lunedì 10 marzo 2014

ABOUT_Il cappello di paglia di Firenze









Bisogna volare fino al XIX secolo per scoprire la storia che si cela dietro il cappello di paglia realizzato in terra fiorentina. Un’antica tradizione artigianale rispettata ancora oggi in ogni suo minimo dettaglio; ma, ancora più, un’arte di cui i produttori vanno orgogliosi al punto da tutelarla con la costituzione, nel 1986, del Consorzio “Il Cappello di Firenze”. Come spiega il presidente Giuseppe Grevi, lo scopo è proprio quello di salvaguardare il valore della manualità e di quell’artigianalità propria del made in Italy, fiore all’occhiello delle nostre produzioni e asset fortemente apprezzato a livello mondiale, nonché tratto caratteristico e vincente sulla concorrenza dei Paesi emergenti.
Cuore e fulcro di questa esclusiva produzione, l’area intorno al capoluogo toscano che abbraccia i Comuni di Signa, Campi Bisenzio e Lastra a Signa: accuratezza dei materiali, manualità d’esecuzione e controllo di qualità sono gli elementi che fanno la differenza.
Dall’estro creativo degli artigiani fiorentini e dall’abilità manuale di esperte modiste, nascono vere e proprie opere d’arte, che vedono la paglia abbinata alle materie più diverse come raso, seta, merletti, piume, nonché la mise en scene di forme asimmetriche e accorgimenti strutturali che rendono il cappello di paglia di Firenze immediatamente riconoscibile (come non citare, per esempio, i fiori ricamati a mano?!).
Per scovare le origini bisogna correre indietro nei secoli. Nella Chiesa di San Miniato a Signa si trova una lapide che recita “Qui giace Domenico Sebastiano Michelacci di Bologna, che per primo vendette i cappelli agli Inglesi e arricchì se stesso, Signa e i paesi vicini con il commercio della paglia”. Fu proprio nei primi anni del ‘700 che Michelacci si adoperò per trovare la ricetta segreta per una paglia perfetta, procedendo, in seguito, con la produzione e la vendita di cappelli nel mercato inglese.
La materia prima, la paglia, era ottenuta dalla lavorazione di particolari varietà di grano (soprattutto il “semone” o il “Santa Fiora”). La coltivazione di questo grano avveniva di solito in terreni privi di materiali organici e in miti condizioni climatiche: condizioni che caratterizzavano il distretto toscano compreso tra i fiumi Arno, Bisenzio e Ombrone. Simili condizioni climatiche permettevano di ottenere fibre e policromie diversificate, ma allo stesso tempo uniche. Una volta raggiunta la maturazione, le piante venivano sbarbate e gli steli esposti a sole per tre giorni alla fine dei quali raccolti in mazzetti. Oggigiorno, anche se la materia prima è in massima parte di importazione, la lavorazione è ancora legata alla tradizione passata e le trecce vengono cucite manualmente.
La produzione di cappelli di paglia ha attraversato i secoli e il mondo intero, passando dai raffinati modelli indossati agli inizi dell’800 dalle signore alla moda d’Europa e d’America, per i primi viaggi sui transatlantici e poi in aereo, a quelli esportati oggi in tutto il mondo, Stati Uniti e Giappone in testa.
Un viaggio nel tempo, che ha lambito popoli e culture e ha sposato il mondo dell’arte, fornendo modelli ad hoc a registi e artisti internazionali per le loro opere. Un approccio che denota il desiderio delle imprese del Consorzio di coniugare le produzioni alla cultura e alla storia, tracciando un ideale fil rouge tra dimensioni eterogenee e aumentando la riconoscibilità a livello internazionale.
Un binomio, quello tra industria e cultura, che rappresenta un servizio alla collettività e le integra sempre di più nel tessuto sociale in cui operano. 

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