La moda è in relazione con le arti visive da tempo, mostrando letture e interpretazioni interessanti di mondi in apparenza dissimili ma in realtà accomunati da molte analogie, frutto di visionarie contaminazioni che proiettano la mente umana aldilà della semplice osservazione, invitandola a scrutare gli infiniti collegamenti sparsi nell’universo delle forme espressive. Ora però la moda si spinge oltre, arrivando anche da sola dentro i musei, senza artisti che la citino o la reinterpretino. Sempre di più – soprattutto nel panorama internazionale - scende dalle passarelle, esce dai negozi ed entra nei templi della cultura mondiale. Un’inversione di rotta che tende a soppiantare – o perlomeno a sottrarre protagonismo e attenzione – alla moda che si occupa di arte visiva in spazi e con mezzi dedicati, fenomeno esploso nell’ultimo decennio: le fondazioni Cartier, Prada, Trussardi e Max Mara – solo per citarne qualcuno – ne sono un esempio così come Pinault con l’acquisizione di Palazzo Grassi e l’apertura di Punta della Dogana, piuttosto che Comme des Garçons con il sostegno a giovani creativi, o ancora Louis Vuitton e le sue collaborazioni con artisti affermati. Il 2012 si prospetta invece ricco di mostre dedicate alla moda contemporanea, proposte da importanti istituzioni museali. In primavera aprono Christian Louboutin al Design Museum di Londra; Louis Vuitton Marc Jacobs al Musée des Arts Decoratifs; Diana Vreeland after Diana Vreeland a Palazzo Fortuny a Venezia; Yves Saint Laurent al Denver Art Museum; Fifty Years of James Bond Style al Barbican di Londra; Elsa Schiaparelli and Miuccia Prada: On Fashion al Metropolitan Museum of Art di New York. Riaprono inoltre le gallerie del costume Victoria and Albert Museum con Ballgowns: British Glamour Since 1950.
E se la moda scende tra il pubblico per condividerne i fasti e la magnificenza, un particolare ringraziamento va senz’altro riconosciuto ad Alexander McQueen…già proprio a lui e a “Savage Beauty”, la retrospettiva tenutasi al Metropolitan Museum of Art di New York lo scorso anno e che ha attratto un numero di visitatori senza precedenti per una mostra non prettamente d’arte: addirittura 661.509, una delle più visitate dei 142 anni di vita del celebre museo. Un successo critico e popolare, che ha portato molti a parlare di McQueen: a conoscerlo per indagarne i suoi tratti stilistici e affezionarsi al suo genio creativo. Un fervore che ha superato i confini dell’arte e della moda, coinvolgendo un pubblico vasto ed eterogeneo, per gusti, età e appartenenza sociale. Grazie ad un allestimento eccezionale, quello che è emerso dalla mostra è stata una visione intricata, di grande impatto scenico ed emozionale. Semplicemente folgorante. Protagonista il genio estroso di Alexander McQueen, che partendo dal grottesco giunge alla bellezza sublime. Un genio che non si limita a disegnare vestiti, ma creazioni che divengono ideali platonici di una realtà effimera, che non c’è e non è mai esistita, ma che - evocata - diviene il sogno fiabesco di belle addormentate nel bosco. Appropriatamente intitolata “Savage Beauty”, la mostra esalta la singolare visione dello stilista della bellezza, scoperta per l’appunto nel grottesco, nel lurido, nel tragico, nei momenti meno piacevoli della storia. Una bellezza che parte dal basso, dal profondo, dalle atmosfere più lugubri per arrivare a un inatteso e stupefacente splendore, coniugando sapientemente gli opposti più estremi in un’armonia suadente e rivelando la sua natura eclatante nell’orrore: per un McQueen personificazione di un moderno Rimbaud. Come sottolinea lo stesso Umberto Eco, nonostante sia stata poco contemplata storicamente, la bruttezza ha probabilmente più spessore della bellezza. In effetti, la forza della visione sublime e complessa di McQueen è dovuta al contesto in cui opera, ossia quello della moda, in cui regna sovrana una concezione facile e scontata della bellezza. Da qui lo slancio vitale della sua cifra stilistica: una bellezza selvaggia, che invade la quotidianità, mettendone in discussione le canoniche definizioni e collegandola a sensazioni inaspettate e perturbanti. Ogni credenziale viene minata, tutte le certezze sono poste in discussione e il risultato è destabilizzante: le condizioni ottimali, offerte dalla moda – che sempre più assolve le funzioni della cultura propriamente intesa – per interrogare le prerogative del paradigma visivo corrente, comunicare nuovi messaggi e invitare ad avere uno sguardo nuovo sulla vita. Non scontato né prefigurato.
Spesso capita di restare incantate di fronte a un paio di scarpe: si arriva a desiderarle ma tuttavia ciò non implica una visione profonda. Al contrario, di Mcqueen affascinano le creazioni mitiche, impossibili, che vanno oltre i limiti della vetrina, rompendo i preconcetti e rispetto alle quali il possesso diviene irrilevante. Il loro significato evocativo è tale da aprire nuovi immaginari, universi sconosciuti, orizzonti sconfinati: per una moda che fa sognare, spingendo la mente lontana…proprio come solo ancora l’arte sa fare e che come essa merita pertanto spazi museali dedicati a prescindere.
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