martedì 31 gennaio 2012

ABOUT_Abbondanza: less (or more) is more?


Ultimamente, sempre più spesso, stilosamente parlando, ci si imbatte nella dicitura dall’eco quasi profetica less is more. All’apparenza un claim dall’allure pubblicitario che invita noi individui - a prescindere dal comportamento d’acquisto più o meno impulsivo e quindi da vere e proprie shopaholic o da semplici consumatrici di beni semidurevoli – a mostrare sempre meno…proprio perché meno è meglio. Prendendolo come un dogma insindacabile, che non va dimostrato né tantomeno smentito, la questione relativa all’abbondanza affonda radici piuttosto profonde nella storia della moda. Già negli anni ’50 un’indimenticabile Irene Brin – la prima giornalista di moda italiana, senza ombra di dubbio la più acuta e perspicace – suggeriva da vera estimatrice del bien vivre che l’abbondanza fosse sì qualcosa di augurabile ma solo per pochi e selezionati eletti, ossia coloro che sapevano dissimularla, sminuendola nella sua opulenza in una sorta di gioco di prestigio con la propria personalità. La Brin era infatti convinta che la ricchezza, sia di quantità che di qualità di beni economici e materiali, doveva essere implicita, senza necessità di gridarla ai quattro venti. Osservazioni che alla luce dei tempi moderni suonano sagge e garbate ma poco aderenti alla realtà quotidiana dei fatti, tempestata di casi eclatanti di sfoggi scintillanti di qualsivoglia genere di ornamento. Casi in cui il termine discrezione suona più come un’utopia che una regola da rispettare in un ossequioso silenzio. Nel trionfo osannato ed esasperato della cultura dell’urlo, spesso ripetuto più volte per essere sicuri di essersi fatti intendere. In parole povere, il passaggio da “abbastanza è troppo” a “troppo non è mai abbastanza” è stato rapido e indolore. Ma sfumature lessicali a parte, l’elemento che sicuramente fa da spartiacque affonda la sua ragione d’essere - come spesso in questi casi – nell’inflazionato aspetto culturale che, gradualmente nel tempo, si è plasmato su esigenze e stili di vita sempre più articolati e complicati. Un aspetto culturale che non è passato indenne allo scorrere dei famigerati anni ’80, epoca oltre la quale nulla è più stato come prima nell’interpretazione dell’estetica contemporanea. Gli anni del “tutto e subito”, dell’eccesso, del desiderio di meravigliare a tutti i costi, delle grandi disponibilità, conclamarsi del grande boom economico dei ’70 e preludio dei fasti oltre l’immaginaria opulenza dei ’90: ecco che qui il tutto abbonda in ogni dove e in ogni come. Addobbarsi come alberi di Natale ambulanti sembra la regola principe seguita spesso anche da molte celebreties (o additate come tali) con inevitabili cadute rovinose verso il baratro del cattivo gusto. Quasi a suggellare che in realtà meno è meglio proprio perché dona mistero e seduzione, sottintende e non dichiara, stuzzicando così la mente umana a un laborioso lavoro di intendimento, primo passo verso un gioco di intrigo. In molti casi si dice “un buon tacere non fu mai scritto”…sacrosante parole che mai come in questo caso, in senso figurato, assurgono a verità teoretica.

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