martedì 11 dicembre 2012

PEOPLE_Ken Scott e la moda del colore


















Ken Scott: stilista ma soprattutto inventore di un mondo fatto di fiori spettacolari, intrecci vegetali, animal print e frutti esotici. Un mix di fantasie volte a rappresentare la variegata realtà che ci circonda e da cui lo stilista ha sempre tratto ispirazione per le sue creazioni. George Kenneth Scott, in arte Ken Scott, è sicuramente portavoce di una moda semplice ed essenziale nelle forme ma estremamente raffinata nelle stampe e nei colori, veri elementi strutturanti su cui si fonda la sua visione stilistica. Americano dell’Indiana, nasce a Forth Wayne da padre fotografo. A diciott’anni, complice una spiccata passione per la pittura, s’iscrive dapprima alla Parsons School of Design di New York e, subito dopo, alla selettiva Moses Soyer. Ben resto, frequenta atelier del calibro di quello di William Hayter dove incontra artisti noti come Matta e Chagall, destinati a rimanere gli amici di sempre. È il momento in cui ha occasione di conoscere anche Peggy Guggenheim, la nota collezionista d’arte che nel 1944 organizzerà appositamente per lui una personale di pittura. Nel 1946 si stabilisce definitivamente in Europa e per la precisione in Francia. Agli inizi conduce una vita bohémienne tra Parigi ed Eze, località sulla Costa Azzurra dove affitta una casa che per tutta la vita sarà il suo rifugio. Qui esordisce nel textile design insieme a Joe Martin, realizzando pattern floreali per i più noti produttori tessili francesi. È suo il bozzetto conosciuto come Rose à longue tige stampato da Abraham e scelto da Christian Dior per la sua collezione d’alta moda primavera-estate del 1954. Un vero successo che lo spinge a tentare nuove imprese e a porsi su nuovi mercati. Dopo aver viaggiato per tutta l’Italia, nel 1955 approda a Milano e apre uno studio in via Sant’Andrea: qui fonda con Vittorio Fiorazzo il marchio Falconetto, azienda specializzata nel tessile stampato per arredamento. La produzione di tessuti firmati dall’artista rivoluziona subito il gusto di un’epoca che concepiva, sia per la moda che per il design, stoffe non troppo distanti dalle classiche tinte unite con sfumature smorzate. Oltre la particolarità dei disegni floreali stilizzati, quello che stupisce di più sarà l’utilizzo di colori accesi e solari, insieme all’imprevedibilità dei loro accostamenti. Presto le sue fantasie vengono adottate da molti nomi della moda italiana come Veneziani, Biki, De Barentzen e da alcune griffe di lusso della Milano degli anni ’50. È così che esplode il fenomeno Ken Scott, che, con una visione pionieristica, è il primo a stampare motivi floreali su lana per abbigliamento. Dalle collezioni di tessuti a quelle di foulard e sciarpe – e più in generale di abbigliamento – il passo è breve. Dal 1962, infatti, inizia a firmare linee di abiti e accessori a suo nome. Via Verri, via del Gesù, via Bagutta, il laboratorio in via Cadolini fino allo show room in via Corridoni, aperto su di una grande terrazza fiorita, sono le tappe significative delle sedi milanesi e della sua evoluzione creativa. Dalie, ortensie, drappi di shantung di seta, twill, crêpe e taffetà caratterizzano le sue prime sfilate: ma saranno le fibre innovative quali il jersey Ban Lon e il Qiana Dupont che lo renderanno celebre come lo stilista della modernità e del colore. Anche le ovattate atmosfere degli anni ’60 della mitica Sala Bianca di Palazzo Pitti saranno rivoluzionate dalla sua presenza colorata, attorniata da modelle con vestiti-fiore elastici e indeformabili dalle tonalità più azzardate.
Promotore di passerelle-spettacolo nei luoghi più insoliti, dal tendone di un circo sull’Appia Antica alle movimentate strade cittadine, provoca scalpore facendo danzare le sue indossatrici a tempo di musica beat. Per le sue performance disegna meticolosamente anche tutti gli accessori: dalle scarpe al cappello, dalle borse ai bijoux fino agli occhiali, per dar vita a quel concetto di stile, firmato Ken Scott, che permea ogni dettaglio, fenomeno antesignano del contemporaneo total look.
Negli anni ’70 propone, con grande seguito di pubblico, deliziosi chemisier di maglia fantasia in cotone o lana con bottoni siglati dalle sue iniziali oppure abiti da sera-sottoveste e beach-jamas con pantaloni a vita bassa dalla chiara eco gitana. In quegli anni, vano è ogni tentativo d’imitazione della sua rigogliosa e variopinta tavolozza: le composizioni Ken Scott hanno un carattere tutto particolare, non riproducibile soltanto per mezzo di un azzardato accostamento cromatico. Colore sì, ma che attiene a una precisa visione di vita da cui ne scaturisce una determinata interpretazione. Il suo stile rimane inimitabile anche grazie all’utilizzo di una tecnica di stampa a dodici colori, molto più complessa rispetto a quella usata comunemente dagli imprenditori tessili e dagli stampatori dell’epoca, che prevedeva un massimo di sei passaggi di colore. Anche i suoi inviti, le brochure, i comunicati stampa, i manifesti e le foto pubblicitarie documentano una fantasia sfrenata, quintessenza di luoghi, tempi, emozioni e suggestioni. Spettacolari i suoi defilé: nel 1968, nei panni di un domatore, fa muovere le sue modelle come felini, avvolte in cappe, tute, maxi abiti zebrati e leopardati; mentre nel 1972, al Piper, mostra la celebre collezione Findus, che inaugura sulla scena della moda italiana il filone dell’arte figurativa pop. Angurie, zucchine, uova fritte, cosce di pollo, asparagi e fragole trionfano su abiti da giorno e da sera realizzati nei materiali più eclettici, tra cui spicca il Bandura, un crespo di nylon prodotto dalla Bancroft. Sono gli anni in cui inaugura sempre a Milano, in via Corridoni, il suo ristorante Eat and Drink, in cui i richiami di un certo surrealismo si concretizzano con collane di pasta, fantasie tessili riproducenti salami o salsicce e bottoni in porcellana a forma di piatto ricolmo di spaghetti. Attraverso le collezioni Amanti (1967), Circo (1968), Gipsy Caravan (1969), Sport (1969), la prima sfilata dedicata alla moda maschile (1970), per giungere all’unisex (1970) e alla Kimonomania (1971-1972), conquistando nel 1968 anche un Oscar della Moda, Ken Scott attraversa la storia del costume internazionale con il piglio di un adorabile enfant terrible, determinato come pochi a trasformare le donne in giardini assolati e la moda in un coloratissimo gioco. 

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