Lo scorso 6 settembre ha inaugurato
alla Galleria Carla Sozzani di
Milano la retrospettiva PETER LINDBERGH –
Known and The Unknown. Un’esposizione
di 40 immagini che mostrano, da un lato, il Lindbergh più noto (Known) alle
prese con gli scatti patinati realizzati per le campagne pubblicitarie di Vogue
Italia, Interview, Harper’s Bazaar e, dall’altro, un Lindbergh più insolito
(The Unknown) con le immagini di una ricerca personale condotta dal fotografo
stesso ed esposta per la prima volta all’Ullens Center for Contemporary Art di
Pechino nel 2011.
Nella
sezione meno conosciuta, Lindbergh esplora la psiche umana nel suo volgere
quotidiano: quel
che ne esce è una sorta di storia senza tempo in cui si mescolano il glamour
del cinema made in Hollywood degli anni ’50, quello tedesco di Fritz Lang e la
produzione fantascientifica con una protagonista d’eccezione qual è Milla Jovovich, che proprio con
Lindbergh ha mosso i suoi primi passi appena tredicenne.
Che si tratti del Lindbergh
idolatrato dal grande pubblico o di quello intimista, sconosciuto ai più, il suo stile è però inconfondibile, frutto
di una ricerca perpetua e di un affinamento perpetuato nel tempo. La sua carriera inizia negli anni ’70, l’epoca
dell’eccesso in ogni sua forma: un’esasperazione a cui l’artista risponde con
un’estetica cinematografica pulita, che diviene ben presto la sua firma. I riferimenti a cui rimanda sono colti e le
modelle vengono ritratte nel modo più naturale possibile. Nei suoi scatti
non vi è spazio per un culto ossessivo dell’apparenza, bensì uno slancio vitale verso quella purezza
essenziale che contraddistingue ogni nostro gesto e scandisce ogni nostro
istante. Spesso Lindbergh scatta in studio,
un luogo-non luogo che diviene un teatro in divenire, dove la scena prende vita,
si sviluppa, si muove e arriva alla sua consacrazione formale: spesso sono
visibili gli elementi da set – i cavi elettrici, i bordi dei fondali -, quasi a
portare l’attenzione sull’elemento fotografico in sé, che diviene la vera
essenza immortalata dall’artista.
Peter Lindbergh
si è affermato sulla scena internazionale della fotografia, per così dire, all’improvviso.
Dopo due anni trascorsi come assistente
del fotografo tedesco Hans Lux, nel 1978 si trasferisce a Parigi, dove inizia a
lavorare dapprima per Vogue Italia e poi per le edizioni inglese, francese,
tedesca e americana.
In netta controtendenza alla
corrente dell’epoca, s’impone sulla
scena per il suo stile caratteristico e per la sua particolare interpretazione
della moda. Bandite le location esotiche
così come la ricchezza di sfarzi e decori, Lindbergh predilige la semplicità.
Sfrutta ambienti comuni, immortalando la normalità e la consuetudine della vita
quotidiana. Una visione semplice così come è la filosofia che sta alla base del
suo lavoro: “Quando si crea qualcosa – un
dipinto, un poema, una fotografia – la creatività viene da un’idea, da una
sensazione, da un’emozione o dalla combinazione di idee, sensazioni e emozioni
che, in qualche modo, rinascono dalle nostre esperienze e prospettive. La
creatività è il desiderio di esprimersi”. così afferma Lindbergh, definendo
implicitamente i paradigmi del proprio lavoro.
Eclettico
e appassionato alle molteplici forme espressive artistiche, i suoi riferimenti
sono colti, legati all’espressionismo tedesco, e approfonditi, trovando una
precisa corrispondenza nell’osservazione del mondo contemporaneo con tutte le
incertezze e angosce.
Nei suoi scatti restituisce sempre una
sensibilità toccante, che prende vita negli sguardi delle donne che ritrae,
anche quando si tratta di volti celebri del mondo della moda e del cinema quali
Naomi Campbell, Linda Evangelista, Milla Jovovich, Kristen McMenamy, Kate Moss,
Charlotte Rampling, Catherine Deneuve.
Un
approccio indagatore della realtà e della vita umana, che non ha mai disdegnato
le contaminazioni tra le diverse discipline artistiche, tanto da vantare
personalmente una carriera di tutto rispetto come cineasta. Ha realizzato numerosi film documentari, tra
cui Models – The Film (1991), girato
a New York con le supermodelle e
Inner Voices (1999), un
dramma/documentario, focalizzato sulla natura dell’autoespressività nella
recitazione e vincitore del premio Best
Documentary all’International
Festival of Cinema di Toronto nel 2000. Nel 2007 a Cannes ha presentato il
suo ultimo film Everywhere at Once,
co-diretto con Holly Fisher, la cui prima mondiale ha avuto luogo al Tribeca Film Festival di New York, 2008: narrato da Jeanne Moreau, questo film è
realizzato con le sue fotografie, molte inedite, e intrecciato con spezzoni del
film Mademoiselle di Tony Richardson.
PETER LINDBERGH – Known and The Unknown
Galleria Carla Sozzani
, Corso Como 10 – Milano
Lunedì 15.30 – 19.30; martedì – sabato 10.30 – 23.00; domenica 10.30 – 19.30
Fino al 4 novembre 2012
Ingresso gratuito
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