Giovanni Battista Giorgini nasce a Forte dei Marmi da un’illustre famiglia lucchese, ma già agli inizi degli anni Venti si trasferisce a Firenze, dove inizia la sua attività di esportatore promuovendo l’artigianato italiano negli Stati Uniti. Dopo lo stallo dell’attività arrecato dalla crisi americana del ’29, sempre a Firenze, su incarico di uno dei suoi maggiori clienti americani, apre un negozio di artigianato statunitense. Nel corso del Secondo conflitto mondiale Giorgini comincia una stretta collaborazione con il comando alleato, tanto da organizzare e allestire nel 1944 l’Allied Forced Gift Shop, negozio di articoli da regalo per le truppe delle forze alleate: un successo che, insieme a quello in seguito derivato dall’organizzazione della mostra Italy at work al Museo di Arte Moderna di Chicago, gli permette di riconquistare i maggiori importatori e distributori americani e canadesi.
Collezionista antiquario e appassionato d’arte, ma anche abile uomo di affari dotato di un’innata capacità di anticipare i tempi, capisce l’importanza del settore dell’abbigliamento per il tempo libero. Dopo aver superato non pochi ostacoli, il 12 febbraio del 1951 – data storica per la moda – allestisce e realizza nella sua residenza fiorentina – Villa Torrigiani, in via de’ Serragli – il First Italian High Fashion Show, la prima presentazione di Alta Moda italiana per compratori esteri, trasferitasi successivamente nella Sala Bianca di Palazzo Pitti.
Alla presenza dei sei tra i più importanti buyers americani – Gertrude Ziminsky per B. Altman and Company di New York, John Nixon per Henry Morgan di Montreal, Ethel Francau, Jessica Daves e Julia Trissel per Bergdorf Goodman di New York, Stella Hanania per I. Magnin di San Francisco – 13 case di moda italiane presentano i loro modelli di abiti: nove per l’alta sartoria e quattro per la moda-boutique. Per l’Alta Sartoria sfilano Simonetta, Fabiani, Fontana, Schuberth, e Carosa di Roma, Germana Marucelli, Jole Veneziani, Noberasco e Vanna di Milano; per la moda-boutique Emilio Pucci, Avolio, Bertoli e la Tessitrice dell’Isola. La presentazione degli abiti è accompagnata dalla mostra di accessori: la maglieria di Mirsa di Galliate (Novara), le calzature di Dal Cò di Roma, la bigiotteria di Giuliano Fratti di Milano, i cappelli di Projetti e Gallia Peter di Milano, Romagnoli e Canessa di Roma, e Biancalani di Firenze, i gioielli di Luciana Aloisi de Reutern di Roma. Allora come oggi: una presentazione delle più belle creazioni made in Italy, passando dall’abito al cappello al gioiello, gettando le basi di un embrionale concetto di stile di vita italiano, in grado di abbracciare con gusto ed eleganza ogni meandro della vita quotidiana. La sfilata si rivela un successo: gli invitati americani sono entusiasti dei modelli presentati e le cinque giornaliste italiane presenti – Elisa Massai, corrispondente del Women’s Wear Daily, Elsa Robiola, direttrice di Bellezza e inviata del settimanale «Tempo», Vera Rossi di «Novità», Misia Armani del periodico «I Tessuti Nuovi», Sandra Bartolomei Corsi del quotidiano «Il Secolo XIX» – danno ampia enfasi all’evento. La seconda edizione della manifestazione (luglio 1951), vede la partecipazione di 15 case di moda italiane, 700 modelli presentati (contro i 180 di febbraio) e soprattutto la presenza di 300 compratori, a testimonianza della risonanza e dell’interesse suscitati dall’evento.
Nella prima metà degli anni Sessanta Giorgini approda sul mercato giapponese, guadagnandosi la fiducia della Isetan, uno dei più grandi department store del Paese. In quello stesso periodo, intuendo la portata innovativa delle grandi trasformazioni in atto nella società, si fa portavoce dell’esigenza di aprire progressivamente la manifestazione di Pitti alla moda pronta e alle linee del nascente prêt-à-porter. La proposta di Giorgini, contrastata dalle sartorie che continuano a sfilare a Firenze, offre l’occasione alle case di moda romane per sancire la definitiva rottura con il capoluogo fiorentino e dare così vita alle sfilate romane dell’Alta Moda.
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