Domenico Caraceni
(1880-1939) è un sarto italiano e, di
buon grado, è considerato, insieme a Ciro Giuliano, una delle figure chiave per
quanto concerne l’abbigliamento maschile inteso nella sua storia ed evoluzione.
Un’abilità la sua, ereditata dalla
famiglia, vista l’appartenenza a una delle più celebri dinastie sartoriali del
Belpaese. Il padre Tommaso non si era mai mosso da Ortona a Mare dove era
nato e dove aveva ereditato la bottega nella quale aveva lavorato sin ai primi
del ‘900, coadiuvato da molti dei suoi tredici figli - Domenico e Augusto
(detto Agostino) in testa -, ai quali aveva tramandato l’arte e l’amore per la
sartoria. Proprio in quella bottega
arrivarono gli abiti inglesi del concittadino Francesco Paolo Tosti, confezionati
per il compositore italiano dallo stesso sarto della londinese Savile Row che
vestiva Edoardo VII, re d’Inghilterra e simbolo per antonomasia d’eleganza.
Le romanze di Tosti avevano incantato la regina Vittoria tanto da nominarlo
maestro di canto alla corte inglese, soffiandolo al Quirinale e ai Savoia. Una
volta giunto nella terra d’Albione, il musicista sapeva quanto poteva essere un
tesoro un abito usato nell’Italia dell’epoca: da qui la decisione di inviare a parenti e amici giacche e abiti
smessi. Questo comportava l’esigenza di stringerli, rimetterli a modello,
rendere più esili le maniche, allungare i pantaloni. E così, gli abiti del paesano Tosti, in seguito nominato baronetto,
finivano nella sartoria dei Caraceni. Domenico con amorevole dedizione li
scuciva e li smontava interamente, studiandone il taglio, i punti e la tecnica.
L’Inghilterra, considerata a ragion
veduta la patria della sartoria maschile, divenne così la scuola per Domenico
Caraceni, che s’impossessò dei suoi segreti, combinando quella tecnica
spiccatamente inglese – affinata dallo studio di numerosi trattati – a quella
italiana, che tendeva a essere più complicata e ricca di punti. A questa
ricetta miracolosa, aggiunse una sana morbidezza mediterranea, modificando in
sostanza il tracciato sartoriale britannico che vuole vestiti rigidi, un po’
sullo stile uniforme militare. Da qui, è divenuta abitudine affermare che un
Caraceni abbia la leggerezza di un fazzoletto. Domenico, consapevole del suo lavoro e convinto di aver inventato qualcosa
di nuovo, decise di depositarne il brevetto cui fu affidato il numero 28642.
Ecco l’inizio di una storia. Di quella storia che ha dato vita alla scuola
abruzzese, distinta da quella napoletana decisamente più marcata ed esasperata.
Nel
1933 Domenico decide di trasportare tutto quello che ha imparato e messo in
pratica in un libro: nasce così il trattato Orientamenti
nuovi nella tecnica e nell’arte del sarto. Per realizzarlo, crea una sorta di parallelismo con gli
architetti razionalisti o funzionalisti che dir si voglia: nulla di strano dal momento che questi
vestono la terra, mentre i sarti gli uomini che camminano sulla terra. Senza
ombra di dubbio, il grande plauso da
riconoscere a Caraceni consiste nell’aver avuto un sorprendente intuito del senso
del tempo: pioniere nel suo campo, per
primo intravide la necessità di studiare e realizzare forme e tagli che
mettessero a proprio agio chi le indossava, agevolandoli nei movimenti e
rendendo tutto molto più fluido e dinamico. Basta vestiti armature! Largo spazio, invece, a creazioni in
sintonia con la persona, che ne enfatizzino i tratti e la interpretino,
garantendo, al contempo, il massimo confort e la più autentica disinvoltura, e
divenendo un tutt’uno con essa.
Morbidezza, leggerezza e flessibilità erano le qualità della sua
lavorazione. In altre parole, la quintessenza della semplicità.
Nessun commento:
Posta un commento