giovedì 2 agosto 2012

ABOUT_Uno stile trattato coi Guanti!









Già in uso presso gli Egizi e in alcune parti dell’Asia, i guanti entrarono di diritto nel codice vestimentario di antichi Greci e Romani, utilizzati, però, dapprima non tanto come simbolo di eleganza, bensì come strumento simbolico, tanto che era buona prassi indossarli in occasioni sacre e cerimoniali.
Nel Medioevo divengono parte del rito dell’investitura feudale, così come segno di fiducia nella donna a cui vengono donati e segnale di sfida o disprezzo se gettati o sbattuti. Le prime versioni femminili appaiono nel IX secolo: in seta o in lana, sono chiusi al polso da tre bottoncini infilati; vi sono poi quelli con ampio risvolto, spesso foderati in pelliccia, per vere gran dame dello stile; accompagnano inoltre la mise da perfetta amazzone se realizzati in pelle (sempre più spessa nei modelli da caccia). Ruggero II, incornato Re di Sicilia, era solito portare guanti simili a quelli dell’antica Grecia, ornati di un sottile ricamo in lamina d’oro, raffigurante un angelo tra due fagiani. Per i dignitari erano rigorosamente in pelle bianca. La storia di questo pregevole accessorio prosegue nei secoli parallela al procedere del tempo tout court, accompagnandone cambiamenti ed evoluzioni. Corre l’anno 1200 e l’Italia è già rinomata per i guanti particolarmente adorni, la pelle conciata con essenze profumate, ma anche, si sospettava, con un veleno nell’eventualità di una rapida resa dei conti. In altre parole, un valido strumento di agghindamento ma anche di morte. Nel 1300 i guanti sono ormai divenuti d’uso comune: da lì in poi è un continuo crescendo e nella loro pomposità formale ed estetica, che li vuole in pelle, intessuti di fili d’oro, adornati spesso da preziose gemme applicate, accompagnano il primo secolo del Rinascimento. La declinazione cromatica del verde, scarlatto e viola, diviene lo strumento con cui distinguere le gerarchie ecclesiastiche: il guanto del Papa è bianco con le perle. A materiali nobili e sofisticati come la seta, si affianca il panno, utilizzato per le ciroteche. Nel 1500, anziché applicare gemme preziose si preferisce praticare dei tagli per lasciar emergere gli anelli cabochon infilati alle dita. Quelli femminili, realizzati quasi interamente in filo d’oro, sono ormai così preziosi e costosi da essere regolamentati dalle leggi suntuarie, le quali impongono il divieto di possederne più di 32 paia. Nel 1600 si declinano in una grande varietà di materiali quali raso, velluto, panno, arricchiti di merletti, frange e ricami. E’ il tripudio dell’opulenza e della bellezza fine a se stessa: baroccheggianti all’inverosimile, denotano il gusto dell’epoca per il senso estetico che deve essere sempre più gridato. Nel 1700, l’eleganza viene affiancata e unita a un concetto di utilità: i guanti non assurgono più soltanto a mero accessorio estetico, ma divengono anche qualcosa di funzionale per chi li indossa. Si diffonde la versione lucida, in pelle glacé, talmente cara da costare il doppio di quelli in capretto; da sapere, inoltre, che se realizzati in pelle di castoro, soltanto lo stesso guantaio è in grado di lavarli senza fare danni. Al pari delle scarpe oggi, le donne ne possiedono un numero straordinario e incalcolabile: anche 72 paia - uno diverso dall’altro -, da accorciare o allungare in misura inversamente proporzionale alla lunghezza delle maniche degli abiti. Lunghi e attillati, sono amati dalla moda al tempo del Direttorio, che impone di velare le braccia nude nelle mises da sera; per gli uomini che ne infilano uno solo, noblesse oblige che questo sia bianco. Nel primo trentennio del 1800 si assiste a un radicale ritorno a un abbigliamento elitario e i guanti divengono un punto imprescindibile di questa esasperata ricerca di stile in cui nulla viene lasciato al caso, bensì ogni dettaglio contribuisce a gettare le basi per un perfetto dandismo. Vengono quindi scelti in accordo con l’abito, prediligendo gradazioni di colore acidule come la scorza di bergamotto, il blu boreale o il carnicino, che già nel nome evocano la sofisticazione della ricerca e dell’intrinseco spirito estetico che la guida. A corollario, irrinunciabili dettagli quali sottili nervature, inserti di tulle intrecciato e ricami in argento, denotano la provenienza da Napoli, patria d’eccellenza dei mastri guantai che forniscono le loro creazioni in Europa e negli Stati Uniti. Sulla scia di una simile tendenza estetica, si sviluppa la moda dei mezzi guanti – o mitene – quasi sempre in rete. Siamo nella metà del secolo e la signora di buona società è solita uscire sempre con un paio di guanti alla mano, corti chiusi da due bottoncini, talora eccezionalmente lunghi, ornati in alto da piccole ghirlande di fiori, pizzo o ermellino. Guanti non solo in occasione di uscite mondane ma anche tra le pareti di casa: mitene in lana, raramente in velluto. Per l’uomo, l’alternativa a quelli in filo di Scozia sono i guanti gialli in pelle (divenuti sinonimo del ladro gentiluomo e insospettabile) per il giorno, bianchi per la sera. A fine ‘800 si spingono oltre la loro effimera funzione estetica per assumere il ruolo di difendere la mano dal contatto come segno di distinzione e distacco, mentre i manuali da bon ton sono impegnati a stilare le regole per concedere la mano nuda. Dopo la rivoluzionaria moda degli anni ’20 del ‘900 che vede il ritorno in grande spolvero dei guanti lunghissimi, lasciati cadere mollemente increspati con stile e nonchalance sull’avambraccio, i guanti seguono da vicino le evoluzioni del gusto, in un sodalizio ideale tra moda, storia e cultura: si complicano con rovesci alla moschettiera e con inserti di colore, s’impreziosiscono di materiali pregiati come il coccodrillo, si dilettano in giochi geometrici che mostrano il palmo in paglia o il dorso in pelle; vengono incontro all’esigenza della mano ala voltante, spariscono dall’uso se non in inverno, ricompaiono in rete e in seta per l’estate, trionfano in lana tra i giovani…come meteore, spariscono e ricompaiono negli anni, a volte a sottolineare un look militaresco,  altre a enfatizzare un’ispirazione dark, in ogni caso, però, a completare un outift caratterizzandolo per originalità, stile e glamour e valorizzandolo nei suoi aspetti più particolari . Piccole note che non passano inosservate e hanno reso indimenticabili alcune pagine del cinema come la sensuale Gilda – alias Rita Hayworth – con i suoi guanti lunghissimi e fiammanti o la raffinata Holly Golightly – alias Audrey Hepburn - in “Colazione da Tiffany” incantata davanti alle vetrine della celeberrima gioielleria con tanto di croissant alla mano. 

Nessun commento:

Posta un commento