Il kimono è
un abito tradizionale giapponese, tuttora utilizzato soprattutto in ambito
cerimoniale. Morbido e sciolto, si
caratterizza per le maniche molto ampie nonché per essere fermato in vita da
una fascia (obì) alta 30 centimetri e lunga 4 metri, realizzata spesso in
seta lavorata. I modi di annodarla e
girarla alta intorno alla vita denotano significati diversi, raffigurazione
simbolica di segreti tramandati di madre in figlia. Un abito che assurge quindi
a specifici codici vestimentari, intesi sia in termini di costume che di
tradizioni culturali. Meravigliosi esemplari, con la bellezza dei loro ricami e
tessuti, costituiscono il patrimonio della storia e di molti musei nipponici.
Spingendosi indietro nel tempo, per
trovare la prima traccia di un kimono bisogna risalire sino al XII secolo,
vedendolo indossato dai membri dell’aristocrazia, i quali erano soliti metterne
parecchi di colori diversi, uno sopra l’altro, vuoi a testimoniare in modo
opulento il loro rango sociale o ad affermare senza rischio di fraintendimenti la
loro appartenenza nobiliare. Nei secoli
seguenti si arricchisce di straordinari ricami, tripudio di maestria
artigianale, e di variopinti elementi
decorativi, trionfo di un accentuato e vivace cromatismo tipico da Sol
levante. Nel 1600 una legge dei Samurai
vieta colori e decori, relegando il kimono a uno di quei capi severi e austeri
- ai limiti del monacale - declinato nelle sole tonalità di bianco e nero.
Una ristrettezza che vincola anche il materiale in cui è realizzato: non più seta preziosa ma semplice cotone.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900
viene riportato in auge in tutto il suo splendore, sulla scia
dell’influenza impressa dalle stampe giapponesi all’arte e alla moda. Un
fascino misterioso e una sensuale eleganza a cui difficilmente si può
resistere, tanto da essere amato e
ritratto da grandi pittori come Toulouse-Lautrec, che lo indossa come
vestaglia, da Mucha e da Gustav Klimt,
che nelle loro opere ne rendono la composita intensità delle forme e degli
sfondi. Contemporaneamente, il kimono
diviene per la donna occidentale un sofisticato abito da pomeriggio o da
ricevimento in casa, per poi ispirare, con altri tessuti e maggiore
semplicità, la vestaglia da camera. Si
dice “a kimono” il taglio manica che ne riprende l’ampiezza allo scalfo: un
dettaglio intramontabile insieme ad altri particolari – come l’obì e il suo
gonfio e schiacciato fiocco – che hanno animato e ispirato la moda in un gioco
divertito di passato e futuro, di rimandi - reinterpretati in chiave
moderna - con cui far vivere e configurare la storia in capi d’abbigliamento
dall’utilizzo pressoché quotidiano.
Molti gli stilisti che al kimono hanno reso
omaggio, riprendendolo nella sua totalità piuttosto che in qualche aspetto
particolare, sussurrato qua e là a suggellare uno stile sofisticato e
ricercato, per una donna dall’eleganza innata e dal gusto eccelso: Mariano Fortuny gli dedica molta attenzione, facendone uno dei tratti
caratteristici della sua cifra stilistica; Gianfranco
Ferré lo ricorda in alcuni modelli appartenenti al periodo dei suoi
frequenti viaggi in Estremo Oriente, tripudio di una colorata fluidità; Kenzo, complice con ogni probabilità la
provenienza da quelle medesime terre, in ogni sua collezione gli rende omaggio con
i tagli, i volumi e i colori delle sue creazioni; senza contare tutte quelle
sfilate che più o meno esplicitamente lo citano, alcune in una chiara
ispirazione, altre invece in maniera più celata per arrivare a quelle dal
nitido mood geisha style. Perché la
moda si sa…è la storia che ritorna ogni giorno ai nostri occhi, donandoci uno
sguardo nuovo con cui conoscere il passato per guardare al futuro in modo consapevole.
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