lunedì 17 marzo 2014

PEOPLE_Deborah Turbeville: l’incantratrice








Bisogna spingersi fino all’infanzia per cercare l’immaginario artistico che distingue lo stile fotografico di Deborah Turbeville. Un approccio inedito, il suo, alla moda e al ritratto sociale, impiegato perfino per realizzare una campagna pubblicitaria. Un linguaggio atemporale, ma, al tempo stesso, onirico e allegorico, che contraddistingue scatti immediatamente riconoscibili, sgranati (effetto ottenuto manipolando i negativi con procedimenti laboriosi e alchemici). I volumi si fanno così profondi, indefiniti e sfuggenti.
Questa, in estrema sintesi, la cifra di Deborah Turbeville, alla quale nel 2009 “Women’s Wear Daily” ha assegnato il primato di aver trasformato la fotografia di moda in un’autentica forma d’avanguardia artistica. Gli abiti sono appena riconoscibili, essendo portati a un’essenzialità di segno. Idem dicasi per i volti delle modelle, fluttuanti su interni ombrosi e decadenti, stagliati su paesaggi interiorizzati. Le donne immortalate dal suo obiettivo sono traslate in una chiave allegorica e soffusa, intrecciando melanconia, sensualità e abbandono. Le cromie sono consunte e tendono a un’infinità di gradazioni.
Alta, magra, quasi ascetica, parca di parole e di gesti, dedita al dovere. Distante ma subito presente con uno humour ficcante. Meticolosa e devota. Deborah Turbeville a Stoneham, Massachussetts, nel 1932, da una famiglia agiata e colta. Cresciuta a Boston, frequenta l’istituto Brimmer and May, da lei considerato fonte di future ispirazioni: cieli plumbei, brume oceaniche, tempeste di neve, vetrine offuscate, ecc. Abbandonati gli studi alla University of Georgia, nel 1957 approda a New York dove diviene simple model e assistente della stilista Claire McCardell, che la presenta a Diana Vreeland, all’epoca fashion editor per Harper’s Bazaar, la quale la avvierà verso altra carriera. Nel 1963 Deborah entra come redattrice a Harper’s Bazaar, dove lavora sotto l’egida di Marvin Isreal e conosce e frequenta Diane Arbus, Hiro e Rchard Avedon.
Deborah approda in seguito a Mademoiselles e a Ladies’ Home. Nel frattempo, acquistata una Pentax munita di lente Zeiss, comincia a scattare. Nel 1966 esordisce come fotografa professionista con un reportage live in Jugoslavia. Nel 1978 pubblica il primo dei suoi libri pluripremiati “Wallflower”. A questo ne seguiranno diversi, anche se l’oggetto di culto è senza dubbio “Unseen Versailles”, nato nel 1980 per volere di Jackie O: un volume che esplora la residenza dei monarchi francesi dell’Ancien Régime, mixando gioia barocca e abbandono. 

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