L’etimologia più probabile richiama qualcosa di particolarmente gentile: gemma di pianta, bocciolo, dal francese arcaico “bouton”. Una seconda ipotesi rimanda invece al germanico “botan”, ricordando che nel quarto secolo i Germani usano dischetti metallici per allacciare le vesti. Qualunque sia l’origine terminologica, per raccontare la storia del bottone non occorre risalire alla notte dei tempi, nonostante l’archeologia testimoni il ritrovamento di bottoni preistorici. L’antichità classica, infatti, non li conosce: per trattenere il drappeggio di pepli, chitoni, tuniche, stole e toghe, è solita utilizzare cinture, spilloni, fermagli e fibule. Nemmeno le “lunulae”, piccole spille a forma di luna appuntate o cucite su vesti e calzature a scopo decorativo, sono veri e propri bottoni. Bisogna superare l’anno Mille ed arrivare al XII-XIII secolo per trovare il progenitore del moderno “dischetto” che, introdotto in un occhiello, unisce le parti di un indumento. Forse sono stati i Crociati, una volta tornati in patria, a diffondere le fogge turche, con allacciature dal mento alla vita e dal gomito alle nocche. Certo è che l’impiego dei bottoni è partito dalla Francia con i “boutonniers”, organizzati in corporazioni e avvallati in modo insostituibile dalla verticale, slanciata, aderente silhouette gotica. Sulla scia di questa moda, nel 1200 arrivano anche in Italia; utilizzati in modo molto parsimonioso sugli abiti – indossati stranamente ancora dalla scollatura - sono indispensabili per infilare le maniche, eleganti e strettissime. Dipinti e miniature dell’epoca documentano le esagerazioni d’interminabili file di pomelli o “ma spilli” che corrono dal polso fin sulla spalla: ricchissimi, fatti d’oro, d’argento, di perle, d’ambra e corallo, tanto da essere colpiti dalle leggi suntuarie che limitano gli eccessi del lusso; sempre più vari (ve ne sono anche a forma di minuscole pere, detti “peroli”); sempre più numerosi, sia per la donna che per l’uomo. Nel 1440, sulle maniche, di solito staccate e provviste di spacchi e di lacci, se ne contano addirittura da 20 a 50. Quasi in posizione antitetica, esistono bottoni più poveri, fatti di osso, legno, corno, ottone, ferro, peltro e stagno, volti a guarnire le uniformi militari. Il Rinascimento li vuole sempre più sfarzosi, eseguiti su ordinazione con pietre preziose incastonate. La regione di Limoges vede nascere quelli smaltati, tanto apprezzati da andare a comporre il codice vestimentario di Francesco I di Francia, un grande estimatore dei bottoni se si pensa che su un solo abito ne ha addirittura 13.600 (d’oro s’intende). Incline alla stessa venerazione anche Luigi XIV, il Re Sole, che per soli 6 bottoni paga cifre straordinarie anche per un monarca. Passano i secoli e i bottoni assecondano le richieste più variopinte della moda, moltiplicandosi sugli indumenti maschili – come le pretine seicentesche, chiuse dal collo all’orlo, o le marsine e le redingote settecentesche. In genere tendono a rispettare le esigenze delle produzioni nazionali, ricoprendosi quindi di seta in Francia (per proteggere l’industria di Parigi e Lione) e limitandosi invece al metallo in Inghilterra, dove, tra il XVI e il XVII secolo, viene vietato il tessuto. Inarrestabili nella loro corsa mondiale, conquistano personaggi ed espressioni della vita pubblica, divenendo un elemento decorativo personificato – riflesso condizionato di situazioni, mondi, culture - e assoggettando alla propria volontà qualsiasi forma e materiale. Dalle pastorellerie care a Maria Antonietta ai rebus, dalla squisita porcellana al gaietto vedovale (progenitore del jais) della Regina Vittoria, dalla celluloide alla plastica, dai soggetti giapponesi dell’Art Nouveau alle linee nette e squadrate degli anni ’20 e ’30.
Gli abiti di Elsa Schiaparelli ne vantano di forme stranissime, come declamato dalla stessa couturière in una sua biografia “Il re bottone regna incontrastato da Schiaparelli, ma nessuno assomiglia a ciò cui un bottone dovrebbe somigliare”. Mademoiselle Coco Chanel non rimane ovviamente con le mani in mano e, addirittura, accostando metalli, perle e pietre colorate, inventa uno stile….ça va sans dire il bottone Chanel.
Il secondo conflitto mondiale non ne frena la corsa, vantando casi emblematici di chi, pur di produrne, s’ingegna per ricavarli dai parabrezza dei bombardieri in disarmo.
La seconda metà del ‘900 è caratterizzata da un andamento altalenante di alti e bassi, ma nonostante ciò ne ha riscoperto la natura di gioiello. Una natura osannata e celebrata dagli stilisti con le loro creazioni: non stupisce vedere, proprio come nell’800, cinque o più bottoni, uno dissimile dall’altro e con una pietra di diverso colore, fare da ornamento a una delle scenografiche camicie bianche di Gianfranco Ferré. Né tantomeno, nella sua collezione di haute couture primavera/estate del 2003, Jean Paul Gaultier rendere omaggio ai bottoni, facendoli scorrere lungo tutto il modello – quasi ad evocare una costellazione – o assemblandoli come conchiglie per rivestirlo totalmente. Un gioco da illusionisti che soltanto a un mastro come l’enfant terribile poteva riuscire, complice però la natura intrinseca di simili “gemme” decorative. Capaci di illuminare, evocare, affascinare.
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