martedì 14 giugno 2016

ABOUT_Il bikini



È quel bikini che mi ha dato il successo”. Così ancora oggi, Ursula Andress racconta il motivo principale della sua celebrità, facendo riferimento al film Agente 007 – Licenza di uccidere (Terence Young, 1962) e all’indimenticabile scena – bersaglio di innumerevoli, quanto vani, tentativi di imitazione - in cui usciva dall’oceano in un due pezzi bianco, pronta a sedurre l’agente 007/Sean Connery. Un bikini divenuto un feticcio, stando a giudicare le 35.000 sterline a cui è stato battuto in un’asta londinese.
Viene da sorridere se si pensa che nel 1951, per timore di offesa al pubblico pudore, fu proibito alle aspiranti Miss Mondo. Anche se, in realtà, non bisogna correre così indietro nel tempo, ma fermarsi al 2005 per trovare lo scoglio della legalità: il trailer di Trappola in fondo al mare (John Stockwell, 2005) in America, infatti, è stato manipolato digitalmente per rendere il bikini della protagonista Jessica Alba meno provocante e non incorrere in divieti di alcun tipo.
Vi è da dire che di strada ne ha fatta il bikini se si considera che le sue prime apparizioni risalgono all’epoca romana. Tuttavia, esiste una data ben precisa a cui riferire la sua nascita: correva l’anno 1946 quando il sarto francese Louis Réard lo inventava, battezzandolo come l’atollo di Bikini nelle Isole Marshall, dove negli stessi anni gli Stati Uniti conducevano test nucleari. Réard, infatti, riteneva che l’introduzione del nuovo tipo di costume avrebbe avuto effetti esplosivi e dirompenti. E come dargli torto?! Il suo modello rifiniva il lavoro di Jacques Heim che, due mesi prima, aveva introdotto l’Atome (così chiamato a causa delle dimensioni ridotte), pubblicizzato come il costume da bagno più piccolo al mondo. Tuttavia, non pienamente soddisfatto, Réard lo rese ancora più piccolo, ma non riuscì a trovare una modella che osasse indossarlo. Finì per ingaggiare Micheline Bernardini, spogliarellista del Casino de Paris. L’intento di calarlo nella vita reale e quotidiana fu la miccia che scatenò le reazioni della chiesa e dei benpensanti. Dovettero trascorre quindici anni perché il bikini fosse accettato negli Stati Uniti.
Nel 1956, il bikini indossato da Brigitte Bardot nel film E Dio creò la donna (Roger Vadim) e nel 1960 la canzone di Brian Hyland Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini, diedero l’avvio a una corsa all’acquisto del bikini.
In America sue grandi estimatrici e testimonial incomparabili sono state Marilyn Monroe e Rita Hayworth. Nel 1957, Jane Mansfield fu immortalata sulla copertina di Life Magazine con uno strepitoso bikini. Negli anni ’60, il due pezzi entra di diritto a far parte del mercato di massa: nel 1963 il film Vacanze sulla spiaggia, di William Asher con Annette Funicello (non in bikini, dietro espressa richiesta della Walt Disney) fu il primo di una lunga serie di pellicole che resero il costume un’icona della cultura pop.
L’alto tasso seduttivo ne ha fatto un ingrediente di successo di innumerevoli film e telefilm dal momento in cui venne ritenuto accettabile per il pubblico pudore. Un esempio su tutti è dato dai surf movie degli anni ’60 o da serie tv come Baywatch.
La lista delle apparizioni da piccolo e grande schermo non si esaurisce qui: Raquel Welch eroina preistorica nel film Un milione di anni fa (Don Chaffey, 1966), Phoebe Cats in Fuori di testa (Amy Heckerling, 1982), Charlize Theron e il suo bikini-armatura con il quale sfida il male in AEon Flux (Karyn Kusama, 2005).
Oltre mezzo secolo e non sentirlo. Il bikini ha segnato un capitolo della moda, tracciandone l’evoluzione in stretto contatto con il contesto socio-culturale dell’epoca, che vedeva la donna proiettata verso un’emancipazione globale. Il tutto sull’onda di un gioco equilibrato degli estremi: perché se con pochi centimetri di stoffa nasconde, al tempo stesso rivela, evocando e mostrando all’unisono. 

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