Parlando
di Vogue (http://anitapezzotta.blogspot.it/2012/11/aboutvogue-oltre-un-secolo-di-moda.html)
il ricordo non può non correre allo storico concorrente Harper’s Bazaar, nell’evocazione
sincretica di un momento fondamentale della moda e in particolare quello in cui
si sta affermando e diffondendo presso il grande pubblico e alle riviste è
lasciato il compito di rivolgersi ad esso per coinvolgerlo in questo meraviglioso
mondo, fatto di storia e socialità prima ancora che di abiti e accessori.
Pagina dopo pagina è l’affermarsi dello stile delle divere epoche, complici la
magistrale fotografia di artisti passati alla storia, volti di bellissime
modelle che faranno da spartiacque all’avvento delle top e strepitose creazioni
da indossare, nate dall’estro visionario di stilisti pronti a testimoniare la
cultura di quel determinato momento storico in cui si trovavano.
Due
gli attori editoriali primariamente coinvolti nel racconto - illustrato per
immagini e romanzato per testi - della moda e della sua evoluzione: Vogue e
Harper’s Bazaar.
Quest’ultimo,
nato nel 1867 dall’inventiva di Fletcher
Harper come settimanale, è stato l’acerrimo concorrente del primo, a cui spesso
ha sottratto le forze migliori, come, per esempio, il fotografo De Meyer e la
giornalista Carmel Snow chiamata nel 1932 a fare la direttrice (a lei il
merito, nel 1946, di battezzare con l’appellativo New Look la prima collezione
di Christian Dior).
Nel 1901, complici i numerosi problemi di
edizione e vendita, assume carattere mensile. Un accorgimento che non però
portato grandi novità e non ha risollevato le casse della testata, tanto che
nel 1913 viene acquistata da William Randolph Hearst, noto e florido editore.
Il neoproprietario sin da subito contrappone in modo netto il mensile a Vogue,
praticando una politica d’ingaggi, d’esclusive (come, per esempio, un contratto
decennale all’illustratore Erté), di grandi firme. Nel 1929, Hearst modifica leggermente il nome della rivista,
aggiungendo una seconda “a” al finale
di Bazar. È l’inizio dell’ascesa nel mondo editoriale di moda: un successo decretato e autenticato, quale
mese dopo, dalla rivoluzione grafica studiata da Alexy Brodovitch, dal suo
fiuto per i talenti della fotografia - da Man Ray a Martin Munkacsi a Richard
Avedon – che scopriva e lanciava sulla scena internazionale nonché dalla sua
passione per l’arte a tuttotondo che l’ha portato a collaborare con personaggi
del calibro di Jean Cocteau, Salvador Dalì e Marc Chagall.
Una
realtà complessa e articolata, alla quale va riconosciuto il plauso d’aver
testimoniato, con precisione quasi didascalica e pedagogica, l’evoluzione del
costume e dello stile: nelle sue retroguardie si sono succedute personalità
quali Diana Vreeland, icona e
avanguardia dell’eleganza, e fotografi dalla visionaria creatività come Bob Richardson e Irving Penn. L’ultima grande direttrice è stata Liz Tilberis, scomparsa nel 1999. Nel
maggio 2001, Glenda Bailey diventa
responsabile editoriale del magazine, forte del suo passato in Italia come
designer e reduce dall’edizione americana di Marie Claire, trasformata in
cinque anni nella rivista di moda più venduta in America: il primato
dell’incremento più rapido di diffusione. Nel giugno 2002, invece, Stephen Gan, collaboratore di Harper’s
Bazaar, ritira il Fashion Award per
la categoria Creative Visionary. La
testata ha diverse edizioni straniere – per la precisione 18 – tante quanti
sono i Paesi in cui è pubblicata.
Ancora
una volta, si tratta di quell’ideale
connubio tra moda e società, tra costume e cultura: un’unione trionfante, che
vanta e custodisce segreti punti di contatto, fondamentali per leggere una
dimensione nell’immagine dell’altra, nella sua essenza così come nelle sue
trasformazioni. Due facce della stessa medaglia con cui spiegare lo
scorrere del tempo nella sua sfumatura più subliminale e appena sussurrata: le tendenze estetiche quali istanze
valoriali, portavoce di un insieme di significati e interpretazioni volte a
offrire uno spaccato quanto più aderente alla realtà che vanno a rappresentare
sotto forma illustrata.
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