Premiata
con l’Ambrogino d’oro – la massima onorificenza del Comune di Milano – per “aver fondato una figura professionale e un
ruolo importante nella moda”, Barbara Vitti è
una delle signore del fashion system milanese e internazionale. Nel corso della sua lunga carriera ha
curato l’immagine e la comunicazione di grandi personaggi come Valentino,
Versace, Armani e, soprattutto, è stata ed è al centro dei grandi cambiamenti
che hanno segnato il destino del made in Italy nel mondo. Parlare di lei è
come ripercorrere un’epoca, cristallizzando il passato e, sincronicamente,
fissando l’attualità e disegnando il futuro.
Figlia d’arte – la madre, infatti, era
giornalista di moda – comincia sin da ragazza a seguire le sfilate. Ben
presto, però, pur continuando a tenere rubriche su alcune riviste di moda,
capisce che il suo destino è altro e comincia
così a dedicarsi alle pubbliche relazioni, un ambito d’attività che proprio nei
tardi anni ’60 iniziava a farsi strada. Si sta sviluppando un universo vivace e in continuo fermento,
progenitore del fecondo periodo creativo che dagli anni ’70 caratterizzerà la
moda italiana: è una realtà di grande energia, con intelligenze splendide e
personaggi meravigliosi. Proprio in quegli anni Milano si appresta a divenire capitale del fashion, ruolo
indiscusso che ancora oggi la contraddistingue a livello mondiale.
Correva l’anno 1967: le maisons sfilavano a Firenze e Rosita e
Ottavio Missoni mandarono in passerella le modelle senza biancheria intima,
evidente limite estetico alle loro celeberrime creazioni in maglia. Uno scandalo che li costrinse a lasciare il
capoluogo fiorentino e a scegliere Milano quale sede deputata ad ospitare le
presentazioni delle loro collezioni. In men che non si dica, furono
raggiunti da molti nomi emergenti. Si stava mettendo in atto una sfida senza
eguali, al buon esito della quale contribuì Beppe Modenese: a lui, infatti, il plauso d’aver creato le sfilate milanesi nel senso
attuale del termine, trasferendo la Camera Nazionale della Moda da Roma a
Milano. Furono anni di grande
fermento artistico e creativo, che all’ombra delle guglie del duomo portarono
alla nascita del prêt-à-porter, un’eccellenza
squisitamente italiana.
Barbara Vitti nel corso della sua carriera ha avuto il
piacere di lavorare a stretto contatto con tre degli stilisti italiani che
hanno segnato le prime orme della moda made in Italy: Gianni Versace, Valentino e Giorgio Armani. Tre incommensurabili
talenti, seppure differenti, ai quali va riconosciuto d’aver creato moltissimo,
in primis lo svecchiamento da un certo
provincialismo in un momento in cui le sarte ancora si recavano a Parigi per
copiare i tagli da riproporre poi nel Belpaese. Versace, il
primo ad avere l’intuizione di portare modelle straniere in Italia, era uno
spirito vivace ed eclettico, estremamente curioso, attento ai giovani e
all’avanguardia. Armani, dal canto suo, è in grado di concepire intere collezioni
già sui fogli da disegno, complice l’innato talento per il disegno. Valentino, invece, si è
sempre distino per il suo estremo perfezionismo: dotato di una precisione
assoluta, con un solo sguardo è in grado di individuare anche un centimetro di
troppo sugli abiti. In particolare,
Barbara Vitti della sua collaborazione con il couturier italiano, ricorda con
piacere la sfilata a Voghera, il
paese natale dello stilista e nella piazza del quale venne presentata la nuova
collezione. Era un momento particolare
per la moda italiana, un tempo in cui si avvertiva il bisogno di un contatto
diretto con il pubblico, con il quale dialogare e dal quale trarre ispirazioni.
Una mossa azzardata, quella di utilizzare una piazza come location per una
sfilata, che si rivelò azzeccatissima: 14mila persone applaudirono la
collezione e il suo creatore.
Per Barbara Vitti
la moda deve sempre partire dalla gente, dalle tendenze che percorrono la
società. Anche per i più grandi stilisti, pertanto, è importante vivere la
realtà quotidiana per poi rielaborarla secondo le proprie idee ed il proprio
gusto. Non si può pensare di fare moda se
non si conosce il contesto in cui si vive così come se non si vanta un certo
rapporto con la città. Armani, ad esempio, si è sempre impegnato in tal senso,
uscendo insieme al socio Sergio Galeotti dai canoni classici con la creazione
di simboli per i giovani e la rottura degli schemi comunicativi. Basta solo
pensare al suo gigantesco murale che impreziosisce uno degli angoli del centro
milanese: creato a Cinecittà, proiettando la foto su un grande telo e poi
ricopiandola, sembrava un’iniziativa che potesse dar vita a numerosi
scetticismi, ma una volta allestito divenne uno dei simboli della città.
Quello tra Milano
e la moda è un rapporto indissolubile, caratterizzato da due entità che si
compensano, validandosi nei contenuti e nelle istanze. Secondo Barbara
Vitti, il capoluogo lombardo è il posto giusto perché la moda non è fatta solo
di tessuti, ma anche di infrastrutture e aziende: una compartecipazione di
fattori che determina il successo del fashion italiano. Infatti, nonostante
la competizione con Parigi e New York, Milano mantiene salda la sua identità,
distinguendosi per le abilità e i talenti che da sempre può vantare.
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