Per Oscar
Wilde “La Bellezza è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio!
Essa è uno dei grandi fatti del mondo. Non può essere interrogata: regna per
diritto divino”. Seneca affermava già all’epoca che “Una donna
bella non è colei di cui si lodano le gambe, ma quella il cui aspetto
complessivo è di tale bellezza da togliere la possibilità di ammirare le
singole parti.” Si può parlare quindi di bellezza come di un fatto divinamente eccelso, che non va indagato
perché così è: non vi sono spiegazioni, né possibili tentativi di emulazione.
Esiste e basta. Come valida alleata: la volontà divina. Un divino che ritorna
anche in Jean Anouilh, secondo il quale “La bellezza è una di quelle
rare cose che non portano a dubitare di Dio”, e in Robert
Browning “Se hai bellezza e nient’altro, hai più o meno la miglior cosa
inventata da Dio”. Prova pertanto tangibile del creato e del bene destinato
all’umanità. Almeno in certi casi. E d’altronde anche nelle fiabe il bello è un
concetto associato a un’idea di benevolenza, tipica di fate, principesse e dame
dell’amor cortese; al contrario la bruttezza evoca malignità e odio,
caratterizzando lo spirito e l’immagine di streghe, matrigne e meduse
infernali. In questo senso Immanuel Kant docet “Il bello è simbolo
del bene morale”. Un bello associato al bene
tanto che secondo Dostoevskij “Non la forza, ma la bellezza, quella
vera, salverà il mondo”.
Un
concetto che, nonostante caricato spesso di valenze meramente estetiche,
trasuda un’intrinseca connotazione etica e filosofica e accompagna la civiltà
da secoli, tanto da disturbare il sommo Seneca che, lungimirante, poneva
l’attenzione sull’importanza della proporzione delle parti. Bellezza come parte del tutto quindi. Pervade la
persona che la possiede, evolve da essa, fino a involvere colui che la ammira.
Strettamente legata a questa definizione si pone l’interpretazione secondo la
quale la bellezza va oltre la semplice immagine
e comprende ben altro - stile, portamento e movenze in primis. Christian
Dior affermava “Il segreto della bellezza consiste nell’essere
interessante. Nessun tipo di bellezza può essere attraente se non è
interessante”. Un interessante che può scaturire da diversi fattori e che
denota la nobiltà del concetto di bellezza, vittima solo negli ultimi tempi di una
mercificazione ad aspetti tanto banali quanto volgari. Sulla stessa lunghezza
d’onda Omero che associava la bellezza alla
grazia - “La bellezza senza la grazia è un amo senza l’esca”
- ponendo forse l’accento ancora su un aspetto per così dire divinatorio. Ma
anche bellezza come Estetica intesa nel senso più puro del termine, come
fattore capace di suscitare felicità, o
addirittura come la manifestazione tangibile di quest’ultima. Ecco quindi Charles
Baudelaire, le poète maudit, affermare che “Ci sono tanti tipi di
bellezza quanti sono i modi abituali di cercare la felicità”, o ancora Stendhal
“La bellezza non è che una promessa di felicità” e sulla scia di questa
affermazione Marcel Proust “E’ stato detto che la bellezza è una
promessa di felicità. Inversamente, la possibilità del piacere può essere un
principio di bellezza” . Felicità e bellezza quindi legate in maniera
indissolubile; addirittura l’una la causa dell’altra e viceversa. Ma nonostante induca la felicità, essa ha un volto velato di
malinconia e mestizia, sublimi e raffinate espressioni di una
qualità così divina ed irrinunciabile. “Non pretendo che la gioia non possa
accompagnarsi alla bellezza; ma dico che la gioia è uno degli ornamenti più
volgari, mentre la malinconia è della bellezza, per così dire, la nobile
compagna, al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non abbia in sé
il dolore” affermava Baudelaire, e più ancora Benedetto Croce, che
ne tracciava i reali connotati: “Un velo di mestizia par che avvolga la
Bellezza, e non è velo, ma il volto stesso della Bellezza”. Un dolore forse
legato alle difficoltà implicate nel suo raggiungimento dapprima e nel suo mantenimento
poi, se si vuole evitare di ricorrere a metodi ispirati a Dorian Gray. Hermann
Hesse forse più di tutti esprimeva il senso di una tale malinconia “La
bellezza non rende felice colui che la possiede, ma colui che la può amare e
desiderare”. Un’infelicità propria quindi che determina una felicità
altrui: una sorta di felicità riflessa. E così si scopre l’inclinazione
altruista della bellezza, con buona pace di quanti invece la tacciano di
egocentrismo e cinismo.
Imperfezione per Marilyn Monroe, splendore del vero per Platone, ornamento della virtù per Leonardo, la
bellezza ha sempre regnato sovrana nelle menti della civiltà, suscitando
dibattiti e riflessioni. Nelle menti così come nell’anima e nella soggettività di ciascuno di noi: per Kahlil
Gibran “La bellezza delle cose
varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma in
realtà, magia e bellezza sono in noi”, mentre per David Hume “La
bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla”. Per
un’interiorità chiamata ad interpretare l’esteriorità, coniugando l’individuale
con l’universale, in una resa armonica degli estremi che perdono il loro
carattere di opposti a favore di una melodia di fondo. E se il genio stilistico Alexander McQueen la trovava nel grottesco, per Franz Kafka diveniva addirittura elisir di lunga vita “La
giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia
in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai
vecchio”. Dello stesso avviso Oscar Wilde per il quale la tirannia del
tempo si fermava di fronte la bellezza, per cui “Ciò che è bello è una gioia
per tutte le stagioni, ed è un possesso per tutta l’eternità”.
Bellezza
quindi come divinità, bene morale, felicità per sé e per gli altri; tanto
interessante quanto soggetta alle personali inclinazioni, quanto immortale nel
tempo. Tanto immortale da aver attraversato nella sua longevità la storia della
civiltà ed aver indotto un celebre dandy a scendere a patti col diavolo. Adesso
tocca a noi! Cercando di capire nel frattempo se belli si nasce o si diventa. Senza
dimenticare che, in ogni caso, se di bellezza si tratta, si intende una qualità
talmente eterea da non poter conoscere la contaminazione di aspetti volgari
tipicamente legati alla più banale umanità.
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