da Maglie a Cremona, è tutto un pullulare di botteghe
dedite alla realizzazione di cappelli dagli elevati standard qualitativi, che
impiegano forza lavoro, dando vita a un’autentica creatività squisitamente
italiana. Realtà floride che dalla seconda metà del secolo subiscono un declino
inarrestabile, portando alla desertificazione produttiva. Unica eccezione, la
Maison Borsalino, che, nel tempo, ha
detenuto il dominio nel Belpaese in fatto di produzione e creatività, divenendo
il marchio di riferimento dei cappellifici. Il suo capostipite – Giuseppe
Borsalino – emigra in Francia verso il 1840, dove si perfeziona nell’arte della
cappelleria, per ritornare in Italia nel 1857. Ad Alessandria, in piazza S.
Lucia, apre il suo primo laboratorio con vendita annessa. L’azienda conosce un
periodo di grande prosperità, che la porta ad essere nota a livello mondiale,
finendo a personalizzare le teste d’importanti personaggi. Giovanni Giolitti era solito portare esclusivamente cappelli di
questa marca, mentre un Borsalino grigio era indossato da Joihn Dillinger nel maggio del 1934 quando viene ucciso in un
conflitto a fuoco con la polizia americana. Al Capone, nei momenti di massima ascesa, si faceva confezionare
espressamente dalla ditta piemontese i cappelli per sé e per i suoi fidati
compagni, rigorosamente in pelo di castoro mischiato a quello di coniglio
garenne. Celebri, inoltre, le apparizioni cinematografiche del marchio, come
attestato dall’omonimo film interpretato da Jean-Paul Belmondo.
Glamour
a parte e volendo riportare l’attenzione sui dettagli formali, dettaglio di pregio
di un cappello che si rispetti è il marocchino,
quella striscia di pelle che lo cinge internamente, realizzata solo e soltanto
in capretto proveniente da Liegi, in Belgio. Il nastro, ovviamente di raso, e
la fodera, di seta, completano il capolavoro, quintessenza di estro,
raffinatezza e buon gusto.
Oggi come allora, i pochi marchi
sopravvissuti e specializzati nella realizzazione di simili meraviglie, operano
con la medesima maestria e cura del dettaglio, utilizzando le stesse tecniche e
strumentazioni: le forme in legno, le prese in ghisa, i vaporizzatori a molla,
i ripiani in ciliegio ricurvo. Una garanzia di qualità che passa attraverso
una precisione millimetrica e un amore per la tradizione, quasi a ridare vita
ad antiche meraviglie che non finiscono mai d’incantare. E se anche l’abilità
artigianale si avvicenda sempre di più con la modernità produttiva e le pelli
di coniglio lasciano spazio al pelo già trattato, nulla toglie che le quaranta
fasi di lavorazione – dalla soffiatura all’imballaggio - vengano osservate in tutta la loro minuzia
esecutiva, portando dopo 7-8 settimane alla realizzazione di bellissimi
cappelli in feltro, pronti per essere indossati con tutta la massima fierezza
di sé, consapevoli, ma non troppo, della meraviglia incantatrice che si
provocherà negli sguardi altrui. Piccoli segreti custoditi gelosamente dalle
varie Maison e grazie ai quali un copricapo può fregiarsi d’importanti marchi
quali Borsalino, Panizza, Barbisio,
Rossi e Bagnara di Cardanello.
ABOUT_Il cappello da uomo. Il cappello: copricapo ma anche simbolo di personalità; accessorio e, al tempo stesso, pubblica esternazione di ... ucappelli.blogspot.it
RispondiElimina