“Prima
del mare, della terra, del cielo che tutto avvolge la natura aveva
nell’universo un unico volto,
fu detto CAOS, una mole grezza e malcomposta
nient’altro che peso inerte e semi discordi di cose rudemente connesse stipate
insieme” (Ovidio, Metamorfosi I 5,9).
Un
equilibrato caos, un perfetto disordine. Una materia che cambia e gioca con le
forme, i volumi.
I canoni si rovesciano, gli equilibri diventano instabilmente
solidi. Imperfetto, disarmonico, eccessivo. Compiuto, limpido, regolare.
I
codici si rispettano, trasgredendo. Questo il mood della collezione di Antonio Marras pensata per la
prossima primavera/estate. I vestiti sono
come fogli su cui scandire i tempi del cambiamento e della mutazione. Cabanne,
giacche, camicie,
solo in apparenza rigorosi, rivelano escrescenze come se
corazze si fossero arroccate
sulla schiena a difesa e a scudo.
Top, tuniche,
gonne
dalle forme apparentemente distanti
si rivelano vicine, contigue. Sorelle.
Figlie. Ciascuna nata dalla modificazione dell’altra.
I
colori sono riverberi
che richiamano l’alba, i toni della nebbia,
la luce
della rugiada.
Cipria, penicillina, cenere, azzurro polvere,
verde palude e rosa
delle principesse delle fiabe. Sui tessuti si rincorrono in materiali
differenti ricami preziosi, fili impazziti, trasparenze, sovrapposizioni,
ramages di vernice traforata,
ali di farfalle di telina e chiffon,
incrostazioni
di pietre e nastri gros-grain,
pizzi, dentelles, chantilly e ruches.
L’organza
radzimire dai macro fiori
incastonati in righe e bolle richiama mondi sognati
e già conosciuti. Paesaggi dell’Olimpo
dove si animano forme e colori.
Ecrù e
neri si intrecciano,
incontrano, scontrano.
Incastri di reti, pelle argento,
fil coupè,
rasi, broccati floreali, rigati tapestry,
duchesse di seta,
jacquard di cotone
e tulli su tulli.
E come Ovidio, Antonio Marras viene
spinto a narrare il mutare delle forme in corpi nuovi dall’estro. “O dei, se vostre sono queste metamorfosi,
ispirate il mio disegno, così che il canto dalle origini
del mondo si snodi
ininterrotto sino ai miei giorni” (Ovidio,
Metamorfosi I 1-4).
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