“È quel bikini che mi ha dato il successo”.
Così ancora oggi, Ursula Andress
racconta il motivo principale della sua celebrità, facendo riferimento al film Agente 007 – Licenza di uccidere
(Terence Young, 1962) e all’indimenticabile scena – bersaglio di innumerevoli,
quanto vani, tentativi di imitazione - in cui usciva dall’oceano in un due
pezzi bianco, pronta a sedurre l’agente 007/Sean Connery. Un bikini divenuto un
feticcio, stando a giudicare le 35.000 sterline a cui è stato battuto in
un’asta londinese.
Viene
da sorridere se si pensa che nel 1951,
per timore di offesa al pubblico pudore, fu proibito alle aspiranti Miss Mondo.
Anche se, in realtà, non bisogna correre così indietro nel tempo, ma fermarsi al 2005 per trovare lo scoglio
della legalità: il trailer di Trappola
in fondo al mare (John Stockwell, 2005) in America, infatti, è stato
manipolato digitalmente per rendere il bikini della protagonista Jessica Alba
meno provocante e non incorrere in divieti di alcun tipo.
Vi è
da dire che di strada ne ha fatta il bikini se si considera che le sue prime apparizioni risalgono
all’epoca romana. Tuttavia, esiste una data ben precisa a cui riferire la
sua nascita: correva l’anno 1946 quando
il sarto francese Louis Réard lo inventava, battezzandolo come l’atollo di
Bikini nelle Isole Marshall, dove negli stessi anni gli Stati Uniti conducevano
test nucleari. Réard, infatti, riteneva che l’introduzione del nuovo tipo
di costume avrebbe avuto effetti esplosivi e dirompenti. E come dargli torto?! Il suo modello rifiniva il lavoro di
Jacques Heim che, due mesi prima, aveva introdotto l’Atome (così chiamato a
causa delle dimensioni ridotte), pubblicizzato come il costume da bagno più
piccolo al mondo. Tuttavia, non pienamente soddisfatto, Réard lo rese ancora più piccolo, ma non riuscì a trovare una modella
che osasse indossarlo. Finì per ingaggiare Micheline Bernardini,
spogliarellista del Casino de Paris. L’intento di calarlo nella vita reale e
quotidiana fu la miccia che scatenò le reazioni della chiesa e dei benpensanti.
Dovettero trascorre quindici anni perché il bikini fosse accettato negli Stati
Uniti.
Nel
1956, il bikini indossato da Brigitte
Bardot nel film E Dio creò la donna
(Roger Vadim) e nel 1960 la canzone di Brian
Hyland Itsy Bitsy Teenie Weenie
Yellow Polka Dot Bikini, diedero l’avvio a una corsa all’acquisto del
bikini.
In America sue grandi estimatrici e
testimonial incomparabili sono state Marilyn Monroe e Rita Hayworth. Nel
1957, Jane Mansfield fu immortalata sulla copertina di Life Magazine
con uno strepitoso bikini. Negli anni ’60, il due pezzi entra di diritto a
far parte del mercato di massa: nel 1963 il film Vacanze sulla spiaggia, di William Asher con Annette Funicello (non
in bikini, dietro espressa richiesta della Walt Disney) fu il primo di una
lunga serie di pellicole che resero il costume un’icona della cultura pop.
L’alto tasso seduttivo ne ha fatto un
ingrediente di successo di innumerevoli film e telefilm dal momento in cui
venne ritenuto accettabile per il pubblico pudore. Un esempio su tutti è dato
dai surf movie degli anni ’60 o da serie tv come Baywatch.
La
lista delle apparizioni da piccolo e grande schermo non si esaurisce qui: Raquel Welch eroina preistorica nel
film Un milione di anni fa (Don
Chaffey, 1966), Phoebe Cats in Fuori di testa (Amy Heckerling, 1982), Charlize Theron e il suo
bikini-armatura con il quale sfida il male in AEon Flux (Karyn Kusama, 2005).
Oltre
mezzo secolo e non sentirlo. Il bikini ha segnato un capitolo della moda,
tracciandone l’evoluzione in stretto contatto con il contesto socio-culturale
dell’epoca, che vedeva la donna proiettata verso un’emancipazione globale. Il
tutto sull’onda di un gioco equilibrato degli estremi: perché se con pochi
centimetri di stoffa nasconde, al tempo stesso rivela, evocando e mostrando
all’unisono.
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