venerdì 25 gennaio 2013

ABOUT_Le calze di seta







Correva l’anno 1939 e la storica accoppiata Danzi e Bracchi interpretava la canzone dal celeberrimo ritornello “Saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, la le gambe, ma le gambe…a me piacciono di più!”. Protagoniste loro - le gambe -, osannate e idolatrate nella loro femminile sensualità, enfatizzata da inguainanti calze di seta che ne mettevano in risalto la seducente conformazione: caviglie sottili, polpacci affusolati e, al contempo, torniti, con la cucitura a sottolinearne la perfezione e a suscitare l’immaginario maschile. Un accessorio per la donna che diviene immancabile, tanto da sposarsi alle più disparate occasioni: calze di seta artificiale per “tuttuso”, di seta pura per la sera e gli appuntamenti mondani, declinate soprattutto nelle nuances nudo, cipria, biondo, bronzo, fumo e, dulcis in fundo, nero. Quello stesso nero che, decenni precedenti – nel 1893 - aveva contribuito a rendere celebri le gambe di Jane Avril immortalate da Henri Toulouse-Lautrec, così come quelle delle étoiles dei tabarins parigini, alle quali spettava l’onore di chiudere gli spettacoli a passo di cancan. Passa il tempo, ma non cambia il loro potere seduttivo: mezzo secolo più tardi, sempre loro concorrono a eleggere a simbolo di seduzione le gambe di Marlene Dietrich ne L’Angelo Azzurro. Non da meno, sebbene più spesse e coprenti nella versione in cotone, sono le calze indossate dalla procace e ultrasexy mondina Silvana Mangano in Riso Amaro, e di Laura Antonelli in Malizia; mentre di seta sono quelle della provocante Sophia Loren, protagonista di un memorabile spogliarello davanti a uno straordinario Marcello Mastroianni in un episodio di Ieri, oggi, domani di De Sica: una scena indimenticabile della storia cinematografica, tanto da essere ripresa trent’anni più tardi, con i medesimi attori, nel film Prêt-à-porter di Robert Altman. Forse meno esplicite, ma non per questo meno famose, le calze bianche di Anne Bancroft ne Il laureato: perché, nel tempo, le calze sono passate per diverse tinte, senza però perdere di fascino e intrigo. Il bianco, in particolare, vanta una prestigiosa estimatrice del calibro di Giuseppina Beauharnais, la quale ne possedeva ben 148 paia, alle quali alternava tonalità come il rosso o l’azzurro. Di color gridellino (fra il nero e il viola), invece, quelle dell’eroina dannunziana de L’Innocente. Cinema e letteratura a parte, le calze di seta vantano un loro trascorso anche nel guardaroba maschile, annoverando un estimatore del calibro di Enrico VIII che, insieme ai suoi gentiluomini, le indossava – azzurre o cremisi – ricamate in oro nella parte alta e con pietre in quella inferiore.
Tornando al côté femminile, tradizione vuole che tutto ciò che è nascosto alla vista stimoli e intrighi molto di più di quanto è costantemente sotto gli occhi. E così anche alle gambe è toccata questa sorte. Nel 1913 si cominciano a scoprire le caviglie; poco dopo, il trottuer (progenitore del tailleur) fa rialzare le gonne: et voilà! le gambe in bellavista, pronte a scatenarsi, volteggiare e scattare a ritmo di charleston, shimmy, one step, piuttosto che a muoversi sinuose con languidi tango. Sono gli anni in cui incomparabili abiti, ricamati e cortissimi, dalla meravigliosa foggia firmata Poiret, richiedono gambe e calze perfette, caricandosi di un’impareggiabile impronta sensuale. Le calze diventano così sempre più importanti per definire una mise e, al tempo stesso, valorizzare la donna che le indossa nella sua femminilità più autentica. La scelta non deve essere lasciata al caso, ma ponderata in considerazione dell’abito che si va a indossare. Un’importanza tale da indurre un industriale del settore, Pilade Franceschi, a istituire a Milano, in via Manzoni, il Museo Storico della Calza. Nel frattempo, complice il crescente culto estetico dedicato, si rinforzano le parti più soggette a usura (punta, tallone, talvolta anche pianta) e, grazie alla ricerca, la seta artificiale diviene meno lucida. Durante il secondo conflitto mondiale, vista la ristrettezza delle materie prime, le calze di pura seta diventano sempre più rare. Inoltre, data la delicatezza di questo indumento e la facilità con cui si smaglia, ecco svilupparsi la figura della ricamatrice. Le calze di seta assumono così il carattere di un regalo prezioso e ambito, portando le ragazze dell’epoca a guardare con invidia chi le indossa. Finita la guerra, è la rinascita di gambe e calze: nel 1946, l’attrice hollywoodiana Linda Darnell si fa fotografare mentre infila le gambe nelle prime “calze di vetro”, fatte su misura per lei. Betty Grable, invece, sgambetta a tutto spiano e Rita Hayworth diventa un emblema di seduzione ancheggiando e togliendosi i celeberrimi lunghi guanti, lasciando intravedere le gambe attraverso alti spacchi nella gonna. Nonostante questa rinascita, le calze di seta restano un indumento prezioso: 800 lire le 60 aghi, 600 le 54 aghi, considerando che gli stipendi medi sono poche migliaia di lire. Le pubblicità cominciano a dispensare consigli, come, per esempio, il fatto che la calza con la cucitura dia più slancio alla gamba, o a suggerire i colori in considerazione della tavolozza degli abiti. Nel dopoguerra fanno la loro apparizione le calze di nylon, che non possiedono però la carica erotica di quelle in seta. Accanto alle classiche in tinta unita, compaiono quelle a rete, di pizzo, decorate, stampate; calze indemagliabili e autoreggenti; con fili d’oro o d’argento per la sera. Il nylon e le altre fibre artificiali portano a un lento e graduale tramonto delle calze di seta. Tuttavia, il loro potere seduttivo rimane ineguagliabile. Perché come le aveva definite Diana Vreeland, esse rappresentano “il vestito più sensuale per una donna”. 

Nessun commento:

Posta un commento