Codici vestimentari a parte, non si può evitare di citare il mocassino, proponendone brevemente la sua storia. Adorabile modello del
guardaroba maschile, felice compagno di mises formali in doppio petto così come
di look casual – fintamente trasandati quel tanto che basta per denotare una
naturale inclinazione al culto dell’eleganza -, è stato sdoganato anche
nell’universo femminile, assumendo un ruolo d’indubbia rilevanza per abbinamenti
d’avanguardia, quintessenza di glamour, stile ed eccentrica novità.
Una novità, tuttavia, relativamente recente, visto che il mocassino tout
court vanta una radicata appartenenza alla scena del costume. Una tradizione
che ha cavalcato secoli di storia e cultura, legandolo alle civiltà più
disparate. I primi antenati delle nostre tanto adorate dandy shoes, infatti,
vanno ricercati negli Indiani del Nord America e nei loro pezzi unici di
morbida pelle che fasciavano il piede per alzarsi lungo i fianchi.
Un’origine oltre che formale anche semantica: il termine mocassino, infatti,
deriva dalla traduzione della parola “calzatura” nella lingua Algonquan,
parlata dai pellerossa.
Bisogna aspettare
fino al 1932, però, perché il mocassino si diffonda nella forma più simile a
quella attuale: siamo negli anni in cui la famiglia americana Spaulding inizia
la produzione di comode calzature ispirate a quelle indossate per la mungitura dai
produttori lattiero-caseari norvegesi, ritratti in un servizio del magazine
Esquire. Scarpe che, a loro volta, devono la loro origine a
quelle dei Lapponi, ricavate da più pezzi di cuoio cuciti insieme.
Gli anni ’30 segnano
una svolta: il mocassino vive il suo periodo d’oro, apprezzato nella forma e
valorizzato nella sua calzata. Nel 1936 l’azienda americana GH Bass, di proprietà del fabbricante di stivali John R. Bass, lancia i
Weejun Loafer, dove Weejun sta per Norwegian (norvegese), mentre Loafer
significa “scansafatiche”. A Bass si deve un’altra importante invenzione,
che diventerà la cifra stilistica per antonomasia del mocassino: la mascherina
a forma di labbra, destinata in seguito a ospitare la tipica monetina da un
penny. Leggenda narra che questo intaglio stondato sia stato ispirato dalla
bocca della moglie di John – Alice Bass – che baciava sempre le sue calzature
prima di uscire. Favolistica a parte, inizialmente il mocassino Weejun non
viene bocciato dai critici di moda in quanto “slipper” (babbuccia) e quindi sconsigliabile
per gli utilizzi quotidiani e formali.
Dal canto suo, però, questa particolare scarpa vanta una comodità unica e
impareggiabile rispetto a quella offerta dai modelli comunemente indossati. Un
confort che induce Fred Astaire ad adottarla come calzatura d’ordinanza sia per
quanto balla il tip tap che per le uscite più mondane, abbinata a un
sofisticato frac. È il preludio di un’apoteosi sancita dai giovani
americani dei campus universitari, che li eleggono parte integrante
dell’abbigliamento informale. Sempre loro è l’abitudine di inserire nella
mascherina a forma di labbra quel penny che diviene una sorta di accessorio
dell’accessorio. Tanto da ribattezzare il mocassino – a ragion veduta – “penny loafer”.
Dagli anni ’50 fino
ai ’70, complice un benessere economico sempre maggiore e
un desiderio crescente di seguire le tendenze o, addirittura, dettare moda, lo
stile Ivy League esce dai campus americani per approdare nelle strade di tutto
il mondo e in ogni categoria sociale. Bandite tutte le
distinzioni/discriminazioni che lo volevano relegato a un look da camera e
vietato negli abbinamenti formali, il mocassino conquista la scena
universale dello stile, divenendo uno dei simboli di un’eleganza d’antan,
figlia di un culto del buon gusto e della sua esaltazione per mezzo di tutti
quei dettagli volti a enfatizzare un’implicita – quanto naturale – vocazione al
vestir bene.
Conquista la scena artistica, grazie al favore dei jazzisti, così come
quella manageriale, idolatrato nel suo fascino raffinato da operatori
finanziari e capitani d’industria. È tempo di modernismo e voglia di
rinnovamento, tanto che Fratelli Rossetti lo reinterpreta sostituendo la
mascherina a bocca con un’applicazione di metallo rivettato e trattando la
pelle con un inedito effetto sfumato-anticato. Siamo agli albori del 1968,
periodo di grandi cambiamenti sociali e culturali in tutto il mondo: il marchio
italiano, in anticipo sulla svolta epocale, con coraggio ne estetizza lo
spirito rivoluzionario, lanciando la versione yacht, foderata in spugna in modo
tale da essere indossata senza calze, e la rielaborazione in forma di stivale o
sandalo.
Dalle modifiche
radicali degli anni ’70 all’opulenza degli ’80 il passo è breve e, sulla scia
di un continuo ed esaltante connubio tra moda e cultura, il mocassino si
presenta in grande spolvero per calcare le scene delle occasioni più glamour. L’informalità a cui era stato relegato è ormai un vago ricordo: ora
si propone in tutta la sua fulgida eleganza, emblema sempre più enfatizzato di
un antico dandysmo pronto a riconquistare il ruolo di rilievo che gli spetta
nella scena del costume. Rinnovato nelle linee, rivisitato nelle forme,
interpretato in numerose varianti, spesso alquanto fantasiose, il mocassino
approda nel guardaroba maschile, assurgendo a caposaldo di un’eleganza dinamica
e confortevole, ma al tempo stesso raffinata e chic, pronta a imporsi a passi
sempre più svelti quale nuovo concetto di eleganza. Eccolo quindi abbinato
a look da day time così come a
patinate mises da uscite di gala: è forse in questi anni che scopre la sua
versatilità, grazie alla quale concedersi con garbo a casual outfit e, contemporaneamente,
a première e red carpet, compagno di raffinati smoking nelle versioni più
preziose, che lo vogliono imbellettato di passamanerie e ogni altro elemento
volto ad arricchirne la foggia.
Estetica a parte, meritevole è un focus sulla sua elaborazione
strutturale, magari con la specifica di qualche termine tecnico. La sagomatura
viene realizzata con una cucitura sul tallone, la parte anteriore che copre le
dita viene chiamata centrino o vaschetta, la fascia prima della linguetta sul
collo del piede mascherina. La sua costruzione è l’esatto contrario di
quella delle altre scarpe in cui la tomaia copre la punta, il collo e il
calcagno, per scendere al sottopiede dove viene fissata. Vi è anche il
modello montato o finto mocassino, costruito normalmente con tomaia unita al
sottopiede. Quello detto tubolare, invece, può essere costruito senza suola o
sottopiede o addirittura privo di entrambi: la suola è costituita da tomai
e fodera unite insieme o dalla sola tomaia. Si tratta di un modello prettamente
estivo, da indossare senza calze e, proprio per questo, definito da molti “caprese”. Fra i marchi storici che
hanno fatto del mocassino uno dei loro tratti distintivi, oltre a Fratelli
Rossetti vanno ricordati senza dubbio Quintè di Milano e Gucci,
che l’ha adornato del suo celeberrimo morsetto. Più innovativo, ma non meno
privo di fascino, il brand Tod’s, che ha rilanciato il mocassino da
guida, ovvero quello tempestato di 133 gommini sulla suola: per un’aderenza di
classe…qualunque sia l’occasione!
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