E se
ieri si è parlato di eleganza maschile, oggi si racconta di quella femminile,
trattando di uno dei capi per antonomasia dello stile da gran signora, amante
del buon gusto e della raffinatezza. Un capo su cui non si discute, che regna
incontrastato per il proprio fascino e la capacità di evocare un senso del
bello quasi d’antan, autentico nelle
forme e nei contenuti, ma, ancora di più, nella sua essenza vestimentaria.
Proprio lui: il tailleur.
La celeberrima e inossidabile accoppiata
giacca-gonna o pantalone, elegante e sofisticata, ma, al tempo stesso, pratica
e informale, capace di sdrammatizzare ogni situazione e risolvere l’annosa
questione circa cosa indossare quando.
A seconda di come lo si indossi, il
tailleur si anima di uno spirito nuovo, passando da mera divisa d’ordinanza a
seducente mise dall’alto tasso di femminilità. A noi donne interpretarlo e
contestualizzarlo, lasciando indelebili segni della nostra personalità.
Un
tempo, in virtù della sua spiccata connotazione sartoriale, non poteva che
essere realizzato da un sarto da uomo, in francese, per l’appunto, tailleur. Nonostante la derivazione terminologica
d’oltralpe, si deve al grande sarto
inglese John Redfern il plauso di averne realizzato il primo esemplare
nell’ormai lontano 1885 nientepopodimeno che per la principessa del Galles.
Da qui l’inizio di un’ascesa, iniziata
come capo semplicemente informale, riservato alle occasioni meno mondane,
soprattutto quelle mattutine, privo di fronzoli e sottolineato da accessori
mascolini – dal gilet alla cravatta - che rimandano all’originaria provenienza.
In men che non si dica, subisce la sua
prima evoluzione, divenendo l’espressione tipica di un desiderio di vita
attiva, di un bisogno di libertà, preludio di un attivo femminismo che avrà caratterizzato
le epoche a venire: si tratta del primo passo della moda nei confronti
dell’emancipazione femminile, l’ennesimo tassello volto a mostrare
l’indissolubile legame tra istanze sociali e fenomeni di costume, elementi speculari
di una medesima dimensione, che vuole vedere l’essenza viaggiare in tandem con
la sua identificazione iconografica. Tuttavia,
il tailleur dell’epoca, nonostante sfugga ai classici impedimenti sartoriali
dell’abbigliamento tradizionale, è tutt’altro che agevole per la donna: il
sarto, infatti, trasferisce nel nuovo capo le stoffe pesanti, l’intelaiatura
con le crine, le spalle imbottite dell’abito maschile e solo durante la prima
guerra mondiale arriverà ad accorciare la gonna, raggiunta comunque da alti
stivali volti a segnare un prolungamento ideale che nulla lascia
all’immaginazione.
Bisognerà aspettare la rivoluzionaria
intuizione di Giorgio Armani perché il tailleur femminile possa contare su una
forma pratica e confortevole, ma al tempo stesso elegante e formale, caratterizzata
da un’inconfondibile giacca destrutturata – cifra stilistica di Re Giorgio – e stoffa
leggera ad armatura solida. Correvano gli anni ’70, segnati – ça va sans dire – da un intenso
femminismo. Una tendenza, quella di decostruire il tailleur per renderlo
vivibile e portabile, intrapresa anche dall’antesignana della moda per
eccellenza, Mademoiselle Coco Chanel.
A lei il plauso di aver liberato la donna da ogni costrizione vestimentaria e
formale, per darle agio in abiti dalla giusta foggia e sensualità: avanguardie
per l’epoca, vere e proprie icone dello stile contemporaneo. Complice la
ristrettezza delle materie prime imposta dalla guerra, Chanel è costretta a lavorare solo con il jersey, tessuto a maglia,
strutturata, sottile e duttile al ferro da stiro, con il quale crea uno dei
suoi capi per antonomasia: il tailleur morbido, rigoroso, ma di assoluta e
femminile scioltezza, poi declinato nei famosi completi in tweed.
