martedì 20 marzo 2012

ABOUT_Parole di moda/2: gli articoli di Irene Brin



Dopo un piccolo assaggio dello stile giornalistico di Maria Pezzi, ecco uno stralcio di Irene Brin, alias Maria Vittoria Rossi. Tra articoli colti e raffinati, consigli di stile, moda e vita sociale, collaborazioni con “Harper’s Bazaar”, Irene Brin ha spinto la moda italiana a rigettare il predominio francese, traghettandola addirittura oltreoceano. Complice un approccio cosmopolita alla vita e un grande amore per l’arte, si è imposta nella scena del costume internazionale quale emblema di stile ed eleganza. Il tutto condito da una buona dose d’ironia e da un istinto naturale nel cogliere i dettagli più nascosti e insoliti. A rendere ancora più unici i suoi scritti di moda, le illustrazioni di Brunetta Meteldi, impareggiabile nel trasformare le figure più comuni in personaggi indimenticabili. E la domanda sorge spontanea: ma siamo nel 1963 o nel 2012??

Soltanto se siete castellane vi vestirà Yves Saint Laurent
. Passerella della moda di Parigi – 30-31 luglio 1963 – di Irene Brin – disegni di Brunetta
Per il delfino di Dior esistono esclusivamente le figlie delle duchesse che aborrono sciatteria e disordine. Qualche consiglio per aggiornarsi: spalline militari sui vecchi cappotti, abitini bucherellati o squarciati, grembiulini senza maniche, mezze parrucche fermate alle tempie.
Ci sono nella moda come nelle arti, in letteratura come in musica, dei cicli inevitabili. Ora è il momento di Yves Saint Laurent, punto e basta. Non il Saint Laurent allievo di Dior. E nemmeno il Saint Laurent della prima collezione, piuttosto teatrale e piuttosto povero. Tutto cominciò realmente con la collezione gennaio 1963, quando i capitali americani erano già affluiti in massa, quando Pierre Berger aveva cominciato a scrivere i suoi impareggiabili press-release, quando la principessa Radziwill aveva già preso posizione in favore di questa sartoria giovanissima e tuttavia cospicua, quando la viscontessa Des Ribes aveva dichiarato: ” Qui mi vesto e qui resto”. Il gioco era fatto.
Supponiamo che, per miracolo, voi crediate ancora nella moda. Voglio dire, crederci sul serio, credere che bisogni, assolutamente, diventare diversa ad ogni stagione, dar retta a Forquet oppure a Dior? Inchinarvi davanti alle trovate di Lanvin, gridare che “Ferreras è Ferreras, e la signora Guinnes il suo profeta”. Cosa vogliamo fare per aggiornarvi? Tanto per cominciare dovete imbottirvi le spalle dei tailleurs e dei cappotti. Non è facile se non avete “lasciato dentro” le cuciture dei vecchi cappotti e dei vecchi tailleurs un bel pezzo di stoffa. Altrimenti potete ricorrere alle spalline da ufficiale, magari eseguite in un jersey abbastanza intonato all’insieme. Poi dovete pensare fermamente alla Russia. Che ne direste di stivaloni e fazzoletto legato sotto al mento? Facile, pratico, non troppo costoso. Ma anche un cappellino da curato, con un pom-pon al centro ed una sciarpa di mussolina infilata nell’ultimo bottone della giacca, a sinistra, portato in modo che svolazzi al vento, potrebbe andar benino.
In fatto di parrucca, ve ne basta mezza. La collocherete, comunque, in cima alla testa e la spazzolerete all’indietro per somigliare a Bebe Daniels, oppure in avanti per somigliare a Jacqueline Kennedy o infine la terrete ferma sulla tempia sinistra con una barretta di brillanti. Da Germana Marucelli a Pierre Cardin, i sarti sembrano preferire gioielli astratti, disegnati da artisti celebri. Scegliete quelli che vi pungeranno meno la pelle.

