“L’eleganza è innata e non ha niente a che
fare con l’essere ben vestiti”, amava asserire Diana Vreeland. Appassionata come
poche, è stata icona di un’epoca,
baluardo nella storia del costume, mente illuminata nella scoperta delle
tendenze emergenti, cultrice della moda intesa come forma espressiva tout court,
che ad aspetti meramente estetici affianca componenti sociali, creando un
ideale parallelismo di corrispondenze. Amante della cultura e delle sue
molteplici contaminazioni quel tanto che basta per comprendere che il fervido
dialogo è l’unica strada percorribile per favorirne uno sviluppo sinergico e
completo, che abbracci ogni modalità d’espressione.
Stravagante, ma di classe, aristocratica, ma
non snob, indiscutibilmente geniale, Diana Vreeland dedica la sua vita intera alla resa illustrata della
moda, contribuendo a quella definizione comunemente intesa e inventando la
figura del fashion editor. Un ruolo determinante, quindi, il suo, nella definizione
- e successiva affermazione - dell’attività redazionale di moda. Una figura complessa quella di Diana, che
contempla competenze tra loro diverse ma, al tempo stesso, complementari,
esatta compensazione di quei talenti naturali destinati a lasciare il segno.
E Diana Vreeland un segno l’ha lasciato, marcato tanto quanto dominante è stata
la sua personalità: energica, instancabile, proattiva, tenace.
Nata nel 1903 a Parigi come Diana Dalziel,
fin dall’infanzia, grazie alle frequentazioni sociali dei suoi genitori, che
nel frattempo si sono trasferiti a New York, viene introdotta nel bel mondo. Sposa Reed Vreeland, dal quale avrà due figli, Thomas e Frederick.
A Londra, dove la coppia si stabilisce per qualche tempo, Diana apre un negozio di lingerie. Grazie al
suo indiscusso talento per la moda, tornata a New York, si fa notare
dall’allora direttrice di Harper’s Bazaar – Carmel Snow – che la assume
nella redazione. La sua straordinaria carriera, sempre e solo in ascesa, la
porta a varcare le porte di Vogue per
assumerne la direzione che abbandona nel 1971 perché, pare, licenziata
improvvisamente. Diana non si ferma e da allora in avanti, per diciassette
anni, si occupa del Costume Institute del
Metropolitan Museum of Art, curando mostre passate alla storia. Muore nel
1989 nella sua casa newyorchese.
A celebrare un simile estro visionario, la pubblicazione
del suo personalissimo diario: un crescendo di aneddoti, battute
esilaranti, osservazioni tanto intelligenti quanto bizzarre per 270 pagine che
solo in parte mettono a nudo la personalità di questa donna potentissima,
carismatica e geniale, con un impareggiabile senso dello chic. Uno sguardo intimista sulla sua vita - privata
e professionale - e la sua persona, velato da una straordinaria verve e una bruciante ironia, da cui ne emerge un ritratto in molti
tratti noto ma in altrettanti inedito, con un occhio di riguardo per le
sfumature più emozionali. Diana Vreeland era un concentrato di forza e
caparbietà, doti grazie alle quali ha fatto la storia della moda e del
giornalismo, divenendone, di diritto, un’icona leggendaria. Lei che laconica
ammoniva “Non bisogna mai aver paura di
essere volgari, solo di essere noiosi”; e ancora lei che dichiarava il suo
amore per il colore – soprattutto per il rosso-, quale simbolo della tenacia
che l’ha contraddistinta “Ho occhio per il colore: forse è il dono più
eccezionale che possiedo. Il colore dipende totalmente dalla tonalità. Il
verde, ad esempio, può essere quello del metrò, però se ottieni il verde
giusto… Il rosso è il grande chiarificatore: brillante, purificatore e
rivelatore. Non potrei mai stancarmi del rosso… Sarebbe come stancarsi della
persona che ami. Per tutta la vita ho inseguito il rosso perfetto”; sempre
lei ad affermare che “gli occhi sono
fatti per viaggiare”, dimostrando la sua spasmodica curiosità per tutto
quanto sapeva di novità. Questo e molto altro si può scoprire sfogliando le sue
memorie raccolte nel 1984 e oggi riproposte da Donzelli editore. Un viaggio alla scoperta della vera Diana
Vreeland, di come si sia fatta notare da Carmel Snow e di come sia entrata nella
redazione di Harper’s Bazaar nel 1936 con la folle rubrica “Why don’t you?”, un mix di pratici consigli e idee del tutto
strambe, in un originale mélange di estro e ingegno (Perché non…ti zippi
nel tuo abito da sera? Tieni in mano un grande bouquet come se fosse una
bacchetta magica? Indossi una bombetta? Metti fra i capelli una spilla
giapponese? Acquisti un cappotto da sera trasparente? Nascondi i tuoi fianchi
in una giacca plissettata? Indossi dei cappelli di frutta? Dipingi un
planisfero nella stanza di tuo figlio così che non cresca con un punto di vista
provinciale? O ancora, il più famoso Perché non…lavate i capelli biondi di
vostro figlio nello champagne per farli diventare dorati come fanno in
Francia?).
Diana
Vreeland ha sempre reinventato se stessa. E lo fa anche nella sua autobiografia, arditamente in bilico tra
realtà e finzione. Dalle sontuose dimore londinesi alla Parigi degli anni
trenta, dal jet-set newyorchese alle ribalte più esclusive del mondo, si susseguono gustosi aneddoti e
incredibili situazioni condivise con la sua eclettica cerchia di amici, fatta
di artisti e principi, star del cinema e icone pop: da Coco Chanel a Jack
Nicholson, da Andy Warhol a Joséphine Baker.
Nel libro, inoltre, è possibile ritrovare il
suo mondo elegante, esclusivo e brillante, ora inevitabilmente e fascinosamente
retrò, dove personaggi leggendari come
Diaghilev, Buffalo Bill, Jackie Onassis, Clarke Gable, i duchi di Windsor sono
gli habitués del grande party della sua vita.
D.V. di Diana Vreeland
Donzelli
Editore
266
pagine – 18 euro
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