Bisogna volare fino al XIX secolo per
scoprire la storia che si cela dietro il cappello di paglia realizzato in terra
fiorentina. Un’antica tradizione artigianale rispettata ancora oggi in ogni
suo minimo dettaglio; ma, ancora più, un’arte di cui i produttori vanno
orgogliosi al punto da tutelarla con la costituzione,
nel 1986, del Consorzio “Il Cappello di Firenze”. Come spiega il presidente
Giuseppe Grevi, lo scopo è proprio quello di salvaguardare il valore della manualità e di quell’artigianalità
propria del made in Italy, fiore all’occhiello delle nostre produzioni e
asset fortemente apprezzato a livello mondiale, nonché tratto caratteristico e
vincente sulla concorrenza dei Paesi emergenti.
Cuore e fulcro di questa esclusiva
produzione, l’area intorno al capoluogo toscano che abbraccia i Comuni di
Signa, Campi Bisenzio e Lastra a Signa: accuratezza dei materiali,
manualità d’esecuzione e controllo di qualità sono gli elementi che fanno la
differenza.
Dall’estro
creativo degli artigiani fiorentini e dall’abilità manuale di esperte modiste,
nascono vere e proprie opere d’arte, che vedono la paglia abbinata alle materie
più diverse come raso, seta, merletti, piume, nonché la mise en scene di forme
asimmetriche e accorgimenti strutturali che rendono il cappello di paglia di
Firenze immediatamente riconoscibile (come non citare, per esempio, i fiori
ricamati a mano?!).
Per scovare le origini bisogna correre
indietro nei secoli. Nella Chiesa di San Miniato a Signa si trova una
lapide che recita “Qui giace Domenico
Sebastiano Michelacci di Bologna, che per primo vendette i cappelli agli
Inglesi e arricchì se stesso, Signa e i paesi vicini con il commercio della
paglia”. Fu proprio nei primi anni del ‘700 che Michelacci si adoperò per
trovare la ricetta segreta per una paglia perfetta, procedendo, in seguito, con
la produzione e la vendita di cappelli nel mercato inglese.
La materia prima, la paglia, era ottenuta
dalla lavorazione di particolari varietà di grano (soprattutto il “semone” o il
“Santa Fiora”). La coltivazione di questo grano avveniva di solito in
terreni privi di materiali organici e in miti condizioni climatiche: condizioni
che caratterizzavano il distretto toscano compreso tra i fiumi Arno, Bisenzio e
Ombrone. Simili condizioni climatiche
permettevano di ottenere fibre e policromie diversificate, ma allo stesso tempo
uniche. Una volta raggiunta la maturazione, le piante venivano sbarbate e
gli steli esposti a sole per tre giorni alla fine dei quali raccolti in
mazzetti. Oggigiorno, anche se la materia prima è in massima parte di
importazione, la lavorazione è ancora legata alla tradizione passata e le
trecce vengono cucite manualmente.
La produzione di cappelli di paglia ha
attraversato i secoli e il mondo intero, passando dai raffinati modelli
indossati agli inizi dell’800 dalle signore alla moda d’Europa e d’America, per
i primi viaggi sui transatlantici e poi in aereo, a quelli esportati oggi in
tutto il mondo, Stati Uniti e Giappone in testa.
Un
viaggio nel tempo, che ha lambito popoli e culture e ha sposato il mondo dell’arte, fornendo modelli ad hoc a registi e artisti
internazionali per le loro opere. Un approccio che denota il desiderio
delle imprese del Consorzio di coniugare le produzioni alla cultura e alla
storia, tracciando un ideale fil rouge tra dimensioni eterogenee e aumentando
la riconoscibilità a livello internazionale.
Un
binomio, quello tra industria e cultura, che rappresenta un servizio alla
collettività e le integra sempre di più nel tessuto sociale in cui operano.
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