Pizzo, trina
o merletto.
Quale che sia l’appellativo utilizzato non cambia molto nell’immaginario
collettivo, che lo vuole come una delle
lavorazioni tra le più seducenti: intrigante ma raffinata, sensuale ma elegante.
Un gioco studiato di rivelato e non svelato, che molto dice ma ancora di più
evoca, che scopre sussurrando e copre con garbo e delicatezza. Il pizzo appare
come una sorta di continua antitesi tra
estremi che si respingono per attrarsi, quasi a suggellare la giusta convivenza
di due anime in apparenza distanti e differenti, sulla scia di un’iconica
commistione tra sacro e profano che, se ben riuscita, è in grado di dare
strabilianti effetti di charme e incanto.
Tecnicamente
parlando, le categorie di pizzo sono
due: quello eseguito con l’ago (evoluzione del ricamo) e quello al tombolo
(figlio della passamaneria). Per tre secoli, i pizzi sono stati eseguiti
rigorosamente a mano, assurgendo a concreta manifestazione di una minuziosa
abilità sartoriale, progenitrice della couture tout court, come ancora oggi la intendiamo.
Solo all’inizio dell’800 compaiono le
prime macchine, a Nottingham in Inghilterra, a opera di John Hethcoat e in
seguito di Leavers, che battezzerà il pizzo oggi conosciuto come “pizzo di
Calais”.
Da
un punto di vista storico, il pizzo
compare sulla scena del tessile e, di riflesso, del costume, relativamente
tardi, nella seconda metà del ‘500. All’inizio
due sono i poli di debutto: Venezia - all’epoca crocevia obbligato per ogni
tipo di merce – per quanto concerne il pizzo all’ago e le Fiandre per quello al tombolo. Prima di allora, per ottenere l’effetto di trasparenza (nel pizzo
dovuta alla struttura leggera con piccoli fori e vuoti) si ricamava un pezzo di
lino a festoni, lo si tagliava e si tiravano i fili. Da una simile constatazione
e invertendo il procedimento, ecco l’idea geniale: invece di distruggere il
tessuto, si creava una griglia su cui ricamare.
Fino al ‘700 il merletto fu utilizzato
anche dagli uomini per i jabot e i polsini arricciati che fuoriuscivano dalle
giacche. Con i primi dell’800, diventa esclusiva del guardaroba femminile,
usato per abiti, giacche, velette, ombrelli, scialli nonché come guarnizione di
biancheria e accessori. Da Venezia e dalle Fiandre, conquista il mondo intero: si diffonde subito in Francia poi in
Inghilterra, Spagna e Svizzera. In Asia e America del Sud fu probabilmente
importato dai missionari. Fra i merletti più famosi ad ago, ci sono quelli di
Alençon e Argentan in Normandia, fra i pizzi a tombolo, lo Chantilly, il
Valenciennes e il merletto di Burano o pizzo veneziano. L’arte del pizzo a mano è ancora insegnata in molte scuole
specializzate, mentre musei di tutto il mondo hanno ricche collezioni di
merletti antichi. Uno dei più famosi fabbricanti è Riechers-Marescot a Calais,
che lavora per i maggiori couturier del mondo.
Negli anni il pizzo ha contraddistinto le
note più glamour della moda per la sua duplice anima grazie alla quale, mentre suggella una
provocante sensualità, evoca un’eleganza raffinata, mixando sapientemente le
carte in un calibrato gioco di stili e ispirazioni. Elemento di lusso per la couture, declina il suo aspetto sofisticato
per merito dell’abilità manuale delle sarte che dedicano ore di lavoro alla più
perfetta resa formale della sua essenza. Non meno prezioso sul versante prêt-à-porter, che lo vede trionfare in ogni dove e in ogni come, vuoi elemento
preponderante di una creazione – abito, camicia, gonna, ecc. -, vuoi dettaglio
lussuoso, volto a elogiare un capo d’abbigliamento piuttosto che un accessorio
– bag, jabot, balze, scarpe. Intrigante
ma mai volgare, sussurrato e mai gridato, il pizzo mantiene inalterato il suo
fascino altero che rimanda ad antiche epoche aristocratiche. Ideale per il
giorno se utilizzato nella sua variante più discreta, diviene un alleato
insostituibile per la sera con total look capaci di incantare un’intera platea nelle
occasioni più mondane. La sua azione nobilitante non si ferma davanti a nulla:
dai look più formali arriva ad arricchire quelli più informali, donando in
ogni caso quel tocco d’indiscussa preziosità.
Molte maison – da Valentino a Prada, passando per Louis Vuitton -
lo utilizzano nelle loro collezioni, proponendolo di volta in volta declinato nelle
stagioni e negli outfit. Per alcune – Dolce&Gabbana in testa – è divenuto un must della loro cifra
stilistica: la coppia di stilisti made in Italy lo inserisce in ogni sfilata,
donandogli ora un’anima dark, ora una imperiale, ora una sexy. Il pizzo è
divenuto un elemento cardine della loro moda, un dettaglio di stile che evoca la tradizione della sicilianità più
pura tanto cara alla coppia e prezioso bagaglio d’ispirazione per la loro
moda. Dal classico tubino all’abito
corto dal tocco bon ton, dalla longuette super femminile alla blusa très
charmante, dall’inserto di gonne nelle fantasie più varie – animalier o
floreali che siano – alle bag e alle scarpe, il pizzo rivela la sua anima
versatile, pronta a sposare ogni linea e ogni forma. Per look dall’alto tasso
sensuale a tutte le ore del giorno, che non perderono mai di vista l’eleganza più
autentica.
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