Secondo appuntamento con gli appunti di stile e di vita firmati Gianfranco Ferré. Un viaggio sospeso tra moda e realtà, tra fantasia e verità ma sempre ancorato a valori vitali che hanno fatto dello stilista un uomo prima ancora che un artista.
Dall'importanza dei dettagli - intesi come quelle parti del capo stesso chiamate a fare la differenza - oggi si passa al viaggio in Cina e al rimando di tutte le contaminazioni e ispirazioni che ha avuto nella cifra stilistica di Ferré, arrivando a trattare dell'eleganza - condizione innata nonché modo di porsi vero gli altri - e dell'emozione, elemento inscindibile dal nostro vivere quotidiano, in un curioso parallelismo tra esistenza e moda.
Buon viaggio!
Dettagli
“Condividendo
pienamente l’affermazione di Le Corbusier, secondo cui “Dio è nei dettagli”, ho sempre prestato grande attenzione ai
dettagli, da quelli “strutturali” - le cuciture sartoriali, per esempio - a quelli “decorativi”, come i ricami,
oppure i bottoni-gioiello. In verità, la mia passione più grande e sentita
riguarda i dettagli che creano l’effetto, che rendono unico e speciale anche il
capo più lineare e semplice per forma e costruzione. In quest’ottica il dettaglio che “fa la differenza” è spesso parte
stessa del capo: il collo, i polsi, la cintura, un fiocco, che amo
ingigantire, enfatizzare, “sproporzionare” rispetto alla configurazione
dell’insieme”.
Cina
“Magia
e realtà: nel corso degli anni trascorsi in India, ho conosciuto l’Oriente in
profondo, raggiungendo anche mete dove allora non era così facile arrivare.
Sono approdato in Cina nel 1973, in piena Rivoluzione Culturale, in Vietnam e
Laos poco dopo, appena conclusa la guerra, nel Nord remoto dell’India, in
Bangladesh appena dopo il distacco dal Pakistan… Ho visto la fatica quotidiana
del vivere, le cadenze rituali di certe abitudini, l’imperturbabilità di certi
ritmi, anche l’implacabilità di certe manifestazioni naturali e la
rassegnazione con cui vengono accolte dagli uomini. Se le emozioni e le
suggestioni che l’Oriente mi ha regalato in quantità impressionante si sono poi
tradotte in un lessico di eleganza, di raffinatezza, di bellezza, la chiave
autentica di lettura che dà coerenza a tutto ciò è il principio dell’essenzialità, innanzitutto nell’individuazione delle
forme e nella loro costruzione. Osservando le donne indiane drappeggiate nei
sari - ma anche le donne cinesi in casacca e pantaloni o le laotiane nel sarong
- le ho viste svolgere i lavori più umili e faticosi conservando una regalità
assoluta. Questo mi ha insegnato quello che io chiamo “il senso del corpo”, ovvero la
sua fisicità ed i suoi movimenti come elementi di riferimento a cui concedo
priorità assoluta nel processo di costruzione dell’abito. La “lezione”
dell’Oriente mi ha permesso di ricalibrare
il principio del lusso e dell’opulenza, non negandole, ma puntando invece ad
eliminare il superfluo, l’orpello, la ridondanza. E il “mal d’Oriente”
ritorna nell’amore per i colori caldi
decisi ed i materiali puri. Ocra, arancio, fucsia e sete croccanti dell’India,
rosso e broccati della Cina imperiale…”
“La
Cina ha il “sapore” dei padiglioni di ferro della Fiera Internazionale di
Canton che ho visitato ormai venticinque anni fa, il cielo azzurro e rosa, le
figure in movimento vestite in blu copiativo, in grigio, in verde militare.
