Nel
corso degli anni Sessanta la capacità di attrazione delle sfilate fiorentine s’indebolisce
progressivamente. Di
contro, proprio in quel periodo, le case
di moda romane - che si servono anche del cinema come efficacissimo
strumento di comunicazione delle proprie creazioni - contribuiscono a fare di Roma la capitale dell’Alta Moda, tanto da
renderla nel 1967 centro nevralgico di tutte le sfilate. A seguito di una
simile metamorfosi strutturale, Firenze
si specializza nella presentazione delle collezioni da boutique e maglieria,
fino ad ospitare dal 1972 Pitti Uomo, la rassegna di abbigliamento e
accessori maschili giunta a noi con qualche recente aggiornamento che vuole le
linee kids e qualche accenno di woman wear.
All’inizio
degli anni Settanta alcuni stilisti – Walter Albini, Missoni, Krizia, Ken Scott
– lasciano le passerelle della Sala Bianca per sfilare a Milano, provocando nella storia della moda
italiana un cambiamento paragonabile a quello che nel 1951 ha fatto vacillare
la leadership parigina. In men che non si dica, Milano diviene la capitale internazionale per antonomasia del prêt-à-porter,
vantando un calendario d’appuntamenti strutturato. Nel 1979 tre sono gli
eventi complementari: Milano Collezioni
– vetrina di presentazione per le griffe più prestigiose del settore, Milanovendemoda – di vocazione
squisitamente commerciale – e Modit –
caratterizzata per l’enfasi posta sul rapporto tra stilismo e industria. Una moda che sceglie lo strumento della
fiera – in particolare la Fiera Campionaria – per presentarsi e aprirsi al
pubblico di addetti ai lavori, creando una filiera di professionalità e un
indotto del tutto nuovo per un Paese come l’Italia.
Questo
il quadro d’insieme che caratterizza la seconda metà del ‘900 modaiolo
italiano, seguito sempre e comunque dalla stampa, che con meticolosa precisione ne ha
documentato ogni fase evolutiva, parola dopo parola, fatto dopo fatto. Defilato
dai riflettori e dalle atmosfere più patinate - senza avere l’enfasi gridata
dello stilismo in sé - ha però avuto un ruolo strategico e fondamentale nello
sviluppo del costume italiano. “Se questo
giornale parlasse unicamente di mode, anziché di letteratura, di morale, di
patria, e fosse scritto in francese, non ci sarebbe toccato il dolore di
pubblicare il presente avviso” (cit. in R. Carrarini, La stampa di moda
dall’Unità ad oggi). Con questo laconico messaggio si annunciava la
cessazione della pubblicazione della rivista genovese «La donna» che, privilegiando il taglio politico e culturale rispetto
a quello di costume, si era condannata ad avere breve vita. A dimostrazione quindi
dell’importanza e della considerazione della stampa di moda, che nei decenni successivi all’Unità diviene un
vero e proprio fenomeno editoriale di successo. Si stima che tra il 1861 e il
1920 siano nate in Italia 116 riviste di moda, di cui 75 solo a Milano. La loro proliferazione va messa n relazione
all’ampliamento del mercato, stimolato dall’affermazione dei grandi magazzini e
dagli strumenti che spingono per una “democratizzazione” della moda: il
figurino e il cartamodello. Realizzati da pittori e incisori che
riproducono fedelmente i modelli delle case di moda parigine, i figurini
mettono in evidenza con grande cura i dettagli dell’abito indossato da figure
femminili collocate all’interno di ambientazioni borghesi. Questi rafforzano il
messaggio degli articoli pubblicati dalla rivista a cui sono allegati, rivolte
alle lettrici con lo scopo di educarle all’idea che l’eleganza – alla portata
di tutte – non è da confondersi con il lusso e la ricchezza. Complementare al
figurino, il cartamodello – un foglio di carta leggera su cui sono riprodotti i
contorni e le linee principali della foggia dell’abito – è invece il supporto
che guida la lettrice nell’esecuzione dell’abito.
Durante
il ventennio fascista, l’introduzione del sistema della stampa a rotocalco e
l’affermazione di due grandi case editrici specializzate nella pubblicazione di
periodici illustrati a grande tiratura – Rizzoli e Mondadori – portano alla concentrazione
a Milano dell’editoria di consumo che, nel 1938, si arricchisce di due nuove
testate – Annabella
e Grazia
– complementari a quelle specializzate
nella diffusione dell’Alta Moda, tra cui Aracne, Lidel e alle riviste dell’Editoriale Domus. Complessivamente,
tra il 1920 e il 1945 nascono a Milano 52 nuove testate.
Ma
è nella seconda metà del ‘900, sulla scia dello sviluppo della moda italiana,
che le pubblicazioni periodiche femminili italiane si arricchiscono in
contenuti e materiali: qualità della fotografia, degli argomenti trattati dalle
rubriche, del linguaggio, dell’impostazione grafica. Diversi nella forma ma identici nello
spirito, perché proprio come nell’800 i
periodici femminili contribuiscono a costruire l’immagine della donna, sia fisica
che comportamentale.
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