Michel Comte,
fotografo svizzero, nasce nel 1954 a
Zurigo. Appena quindicenne, inizia a
viaggiare, vivendo dapprima in Inghilterra, poi in Francia e negli Stati Uniti.
Un’esplorazione che affina senza tregua la sua cifra stilistica e la sua perfezione
formale, facendolo diventare, in breve tempo, uno dei maggiori esponenti
dell’arte fotografica. Infatti, senza passare attraverso il classico tirocinio
da assistente, diviene subito fotografo
professionale, iniziando a pubblicare – nel 1979 – per le principali testate di
moda quali Vogue Hommes, Vogue America, Mademoiselles, Marie Claire e realizzando la sua prima vera grande
campagna pubblicitaria di moda, affidatagli da Karl Lagerfeld per le maisons
Chloé e Ungaro. Il suo stile apparentemente semplice e immediato – ma frutto
di attenti studi e di calibrate combinazioni di soggetti, oggetti e contesti –
lo identifica come uno tra gli
interpreti più bravi e coerenti, prossimo al reportage per la veridicità della
sua rappresentazione formale. Nel 1981
decide di trasferirsi a New York e poi a Los Angeles dove intensifica la
collaborazione con la Condé Nast e inizia a lavorare per Armani, Dolce &
Gabbana, Nike, Swatch e Revlon. In men che non si dica, diviene il punto di riferimento della
fotografia internazionale, immortalando varie celebrità del mondo dell’arte,
del cinema e dello spettacolo: da Julian Schnabel a Jeremy Irons, da Demi Moore
a Mike Tyson, posano davanti al
suo obiettivo, incantati dalla spontaneità delle sue immagini e, al contempo, dalla
sua perfezione stilistica. La vocazione
per la moda e la pubblicità e il successo ottenuto, non lo distolgono però
dall’interesse per le persone e la vita in sé considerata, che documenta
ben oltre i confini del suo studio: dal 1980, infatti, viaggia nei territori di guerra e nelle zone ad alto rischio in Afghanistan,
Iraq, Sudan, Cambogia e Bosnia, sia per conto
della Croce Rossa che della fondazione a suo nome, la Water Foundation.
Negli
anni, si è affermato come uno dei più grandi ritrattisti e fotografi di moda
contemporanei. Il suo spirito da autodidatta, condito da una buona dose d’irrequietezza
e avventura, ne ha caratterizzato lo stile al quale è sempre rimasto fedele. Ha spaziato tra i vari generi fotografici,
ma là dove ha dato il meglio di sé è stato nel ritratto femminile. Scatto
dopo scatto, ne ha affinato la tecnica, esprimendo al massimo il suo talento: il soggetto è sempre ripreso frontalmente,
in maniera diretta e chiara, pronto a dialogare con lo spettatore. Comte
condensa lo charme in una semplice immagine, supera il velo delle apparenze e
cattura l’espressione del viso, chiave rivelatrice dell’anima del soggetto. Nei
suoi ritratti, dosa perfettamente spontaneità e divismo: le donne, attraverso
il suo sguardo diventano divinità atemporali e, contemporaneamente, testimoni
della loro epoca. L’artista ne
celebra la loro forza e il loro sex appeal, senza però mai snaturalizzarle in
oggetti; ne glorifica la loro bellezza in composizioni brillanti e dall’intensa
carica emozionale, evitando gli effetti scontati e prediligendo sempre
l’istante in cui l’espressione e la posa della donna rilevano il suo essere più
profondo.
Le sue immagini, empatiche e seducenti,
catturano l’essenza dei soggetti con un impatto immediato e la ripropongono
allo spettatore in quanto tale. Le dive ritratte, pertanto, non appaiono
mai prigioniere dell’immagine che cercano di dare o di quella che se ne fa il
pubblico. Al contrario, sono istanti di prossimità che offrono un accesso
palpabile al mondo esterno. Tutte le star ritratte amano affermate a gran voce
che nelle foto di Comte appaiono per quello che sono veramente, senza filtri né
convezioni, senza forzature né marcature.
Nel 1999 la sua prima grane monografia:
Schirmer/Mosel pubblica “Michel Comte.
Twenty Years 1979-1999”, una
raccolta romanzata per immagini del suo lavoro, frutto dell’inventiva di un
uomo prima ancora che di un artista, che nei suoi scatti ha sempre cercato
di coniugare l’arte alla realtà,
l’artifizio alla semplicità, infondendo nelle sue fotografie un senso di
familiarità intimistica. Lo stesso senso che oggi come allora si respira
ogni qualvolta si ammiri una sua creazione, che cattura l’attenzione e rapisce
in un viaggio visionario nel magico mondo della moda, concepita nella sua
natura più recondita di impalpabile magia, in grado di tessere relazioni con le
sfumature anche solo accennate delle forme espressive.
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