Tradizione vuole che l’eleganza sia la qualità delle cose semplici ed efficaci, che in poco esprimono il loro spirito, senza bisogno di eccessi e marcature. E per logica conseguenza, il metro con cui si misura il gusto. Per sua intima natura, l’eleganza è quindi elusiva, impalpabile e fragile: attributi che si scontrano con una contemporaneità troppo spesso gridata, ruvida e dura. Ma forse è solo un bene che sia così: da un simile e forte contrasto la sua essenza e il suo significato più profondo ne escono tracciati alla perfezione, identificabili a occhio nudo nella giungla caotica e alle volte farlocca dei giorni nostri.
Gli oggetti eleganti possiedono dunque grazia e dignità. E le persone eleganti, a loro volta, hanno grazia e semplicità, rivelando cura e buon gusto senza troppa affettazione e ricercatezza, negli atti come nel vestire. Eleganza come misura quindi, ma non solo. Vale infatti anche il suo contrario, ossia l’eleganza come opulenza: vedi una sobria combinazione di colori dalle reminescenze vagamente gauguiniane, per non parlare dei saloni rococò dell’Hotel de Crillon a Parigi. L’eleganza risiede quindi in molte cose, diverse tra loro e non facili da individuare e catalogare.
Parlando di moda, essa intrattiene con l’eleganza una relazione alquanto pericolosa. In questo caso, banalmente si considera l’eleganza come l’espressione di misura e buon gusto resa attraverso i vestiti: un approccio passivo e inerte, contraddetto frequentemente nel corso del tempo con verve e intelligenza da svariati maîtres à penser. Per Jean Genet l’eleganza è trovare un accordo tra cose di cattivo gusto, mentre per Diana Vreeland è semplicità con un tocco di cattivo gusto, da cui non si scosta molto Carmel Snow, secondo la quale si tratta di buon gusto misto a un po’ di audacia. Madame Coco Chanel la vede indissolubilmente legata alla presa di personalità di se stessi e del proprio futuro, associandola all’imprescindibile approdo nella maturità adulta. Giusta combinazione di distinzione, naturalezza, cura e semplicità per il couturier Christian Dior e condizione della mente, invece, per Oleg Cassini. E se il geniale Yves Saint Laurent ne nega l’equivalenza con la snobberia, il rocambolesco Christian Lacroix afferma che altro non è se non giungere all’essenza delle cose. Emblematica forse più di tutte la nota di Honoré de Balzac, che dedica un’intera sua opera a tracciare il significato della vita elegante, giungendo alla conclusione che ricchi si diventa ma eleganti si nasce. Già da queste poche citazioni emerge come essa sia tutto e il contrario di tutto. Impresa ardua quindi quella di trovarne una definizione il più esauriente possibile, nella dimostrazione di come sia un fattore tanto relativo quanto assoluto: non vi sono regole principi per definirla, tuttavia vigono dei cardini entro i quali una cosa è elegante e di buon gusto e oltre i quali cade inesorabilmente nel trash del non s’ha da fare. Proprio in virtù di questa lotta dissociata tra relativismo e assolutismo, si può essere però concordi sul fatto che l’eleganza non sia un vestimento, nonostante un abito molto bello, dalle proporzioni e dalle forme aggraziate, possa contribuire ad apparire eleganti. E non è nemmeno un gioiello, né l’ultima it bag o ancora un semplice accessorio (anche se gli accessori giusti divengono un valido alleato). L’eleganza attiene piuttosto a ben altro, identificandosi con un vero e proprio modo di essere. Eleganti si è per come si interpretano i vestiti e si vive lo stile, per il modo di porsi, di muoversi, di conversare, di relazionarsi. In altre parole, un look sensazionale non è nulla se non è accompagnato dagli atteggiamenti giusti e dall’eloquio appropriato, da nonchalance e disinvoltura. Essa pare risiedere proprio nella nostra naturalezza e nell’apparire per quello che siamo; nella semplicità di essere e di vestirsi; nella mancanza, quindi, di sforzo apparente nell’eccesso come nel suo contrario. In altre parole, se si vuole eccedere, lo si faccia pure. Con l’unica precauzione di procedere all’insegna della spontaneità, senza forzare il nostro limite naturale. Per essere davvero eleganti, quindi, è necessaria la personalità, una qualità che fortunatamente non si può comprare ma va coltivata e alimentata soltanto nel corso della vita, forgiandola di volta in volta nella maniera più consona a noi stessi e alla nostra indole. È forse per questo che spesse volte, un dandy realmente bohemien e signore squattrinate sono assai più eleganti e stilosi di un fashionista parato a festa, pronto a immolarsi sull’altare delle ultime tendenze.
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