giovedì 8 novembre 2012

BOOK_Il diario segreto di Diana Vreeland



“L’eleganza è innata e non ha niente a che fare con l’essere ben vestiti”, amava asserire Diana Vreeland. Appassionata come poche, è stata icona di un’epoca, baluardo nella storia del costume, mente illuminata nella scoperta delle tendenze emergenti, cultrice della moda intesa come forma espressiva tout court, che ad aspetti meramente estetici affianca componenti sociali, creando un ideale parallelismo di corrispondenze. Amante della cultura e delle sue molteplici contaminazioni quel tanto che basta per comprendere che il fervido dialogo è l’unica strada percorribile per favorirne uno sviluppo sinergico e completo, che abbracci ogni modalità d’espressione.
Stravagante, ma di classe, aristocratica, ma non snob, indiscutibilmente geniale, Diana Vreeland dedica la sua vita intera alla resa illustrata della moda, contribuendo a quella definizione comunemente intesa e inventando la figura del fashion editor. Un ruolo determinante, quindi, il suo, nella definizione - e successiva affermazione - dell’attività redazionale di moda. Una figura complessa quella di Diana, che contempla competenze tra loro diverse ma, al tempo stesso, complementari, esatta compensazione di quei talenti naturali destinati a lasciare il segno. E Diana Vreeland un segno l’ha lasciato, marcato tanto quanto dominante è stata la sua personalità: energica, instancabile, proattiva, tenace.
Nata nel 1903 a Parigi come Diana Dalziel, fin dall’infanzia, grazie alle frequentazioni sociali dei suoi genitori, che nel frattempo si sono trasferiti a New York, viene introdotta nel bel mondo. Sposa Reed Vreeland, dal quale avrà due figli, Thomas e Frederick. A Londra, dove la coppia si stabilisce per qualche tempo, Diana apre un negozio di lingerie. Grazie al suo indiscusso talento per la moda, tornata a New York, si fa notare dall’allora direttrice di Harper’s Bazaar – Carmel Snow – che la assume nella redazione. La sua straordinaria carriera, sempre e solo in ascesa, la porta a varcare le porte di Vogue per assumerne la direzione che abbandona nel 1971 perché, pare, licenziata improvvisamente. Diana non si ferma e da allora in avanti, per diciassette anni, si occupa del Costume Institute del Metropolitan Museum of Art, curando mostre passate alla storia. Muore nel 1989 nella sua casa newyorchese.
A celebrare un simile estro visionario, la pubblicazione del suo personalissimo diario: un crescendo di aneddoti, battute esilaranti, osservazioni tanto intelligenti quanto bizzarre per 270 pagine che solo in parte mettono a nudo la personalità di questa donna potentissima, carismatica e geniale, con un impareggiabile senso dello chic. Uno sguardo intimista sulla sua vita - privata e professionale - e la sua persona, velato da una straordinaria verve e una bruciante ironia, da cui ne emerge un ritratto in molti tratti noto ma in altrettanti inedito, con un occhio di riguardo per le sfumature più emozionali. Diana Vreeland era un concentrato di forza e caparbietà, doti grazie alle quali ha fatto la storia della moda e del giornalismo, divenendone, di diritto, un’icona leggendaria. Lei che laconica ammoniva “Non bisogna mai aver paura di essere volgari, solo di essere noiosi”; e ancora lei che dichiarava il suo amore per il colore – soprattutto per il rosso-, quale simbolo della tenacia che l’ha contraddistinta Ho occhio per il colore: forse è il dono più eccezionale che possiedo. Il colore dipende totalmente dalla tonalità. Il verde, ad esempio, può essere quello del metrò, però se ottieni il verde giusto… Il rosso è il grande chiarificatore: brillante, purificatore e rivelatore. Non potrei mai stancarmi del rosso… Sarebbe come stancarsi della persona che ami. Per tutta la vita ho inseguito il rosso perfetto”; sempre lei ad affermare che “gli occhi sono fatti per viaggiare”, dimostrando la sua spasmodica curiosità per tutto quanto sapeva di novità. Questo e molto altro si può scoprire sfogliando le sue memorie raccolte nel 1984 e oggi riproposte da Donzelli editore. Un viaggio alla scoperta della vera Diana Vreeland, di come si sia fatta notare da Carmel Snow e di come sia entrata nella redazione di Harper’s Bazaar nel 1936 con la folle rubrica “Why don’t you?”, un mix di pratici consigli e idee del tutto strambe, in un originale mélange di estro e ingegno (Perché non…ti zippi nel tuo abito da sera? Tieni in mano un grande bouquet come se fosse una bacchetta magica? Indossi una bombetta? Metti fra i capelli una spilla giapponese? Acquisti un cappotto da sera trasparente? Nascondi i tuoi fianchi in una giacca plissettata? Indossi dei cappelli di frutta? Dipingi un planisfero nella stanza di tuo figlio così che non cresca con un punto di vista provinciale? O ancora, il più famoso Perché non…lavate i capelli biondi di vostro figlio nello champagne per farli diventare dorati come fanno in Francia?).
Diana Vreeland ha sempre reinventato se stessa. E lo fa anche nella sua autobiografia, arditamente in bilico tra realtà e finzione. Dalle sontuose dimore londinesi alla Parigi degli anni trenta, dal jet-set newyorchese alle ribalte più esclusive del mondo, si susseguono gustosi aneddoti e incredibili situazioni condivise con la sua eclettica cerchia di amici, fatta di artisti e principi, star del cinema e icone pop: da Coco Chanel a Jack Nicholson, da Andy Warhol a Joséphine Baker.
Nel libro, inoltre, è possibile ritrovare il suo mondo elegante, esclusivo e brillante, ora inevitabilmente e fascinosamente retrò, dove personaggi leggendari come Diaghilev, Buffalo Bill, Jackie Onassis, Clarke Gable, i duchi di Windsor sono gli habitués del grande party della sua vita.

D.V. di Diana Vreeland
Donzelli Editore
266 pagine – 18 euro

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