“Hai una vita molto più interessante se
indossi abiti unici”. Questa la convinzione della stilista inglese più nota e iconoclasta del mondo, punto di riferimento
del costume internazionale, testimone privilegiata – nonché protagonista
indiscussa – di quella sana contaminazione tra arte e moda molte volte evocata
e snodo imprescindibile della scena culturale degli anni ’70. Questo e molto altro ancora fanno capo a lei:
Vivienne
Westwood. Un nome che racchiude un tesoro di rimandi e visioni in
bilico tra la visionaria immaginazione e la rappresentazione scenica del
fermento artistico della seconda metà del secolo scorso, cartina di tornasole
delle dinamiche sociali dell’epoca. Il
suo nome, infatti, è indissolubilmente legato agli esordi della moda punk negli
anni ’70, ma soprattutto alla sua inclinazione ad andare contro le convinzioni
e il sistema, senza però con questo mancare di rispetto al passato per il quale
ha sempre dimostrato una veneranda devozione, ispirandosi in continuazione per
le sue creazioni.
La carriera di Madame Westwood spazia dallo
street wear all’haute couture, fino all’abbigliamento ready-to-wear; dagli
outfit che lei stessa disegnava per i Sex
Pistols negli anni ’70 (quando iniziò l’attività di stilista insieme al
compagno di allora Malcom McLaren, storico leader del gruppo) ai corsetti e agli abiti da sera degli anni
’80 e ’90, fino alle nuove tecniche
di modellismo e all’interesse sociopolitico degli ultimi anni.
Un
lavoro creativo che ha sempre spaziato da un estremo all’altro dell’universo
della moda, dalla cultura di strada
londinese alle eleganti e sofisticate collezioni per le passerelle di Parigi,
Londra e Milano. Un mondo che segue da vicino, essendo lei stessa
proprietaria e designer di un negozio di abbigliamento e tendenze – il celebre Leti
t Rock al 430 di King’s Road – più volte rinominato nel tempo (nel 1974 Sex, in seguito Seditionaries e
infine World’s End) e noto per l’inconfondibile
insegna con l’orologio che gira al contrario.
La prima sfilata targata Westwood si tiene
all’Olympia Londra nel 1981 con la collezione Pirate: la stilista lancia il
New Romantic movement ed è subito
successo, tanto che l’anno successivo
sfilerà a Parigi, seconda designer britannica dopo Mary Quant.
Nel 1984 il suo stile comincia a guardare alla
tradizione e alle tecniche sartoriali di Savile Row. Complice la riscoperta
dei tipici tessuti inglesi del ‘600 e del ‘700, la creativa costruisce un codice vestimentario che nel 1989 Mr John
Fairchild, presidente della Fairchild publications ed editor di Women’s Wear
Daily, definirà “chic sauvage”.
Nel 1990 è la volta di una linea completa
d’abbigliamento dedicata all’uomo, genere al quale aveva comunque lavorato sin
dagli inizi, mentre nel 1998 lancia Anglomania, dedicata ai giovani e
all’abbigliamento casual. Nelle sue creazioni, che si tratti di abiti o
accessori, sono riscontrabili i dettagli
del costume storico, come corsetti e crinoline rivisitati in chiave moderna e
innovativa, oppure l’utilizzo di tessuti classicamente british, quali il tartan
e il tweed, un astuto escamotage per realizzare capi ironicamente ispirati
all’aristocrazia e alla monarchia inglesi.
Anche le calzature riflettono una
sistematica esplorazione della struttura del costume storico, con
collezioni che si ispirano al decoro del tardo settecento (Red Boot with Mirror
Buckles, 1989), del rococò, dell’era
vittoriana e dei dipinti fiamminghi. Dal 1971 a oggi tra i cult spiccano le
calzature caratterizzate da intrecci unici di cuoio e tessuti pregiati, da
palette di colori spettacolari, da altezze vertiginose, visto che, come
proclama la stessa Westwood, “le scarpe
devono avere tacchi altissimi e platform per mettere la bellezza delle donne su
di un piedistallo”. Si va così dai primi modelli ispirati all’estetica del
fetish e del bondage come le Goat Chain
Boot della collezione Sex (1973/74), allo stivaletto indossato dalla stessa
stilista e assunto a icona, ai Rope
Sandal (1983) appartenenti al periodo Punk e portatori di colori innovativi
come il viola e il bianco per le suole di gomma. Tra gli altri modelli passati
alla storia, le famosissime zeppe
mock-croc della serie Super Elevated, alte fino a ventun centimetri, ree d’aver
causato al caduta in passerella di Naomi Campbell.
Numerosi i riconoscimenti ricevuti negli
anni: l’onorificenza British Designer
of the Year nel 1990 e nel 1991; il Queen’s
Award for Export nel 1998; l’Export
Designer of the Year e l’UK Fashion
Export Award for Design nel 2003. Nel
2004, invece, il Victoria&Albert Museum di Londra le ha dedicato una
retrospettiva, il più grande omaggio che il museo abbia mai dedicato a un
designer, esponendo outfit selezionati direttamente dalla collezione privata
del V&A e dall’archivio della stilista. Nel 2006 è la prima stilista inglese a ricevere l’onorificenza di D.B.E.
(Dama comandante dell’ordine dell’Impero Britannico) da sua maestà la regina
Elisabetta II come riconoscimento per l’eccezionale contributo alla moda
d’oltremanica.
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