Correva
l’anno 1939 e la storica accoppiata Danzi e Bracchi interpretava la canzone dal
celeberrimo ritornello “Saran belli gli
occhi neri, saran belli gli occhi blu, la le gambe, ma le gambe…a me piacciono
di più!”. Protagoniste loro - le
gambe -, osannate e idolatrate nella loro femminile sensualità, enfatizzata da
inguainanti calze di seta che ne mettevano in risalto la seducente
conformazione: caviglie sottili, polpacci affusolati e, al contempo, torniti,
con la cucitura a sottolinearne la perfezione e a suscitare l’immaginario
maschile. Un accessorio per la donna che diviene immancabile, tanto da
sposarsi alle più disparate occasioni: calze
di seta artificiale per “tuttuso”, di seta pura per la sera e gli appuntamenti
mondani, declinate soprattutto nelle nuances nudo, cipria, biondo, bronzo, fumo
e, dulcis in fundo, nero. Quello
stesso nero che, decenni precedenti – nel 1893 - aveva contribuito a rendere celebri
le gambe di Jane Avril immortalate da Henri Toulouse-Lautrec, così come quelle
delle étoiles dei tabarins parigini, alle quali spettava l’onore di chiudere
gli spettacoli a passo di cancan. Passa il tempo, ma non cambia il loro
potere seduttivo: mezzo secolo più
tardi, sempre loro concorrono a eleggere a simbolo di seduzione le gambe di
Marlene Dietrich ne L’Angelo Azzurro.
Non da meno, sebbene più spesse e
coprenti nella versione in cotone, sono le calze indossate dalla procace e
ultrasexy mondina Silvana Mangano in Riso
Amaro, e di Laura Antonelli in Malizia;
mentre di seta sono quelle della
provocante Sophia Loren, protagonista di un memorabile spogliarello davanti a
uno straordinario Marcello Mastroianni in un episodio di Ieri, oggi, domani di De Sica: una scena indimenticabile della
storia cinematografica, tanto da essere ripresa trent’anni più tardi, con i
medesimi attori, nel film Prêt-à-porter di Robert Altman. Forse
meno esplicite, ma non per questo meno famose, le calze bianche di Anne
Bancroft ne Il laureato: perché,
nel tempo, le calze sono passate per diverse tinte, senza però perdere di
fascino e intrigo. Il bianco, in
particolare, vanta una prestigiosa estimatrice del calibro di Giuseppina
Beauharnais, la quale ne possedeva ben 148 paia, alle quali alternava tonalità
come il rosso o l’azzurro. Di color gridellino (fra il nero e il viola),
invece, quelle dell’eroina dannunziana de L’Innocente. Cinema e letteratura
a parte, le calze di seta vantano un
loro trascorso anche nel guardaroba maschile, annoverando un estimatore del
calibro di Enrico VIII che, insieme ai suoi gentiluomini, le indossava –
azzurre o cremisi – ricamate in oro nella parte alta e con pietre in quella
inferiore.
Tornando al côté
femminile, tradizione vuole che tutto ciò che è nascosto alla vista stimoli e
intrighi molto di più di quanto è costantemente sotto gli occhi. E così anche alle
gambe è toccata questa sorte. Nel 1913
si cominciano a scoprire le caviglie; poco dopo, il trottuer (progenitore del
tailleur) fa rialzare le gonne: et voilà!
le gambe in bellavista, pronte a scatenarsi, volteggiare e scattare a ritmo di
charleston, shimmy, one step, piuttosto che a muoversi sinuose con languidi tango.
Sono gli anni in cui incomparabili abiti, ricamati e cortissimi, dalla
meravigliosa foggia firmata Poiret, richiedono gambe e calze perfette,
caricandosi di un’impareggiabile impronta sensuale. Le calze diventano così
sempre più importanti per definire una mise e, al tempo stesso, valorizzare la
donna che le indossa nella sua femminilità più autentica. La scelta non deve
essere lasciata al caso, ma ponderata in considerazione dell’abito che si va a
indossare. Un’importanza tale da indurre
un industriale del settore, Pilade Franceschi, a istituire a Milano, in via
Manzoni, il Museo Storico della Calza. Nel
frattempo, complice il crescente culto estetico dedicato, si rinforzano le
parti più soggette a usura (punta, tallone, talvolta anche pianta) e, grazie
alla ricerca, la seta artificiale diviene meno lucida. Durante il secondo conflitto mondiale, vista la ristrettezza delle
materie prime, le calze di pura seta diventano sempre più rare. Inoltre, data
la delicatezza di questo indumento e la facilità con cui si smaglia, ecco
svilupparsi la figura della ricamatrice. Le calze di seta assumono così il
carattere di un regalo prezioso e ambito, portando le ragazze dell’epoca a
guardare con invidia chi le indossa. Finita la guerra, è la rinascita di
gambe e calze: nel 1946, l’attrice
hollywoodiana Linda Darnell si fa fotografare mentre infila le gambe nelle
prime “calze di vetro”, fatte su misura per lei. Betty Grable, invece,
sgambetta a tutto spiano e Rita Hayworth diventa un emblema di seduzione
ancheggiando e togliendosi i celeberrimi lunghi guanti, lasciando intravedere
le gambe attraverso alti spacchi nella gonna. Nonostante questa rinascita,
le calze di seta restano un indumento prezioso: 800 lire le 60 aghi, 600 le 54
aghi, considerando che gli stipendi medi sono poche migliaia di lire. Le pubblicità cominciano a dispensare
consigli, come, per esempio, il fatto che la calza con la cucitura dia più
slancio alla gamba, o a suggerire i colori in considerazione della tavolozza
degli abiti. Nel dopoguerra fanno la loro apparizione le calze di nylon,
che non possiedono però la carica erotica di quelle in seta. Accanto alle
classiche in tinta unita, compaiono quelle a rete, di pizzo, decorate,
stampate; calze indemagliabili e autoreggenti; con fili d’oro o d’argento per
la sera. Il nylon e le altre fibre
artificiali portano a un lento e graduale tramonto delle calze di seta.
Tuttavia, il loro potere seduttivo rimane ineguagliabile. Perché come le aveva
definite Diana Vreeland, esse rappresentano “il
vestito più sensuale per una donna”.
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