martedì 6 novembre 2012

ABOUT_Harper's Bazaar: pagine di moda












Parlando di Vogue (http://anitapezzotta.blogspot.it/2012/11/aboutvogue-oltre-un-secolo-di-moda.html) il ricordo non può non correre allo storico concorrente Harper’s Bazaar, nell’evocazione sincretica di un momento fondamentale della moda e in particolare quello in cui si sta affermando e diffondendo presso il grande pubblico e alle riviste è lasciato il compito di rivolgersi ad esso per coinvolgerlo in questo meraviglioso mondo, fatto di storia e socialità prima ancora che di abiti e accessori. Pagina dopo pagina è l’affermarsi dello stile delle divere epoche, complici la magistrale fotografia di artisti passati alla storia, volti di bellissime modelle che faranno da spartiacque all’avvento delle top e strepitose creazioni da indossare, nate dall’estro visionario di stilisti pronti a testimoniare la cultura di quel determinato momento storico in cui si trovavano.
Due gli attori editoriali primariamente coinvolti nel racconto - illustrato per immagini e romanzato per testi - della moda e della sua evoluzione: Vogue e Harper’s Bazaar.
Quest’ultimo, nato nel 1867 dall’inventiva di Fletcher Harper come settimanale, è stato l’acerrimo concorrente del primo, a cui spesso ha sottratto le forze migliori, come, per esempio, il fotografo De Meyer e la giornalista Carmel Snow chiamata nel 1932 a fare la direttrice (a lei il merito, nel 1946, di battezzare con l’appellativo New Look la prima collezione di Christian Dior).
Nel 1901, complici i numerosi problemi di edizione e vendita, assume carattere mensile. Un accorgimento che non però portato grandi novità e non ha risollevato le casse della testata, tanto che nel 1913 viene acquistata da William Randolph Hearst, noto e florido editore. Il neoproprietario sin da subito contrappone in modo netto il mensile a Vogue, praticando una politica d’ingaggi, d’esclusive (come, per esempio, un contratto decennale all’illustratore Erté), di grandi firme. Nel 1929, Hearst modifica leggermente il nome della rivista, aggiungendo una seconda “a” al finale di Bazar. È l’inizio dell’ascesa nel mondo editoriale di moda: un successo decretato e autenticato, quale mese dopo, dalla rivoluzione grafica studiata da Alexy Brodovitch, dal suo fiuto per i talenti della fotografia - da Man Ray a Martin Munkacsi a Richard Avedon – che scopriva e lanciava sulla scena internazionale nonché dalla sua passione per l’arte a tuttotondo che l’ha portato a collaborare con personaggi del calibro di Jean Cocteau, Salvador Dalì e Marc Chagall.
Una realtà complessa e articolata, alla quale va riconosciuto il plauso d’aver testimoniato, con precisione quasi didascalica e pedagogica, l’evoluzione del costume e dello stile: nelle sue retroguardie si sono succedute personalità quali Diana Vreeland, icona e avanguardia dell’eleganza, e fotografi dalla visionaria creatività come Bob Richardson e Irving Penn. L’ultima grande direttrice è stata Liz Tilberis, scomparsa nel 1999. Nel maggio 2001, Glenda Bailey diventa responsabile editoriale del magazine, forte del suo passato in Italia come designer e reduce dall’edizione americana di Marie Claire, trasformata in cinque anni nella rivista di moda più venduta in America: il primato dell’incremento più rapido di diffusione. Nel giugno 2002, invece, Stephen Gan, collaboratore di Harper’s Bazaar, ritira il Fashion Award per la categoria Creative Visionary. La testata ha diverse edizioni straniere – per la precisione 18 – tante quanti sono i Paesi in cui è pubblicata.
Ancora una volta, si tratta di quell’ideale connubio tra moda e società, tra costume e cultura: un’unione trionfante, che vanta e custodisce segreti punti di contatto, fondamentali per leggere una dimensione nell’immagine dell’altra, nella sua essenza così come nelle sue trasformazioni. Due facce della stessa medaglia con cui spiegare lo scorrere del tempo nella sua sfumatura più subliminale e appena sussurrata: le tendenze estetiche quali istanze valoriali, portavoce di un insieme di significati e interpretazioni volte a offrire uno spaccato quanto più aderente alla realtà che vanno a rappresentare sotto forma illustrata. 

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