Il tailleur ha visto l’alternarsi di
stagioni, occupando dapprima la scena del costume e passando poi in penombra,
senza però mai abbandonare del tutto le luci della ribalta. Nel tempo, ha
saputo proporsi e reinventarsi, mantenendo inalterato il suo fascino sublime,
magico esaltatore di un’intrigante sensualità. Amato da dive e divine, più
volte è stato il provocante travestimento di leggende cinematografiche del
passato. Marlene Dietrich ama
indossare giacca e calzoni, anche in pubblico, tenendo a battesimo quello che
diventerà il tailleur pantalone. Joan
Crawford, invece, predilige la sottana, concentrando l’attenzione sulla
giacca (creata appositamente per lei dal costumista hollywoodiano Adrian):
dalla ampie spalle in modo da assottigliare i fianchi, il modello diviene uno
di più copiati, mantenendo fede alla severità formale impreziosita da ricami di
passamaneria.
Il tailleur non ha tempo. Diviene immortale
nella sua resa formale, passando oltre lo scorrere delle mode. Intatto nel suo
stile, viene eletto quale capo elegante per antonomasia, in grado di celebrare
con maniacale osservanza le occasioni più mondane e, al tempo stesso, essere la
mise più azzeccata per informali appuntamenti pomeridiani.
Complice
il suo gioco di linee e geometrie, esalta
la silhouette, appoggiandosi sul corpo quasi fosse un cardigan. Nel
frattempo, assume un’allure preziosa
illuminandosi di strass e brillanti accorgimenti. Sexy o rigoroso, ama
viaggiare nel tempo, percorrendo la sua storia e riprendendo, qua e là, piccoli
dettagli che ne denotano la tradizione: ecco, quindi, che si riappropria della silhouette anni ’30 e
’40; rilegge con occhio
contemporaneo i dettami di Patou, Schiaparelli e Chanel; a volte assottiglia il
busto e allunga l’orlo, diventa austero, ma anche misterioso e seducente. Androgino
e riservato. Svela ma cela. Addirittura intrigante quando la gonna diventa
micro, abbinata a giacchette in formato mini. Le regole s’infrangono, le
interpretazioni si sprecano: ciascuno con il tailleur può dire la sua, evocare
ricordi e suscitare emozioni. Si tentano
accordi, alle volte spiritosi, che mirano a mostrare le mille vite del
tailleur: un accenno di bolero, un pantalone dalle reminiscenze sciistiche, una
comoda giacca con la coulisse in vita, accompagnata a calzoni sigaretta. E
ancora, pantaloni a tubo con risvolto, uniti a un’attillata giacca-marsina. E
sotto, via libera a bluse lucide, pull e micro-pull colorati e, per le più
audaci, nulla, per tailleur indossati a pelle. Le sue strade sono infinite:
rispetta la severità di giacca, camicia
e gonna, oppure rompe gli schemi, abbandonandosi a licenze stilistiche dal
piglio garbato ma innovativo, che danno vita a loro volta a mille combinazioni
possibili. E se le vie del tailleur
sono infinite, la destinazione pare però essere la medesima: un’eleganza
raffinata combinata alla giusta dose di femminilità. Per intrigare senza
svelare, per apparire senza ostentare.
Negli anni ’80 il tailleur conosce una
seconda giovinezza e consolida il suo primato nel guardaroba femminile,
complici le cifre stilistiche di alcune tra le più prestigiose firme della moda:
l’allure straordinaria di Yves Saint-Laurent,
la magnifica spalla di Valentino, il
nitore di Mila Schön, la grazia
avveniristica di Krizia, la sensuale
audacia di Versace, le equilibrate
geometrie di Ferré.
Sinonimi di uno stile tanto
inconfondibile quanto intramontabile, hanno
segnato una svolta epocale nel look della giacca, operando novità di taglio
alla gonna e offrendo una nuova configurazione al tailleur nero o di prezioso
colore: l’eleganza dello smoking da sera.
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