Twist col visone
. I caotici defilés della moda parigina – 23 – 24 luglio 1963 – di Irene Brin
E’ l’idea di Revillon, che presenta pantaloni aderenti fatti con questa pelliccia, trattata come velluto – Le lunghe sottane di Heim – Una sveglia nella borsetta.
Ma quanto li fanno diventare disordinati, questi poveri francesi, eppure il loro spirito di organizzazione, di lucidità, di rigore, era proverbiale, ed è stato un francese ” lux, calme et volupté” Che cosa sta succedendo? Ci dicono che la prima sfilata è da Esterel alle nove e trenta e noi siamo lì, pronte, precise, ma si comincia quasi alle dieci. E si esce di lì in Avenue Matignon, correndo, ma no si trova un tassì o, se se ne trova uno, è inutile invitare con grandi gesti le colleghe straniere a dividerlo, quelle ne cercano un altro. Perciò da Yorn in rue Pier Charron, non si può cominciare, come sarebbe giusto, alle undici e quindi, per arrivare a mezzogiorno da Revillon, in rue De la Boétie, ricomincia la caccia (solitaria) al tassì. Ogni nostro ingresso in una sartoria assomiglia al sacco di una città da conquistarsi, calci negli stinchi, fogli di appunti che volano nel vento, urla laceranti “ma place est prise, ma place est prise” e si va via sempre prima della fine, e le “vendeuses” ci guardano come se volessero uccidere noi e se stesse, in un bel delitto di massa. Per noi, che arriviamo da Palazzo Pitti dove qualche minuto di attesa sembrava gravissimo, e dove chi si alzava prima del termine veniva considerato un cafone, per noi il caso di Parigi si giustifica solo attraverso le colpe degli ospiti, cioè nostra. L’occupazione principale sembra essere quella di guardare l’orologio, e dove non poche redattrici tengono nella borsa una sveglia che improvvisamente squilla, avvertendo “tra cento secondi, dovrete essere al capo opposto della città, e non contate sui mezzi di trasporto pubblici”, ebbene per gennaio impareremo ad andare in bicicletta.

E’ necessario essere magrissime. 
Non è assolutamente vero che la moda “camp”, con ginocchia al vento, semplifichi l’esistenza dellle nostre contemporanee; al contrario impone digiuni assoluti, ginnastiche da candidate olimpioniche ed anche, inaspettatamente, rigorose virtù. – di Irene Brin
Ogni volta che la moda cambia c’è sempre qualcuno che dichiara: “Finalmente la donna acquista (o, eventualmente, riacquista) la libertà dei movimenti, la comodità del passo, la gioia di vivere!” Immutabilmente, questi discorsi vennero fatti quando la prima imperatrice cinese decise di ostentare piedini minuscoli, quando un fortunato capitano Achab, cacciatore di balene, lanciò le crinoline e quando Paul Poiret mutò l’ondulazione dei busti. Se almeno l’imperatrice, l’Achab, M. Poiret avessero cinicamente dichiarato che la vita è bella unicamente perché varia, non ci sogneremmo di protestare, come non protestammo quando nel dopoguerra Christian Dior ci offrì un “new look” imperniato sulla “guêpière”. Christian Dior infatti agì in nome della eleganza e non dell’indipendenza. Oggi, per contro, i sarti parlano come suffragette, i giornalisti scrivono come Margueritte, l’autore della Garçonne: “Bisogna camminare con il proprio tempo, la ragazza di oggi è fiera delle sue spalle atletiche , dei suoi fianchi efebici, della sua giornata spesa al sole. Per essere chic bisogna tener conto del tempo libero…”. Sciocchezze!

