Irene Brin,
alias Maria Vittoria Rossi: giornalista
e scrittrice italiana dal piglio arguto ma garbato che nell’immediato dopoguerra
ha saputo crearsi un ruolo di rilievo nella carta stampata, in concomitanza con
la sua naturale propensione a coltivare il culto delle arti e del buon gusto.
Appartenente a una famiglia alto-borghese - tra una citazione e l’’altra di
Saint-Simon, Proust e Musil - la Brin inizia la carriera di giornalista
firmando i suoi pezzi con lo pseudonimo Mariù al Giornale di Genova e al Lavoro.
Il primo ad apprezzarne simili articoli così brillanti, acuti e colti è Leo Longanesi, tanto da volerla subito
a Omnibus, settimanale a rotocalco uscito in Italia alla vigilia della seconda
guerra mondiale e quasi subito soppresso dal regime fascista. Sempre Longanesi
a inventarle lo pseudonimo con cui poi sarebbe divenuta celebre. La perfetta conoscenza delle lingue, un
umorismo sottile e garbato, un intuito speciale e uno stile eccelso fanno il
resto come in una magica alchimia, rendendola la prima grande giornalista di
costume d’Italia. Insieme al marito – Gasparo del Corso, proprietario della
galleria d’arte l’Obelisco – porta a Roma le opere di Cocteau, Matta, Magritte
e Dalì. Donna Irene, come era solito
chiamarla il suo entourage, veste in modo sofisticato e anticonformista.
L’appartamento a Palazzo Torlonia dove abita, riflette il suo stile personale
con arredamenti dal gusto raffinato: divani di velluto nero, paraventi
Coromandel (gli stessi adorati da Mademoiselle Coco), splendidi quadri moderni.
Sempre più impegnata lavorativamente parlando, tiene una rubrica di consigli sul settimanale La Settimana Incom che
firma ”Contessa Clara” e si occupa di
moda per diverse testate italiane, come Bellezza, e americane. Autentica
talent scout, si prodiga affinché l’Italia si butti alle spalle una volta per
tutte la sudditanza parigina subita nel campo della moda. A tal proposito, Giovanni Battista Giorgni, l’inventore
delle sfilate fiorentine preludio del trionfo del made in Italy modernamente
detto, trova in lei una valida ed intelligente alleata. Per far conoscere
oltreoceano le grandi sartorie italiane del dopoguerra organizza “8 contesse 8”, un tour in America in cui
otto bellissime e aristocratiche signore romane s’improvvisano indossatrici di
moda. Di Irene Brin molto è stato scritto. Le parole forse più eloquenti nella
loro magnifica spontaneità, che la ritraggono in modo pulito e sincero, senza
encomi gratuiti, sono quelle di Camilla
Cederna: “Era molto bella, con
chiarissimi occhi spalancati sul mondo che osservava instancabile. Era molto
giovane e già scriveva, ogni domenica, sul Lavoro di Genova, una mezza
colonnina in margine a fatti, avvenimenti, incontri, firmata Mariù. Ed è
bastata quella mezza colonnina a far capire che era nata la prima giornalista
italiane a farla guardare con ammirazione, invidia e molto sospetto (…)… Fu la
prima a intuire e bollare, con penosa amarezza, e soprattutto a scriverne, le
meschinerie delle mezze calze, degli arrampicatori, i piccoli giochi
d’equilibrio degli arrivisti, le ipocrisie e le stupide astuzie (…). Era
modesta, aveva una grande dignità, era discretissima, non si rendeva conto di
essere stata nel giornalismo italiano, non solo femminile, una maestra, un
esempio, una pioniera. Nessuno l’ha mai sentita parlare di sé, altro che
sorvolando o ridendo”.
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