Immagini che vivono dentro di me insieme all’eterna immagine della Cina aulica,
del fasto, del rosso, nella lettura fantastica e fantasiosa di un passato che,
attraverso ricordi e sovrapposizioni, mi porta al cuore dell’Oriente. Poi c’è
la Cina di oggi, che ho conosciuto solo qualche anno fa: l’attualità di un
paese che non cessa mai di stupire per la sua energia, le sue potenzialità, i
suoi entusiasmi. Un paese nuovo e giovane, indaffarato che raccoglie e
centuplica la sfida tecnologica dell’Occidente…”
Eleganza
Cito
voci più autorevoli della mia:
L’eleganza
è solo un simbolo della superiorità aristocratica dello spirito (Charles
Baudelaire)
L’eleganza
non esiste sino a che non arriva alla strada. L’eleganza che rimane nei saloni
dei couturier non ha maggiore significato di un ballo in costume (Coco Chanel)
La
vera eleganza non si può ottenere se non attraverso la personalità (Eduardo de
Filippo)
La
cultura è come l’eleganza, è buona solo quella che non si vede (Indro
Montanelli)
“Aggiungo:
l’eleganza è assolutamente innata. E’ una rispondenza. Un’espressione diretta
tra il sentimento e la mente. Un modo di porsi agli altri. Può essere
elegante una donna grassa o chi ha fretta. Ho visto donne indiane poverissime
che erano straordinariamente eleganti nella linea del collo, nel disegno del
volto, nella scelta dei colori e delle stoffe che indossavano, nel portamento.
Il gesto, il movimento, le proporzioni rendono elegante una donna”.
Emozione
In
principio c’è l’emozione. Ogni mio abito ne traduce una, cento, mille,
intrecciate in un unico incanto da cui mi lascio conquistare. È vero, ogni mio abito ha un padre nobile: il
progetto, che è metodo e logica, intervento ragionato sulle forme,
elaborazione ardita di materie. Ma ha
anche una madre appassionata: la folgorazione che deriva dall’amore a prima
vista per un paesaggio appena scoperto, dal fascino di un viaggio compiuto
soltanto con la fantasia, dalla tenacia con cui restano impresse nella memoria
la grazia di un movimento, l’abbaglio di un sorriso o di uno sguardo, il
profumo di un giardino, il riverbero e il fruscio di una stoffa.
Le emozioni si sedimentano. Si
sovrappongono l’una sull’altra, si rincorrono e si compenetrano.
Così, io non sento i miei abiti come
monadi, ma come tessere di un mosaico,
trame sottili di un arazzo. Come elementi di un progetto globale di stile e
tappe di un percorso professionale – e umano – di crescita e di maturazione.
Le emozioni si ritrovano.
Rivisti nella prospettiva offerta dal tempo, i miei abiti riescono sempre ad
incantarmi, ma in modo diverso. Li sento sempre miei, ma li vivo in una luce
differente. Mi regalano altre emozioni.
Risvegliano ricordi e memorie, ma stimolano anche sensazioni mai vissute.
Le tappe di un percorso già compiuto possono segnare già anche gli itinerari di
un nuovo viaggio, in cui suggestioni ed impressioni si rimescolano e creano un
orizzonte inedito. Dinanzi al quale io stesso mi ritrovo a provare lo stupore
più grande, la curiosità più viva, il piacere infinito della scoperta.
Le
emozioni che provengono da un abito nascono per essere condivise. Per essere di
tutti, sin dal momento in cui l’abito stesso debutta in passerella, viene
interpretato nelle immagini, proposto nelle vetrine, indossato per la strada.
Anche per questo ho sempre nutrito il desiderio che le testimonianze più vere
del mio lavoro non rimanessero inesorabilmente chiuse in un forziere soltanto
mio. Se poi le emozioni regalate dall’abito giungono in un Museo, diventano
realmente di tutti. Diventano patrimonio collettivo e possibile strumento di
crescita comune.
Le emozioni devono restare vive e vibranti.
Anche se accolto in un Museo, vorrei che ogni mio abito continuasse ad essere
inteso come un prodotto del nostro tempo che assolve desideri non meno che funzioni
concrete, date da assetti culturali e da dinamiche sociali, da ritmi e
consuetudini reali. Per questo sono orgoglioso che gli abiti da me donati alla
Galleria del Costume di Palazzo Pitti possano continuare a raccontare la vita…
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