Calde,  favolose vesti da camera per chi è invitato da Kruscev
. La mastodontica sfilata di Dior e l’antologia scelta di Capucci- Le indossatrici svenivano con la grazia di fiori – di Irene Brin – disegni di Brunetta
Parigi, 26 luglio. Ieri il caldo era talmente feroce che da Patou le mannequins svenivano come fiori. Voglio dire che allargavano le braccia, socchiudendo gli occhi e si lasciavano scivolare in terra con estrema grazia. Rianimate, correvano ad infilare un altro modello di Michel Goma, il nuovo disegnatore della Maison Patou (quello vecchio, Karl, sembra partito per lavorare in Italia). Michel Goma ha sempre avuto gusto e garbo, nella Maison Patou ha trovato più denaro di quanto gliene potesse offrire, l’anno scorso, Jeanne Lafaurie, in compenso, ha dovuto diventare molto serio, molto sorvegliato.
Marc Bohan e il suo assistente Philippe, per il 1964, creano una donna ermeticamente coperta dal ginocchio al mento durante il giorno. I tailleurs non hanno rovesci, gli abiti non hanno scolli. Una infinità di nodi, sciarpette, cravatte lunghe e trasversali, si incaricano di completare le giacche. Oppure c’è sotto un pullover a collo rialzatissimo. Non mancano le robes de chambre calde, che calano alla caviglie e fanno supporre una gigantesca crisi del carbone in vista. Sensazionale è “Dacia” nel caso siate invitate da Kruscev, o, almeno, da Ehrenbourg, o, alla peggio, da Evtuscenko: è di camoscio beige stampato cachemire, con collo e polsi in visone marron.
Due ore dopo, toccava al nostro Roberto Capucci. Paragone apparentemente terribile, poiché non c’è nulla di comune tra il palazzo Dior in avenue Montaigne e il mezzanino Capucci, via Cambon numero 4. Non c’è nulla di paragonabile tra ‘immenso stuolo che lavora per Dior-Bohan e la piccola équipe di amici che adora Roberto Capucci, e farebbe per lui qualunque cosa – qualunque cosa nel limite delle capacità umane. Anche la stampa, pur vezzeggiando le petit Capucci, venera e adora il gigantesco Boussac. Da Dior abiamo visto 190 modelli, da Capucci, nemmeno la metà. Ma proprio per questo, da Capucci non c’erano – non ci potevano essere – ripetizioni.

Un corredo ideale per ‘Mandy. 
E’ quello presentato da Crahay, il disegnatore di Nina Ricci: cappotti enormi, sottane esigue, stivali delle sette leghe, scialli. Le indossatrici sepolte nelle pellicce – Come si ripartiscono i sarti. 25 – 26 luglio 1963 – di Irene Brin – disegni di Brunetta
Sapevate che la stampa inglese ha a Firenze ed a Parigi un numero incredibile di rappresentanti? Ce ne sono di campestri, devote al loro giardino, di mondanissime, con cappellini estremi, di spiritose, di angeliche, di pungenti. Comunque ce ne sono moltissime. Intere file di seggiole dorate sono loro, e di là partono contegnosi, ma costanti brusii, che si riferiscono soprattutto alla cronaca inglese.
E così via all’infinito. Adesso pensano soprattutto a Mandy, la ragazza del processo Ward, quella che ogni giorno cambia acconciatura. ” E quel cappellino di petali che ne dite? E quel neo sulla guancia? E quel cappottino?” In fin dei conti guardano le collezioni, sì, ma solo per scoprirci quello che starebbe bene, o meno bene, o malissimo a Mandy. Finora, il fornitore ideale per Mandy, quello che, secondo le giornaliste inglesi dovrebbe mettere sul suo stemma il telefono di Mandy, è Crahay, il disegnatore di Nina Ricci. Honny soit qui mal y pense, per carità! Ma se si vuol raggiungere il colmo della femminilità, del lusso e della seduzione, bisogna adottare lo stile Crahay.
Questo stile comincia con un’apoteosi delle “fanatiche”, le ragazzette che in Francia, ed anche in Italia, ballano il twist sui marciapiedi ed adorano Françoise Hardy o Morandino. Per loro, cappotti enormi, sottane esigue, camicette con taschini riportati, taschini applicati su camicette trasparenti, e gli stivali delle sette lege, per percorrere evidentemente Via Veneto o un pezzettino di Avenue Foch. Ma, quasi subito si passa alla voluttà, agli scialli, agli scolli. Ginocchia sempre in vista, labbra pallide (sebbene il calore fosse così atroce, nonostante l’aria condizionata, che il trucco delle ragazze si sfaceva sotto i nostri occhi), in testa, fazzoletti di seta chiusi alla nuca, con pompons di pelliccia penduli ed assortiti al cappotto. O (queste veramente meravigliose) grandi coiffes di ermellino.

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