lunedì 2 gennaio 2012

BOOK_Gianfranco Ferré. L'architetto stilista


“In molti hanno definito i miei abiti ‘architetture tessili’. La definizione mi piace. Rende bene l’idea di quello che è l’abito per me: il risultato di un incontro tra forma e materia, guidato dalla mano del creatore. Non userei altre definizioni. Semplicemente completerei questa: i miei abiti sono architetture tessili pensate per il corpo. Che il corpo rende vive…”. E poi ancora “il lavoro creativo è, innanzitutto, lavoro: ed è per questo che servono obiettivi, logica e rigore”. Ma anche “non accettare che nulla sia com’è perché così deve essere, in un’epoca in cui ogni cosa è in evoluzione, perché ogni cosa possiede – visibile o da scoprire – una storia”. Questi alcuni stralci tra i più emblematici del libro Gianfranco Ferré. L’architetto stilista di Maria Vittoria Alfonsi, edito Baldini Castoldi Dalai. Proprio lui, l’architetto stilista viene raccontato riprendendo alcune sue dichiarazioni o riportando le testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto: Rita Airaghi (cugina e valido braccio destro), Giorgio Re e Silvia Gavina (collaboratori attenti e disponibili), Roberto Vecchioni e Gino Paoli (amici di vecchia data), Gaetano e Alberta Marzotto e Sibilla della Gherardesca (figure emblematiche nell’evolversi della sua figura di stilista), senza dimenticare personaggi legati al mondo delle sfilate come Sergio Salerni, Piero Piazzi, Eva Riccobono. Quello che ne emerge è il ritratto di un uomo di poche parole ma grande generosità, timido ma irruento, riservato ma ironico, grande estimatore dell’arte, dei viaggi e delle sue case. Poco incline ai riflettori negli anni della Milano da bere e da bene, ha sempre preferito coltivare nella più totale discrezione la ricerca della perfezione stilistica, caratterizzata – come affermava lui stesso – dall’incontro di forma e materia, complici sicuramente i suoi studi universitari in architettura, che in ogni passerella trovavano validazione in un equilibrio calibrato di tagli e volumi. Ma Ferré è anche l’anima in cui hanno convissuto il prêt-à-porter italiano e l’haute couture francese: patron della sua griffe da un lato e direttore artistico chez Dior dall’altro, ha saputo esprimere il massimo di sé in ogni ambito, rispondendo ogni volta in maniera puntuale o addirittura anticipativa alle richieste di una clientela che proprio in quegli anni diveniva sempre più esigente, vuoi anche il ruolo dominante esercitato dalla stampa, sempre più una vera e propria opinion leader. A ragion avveduta, così ha definito questi due mondi “la moda francese è una perfetta esercitazione di interpretazioni stilistiche. Noi, invece, parliamo più del corpo e delle sue forme”. Un corpo che lo stilista ha fatto parlare spesso e volentieri con l’inconfondibile blusa bianca, segno incomparabile del suo stile. Un capo “che dichiara una costante ricerca di novità e un non meno costante amore per la tradizione”. Definita da lui stesso nel lessico contemporaneo dell’eleganza come “un termine di uso universale che ciascuno pronuncia come vuole”, essa “esercita un appeal speciale ed è vissuta come un’espressione di femminilità naturale e raffinata”. Ecco quindi che in Ferré tradizione e novità, passato e futuro, storia e avanguardia, convolano a giuste nozze grazie a capi dalla purezza formale pressoché unica, inconfondibile allo sguardo, fermamente ancorata a una cifra stilistica alquanto personale. Tanto al femminile quanto al maschile. Se la donna Ferré “è una donna volitiva, indipendente, giovane o che vuol sentirsi giovane, che vuole “sentirsi” nel vestito e non portare a spasso una firma” – in altre parole “una donna che nel modo di vestire esprime se stessa, non un’immagine costruita attraverso l’abbigliamento”, di contro l’uomo Ferré è un uomo “…serio, ma non noioso; brillante, ma non bizzarro; aggiornato, ma non schiavo dello stilista”. Come a dire che, ancor più che per la donna, il vestito diviene per lui mezzo di espressione. Espressione di uno stile – in ambedue i casi – fatto di sogni e suggestioni, di accenni sussurrati e significati evocati, riflessi di profonde reminescenze storiche e culturali, frutto di studi e approfondimenti da vero cultore della materia quale era per l’appunto Ferré. Uno spirito eclettico e interessato a tutto ciò che rappresentava fonte di novità e quindi, in senso lato, di ispirazione. Per lui il viaggio è stato un tassello fondamentale di impareggiabile valore nel suo patrimonio formativo: visitare città e Paesi diversi, anche quelli più lontani, altro non significava che cogliere le sfide dettate da abitudini e ritmi differenti, in  modo da comprendere le mentalità altrui. Un viaggio nello spazio e nel tempo per capire la grandiosità del passato e la promessa del futuro. Un modo per sviluppare uno sguardo nuovo e del tutto particolare, lo stesso con cui guardare ogni cosa che ci circonda e rappresenta creazioni, nascondendo un’indubbia valenza artistica. Proprio l’arte è stata per Ferré un’inseparabile compagna di vita e un universo di ispirazioni. Per lui in tutto la si poteva scovare. Bastava forse dotarsi di occhi curiosi e attenti a tutto quanto sapeva di nuovo? Forse. Sicuramente uno sguardo interessato verso tutto quello che ci circonda può essere la chiave di volta. Lo stesso sguardo interessato con cui ancora oggi osserviamo le sue meravigliose creazioni, nuove nella foggia ma intatte nello spirito e nel famoso equilibrio tra forma e materia. Un equilibrio connaturato come connaturata era la sua inclinazione a combinare sapienti tecnicismi a concrete soluzioni d’eleganza. Per uno stile dalla più nobile sostanza, che ha fatto storia, siglando le pagine più raffinate della moda italiana.

Nessun commento:

Posta un commento