Ken Scott:
stilista ma soprattutto inventore di un
mondo fatto di fiori spettacolari, intrecci vegetali, animal print e frutti
esotici. Un mix di fantasie volte a rappresentare la variegata realtà che
ci circonda e da cui lo stilista ha sempre tratto ispirazione per le sue
creazioni. George Kenneth Scott, in arte Ken Scott, è sicuramente portavoce di una moda semplice ed
essenziale nelle forme ma estremamente raffinata nelle stampe e nei colori,
veri elementi strutturanti su cui si fonda la sua visione stilistica. Americano
dell’Indiana, nasce a Forth Wayne da padre fotografo. A diciott’anni, complice
una spiccata passione per la pittura, s’iscrive dapprima alla Parsons School of
Design di New York e, subito dopo, alla selettiva Moses Soyer. Ben resto, frequenta atelier del calibro di quello di
William Hayter dove incontra artisti noti come Matta e Chagall, destinati a
rimanere gli amici di sempre. È il momento in cui ha occasione di conoscere
anche Peggy Guggenheim, la nota collezionista d’arte che nel 1944 organizzerà
appositamente per lui una personale di pittura. Nel 1946 si stabilisce
definitivamente in Europa e per la precisione in Francia. Agli inizi conduce
una vita bohémienne tra Parigi ed
Eze, località sulla Costa Azzurra dove affitta una casa che per tutta la vita
sarà il suo rifugio. Qui esordisce nel
textile design insieme a Joe Martin, realizzando pattern floreali per i più
noti produttori tessili francesi. È
suo il bozzetto conosciuto come Rose à
longue tige stampato da Abraham e scelto da Christian Dior per la sua
collezione d’alta moda primavera-estate del 1954. Un vero successo che lo
spinge a tentare nuove imprese e a porsi su nuovi mercati. Dopo aver viaggiato
per tutta l’Italia, nel 1955 approda a
Milano e apre uno studio in via Sant’Andrea: qui fonda con Vittorio Fiorazzo il
marchio Falconetto, azienda specializzata nel tessile stampato per arredamento.
La produzione di tessuti firmati
dall’artista rivoluziona subito il gusto di un’epoca che concepiva, sia per la
moda che per il design, stoffe non troppo distanti dalle classiche tinte unite
con sfumature smorzate. Oltre la particolarità dei disegni floreali stilizzati,
quello che stupisce di più sarà l’utilizzo di colori accesi e solari, insieme
all’imprevedibilità dei loro accostamenti. Presto le sue fantasie vengono adottate da molti nomi della moda
italiana come Veneziani, Biki, De Barentzen e da alcune griffe di lusso della Milano degli anni ’50. È così che esplode il fenomeno Ken Scott, che, con una
visione pionieristica, è il primo a stampare
motivi floreali su lana per abbigliamento. Dalle collezioni di tessuti a
quelle di foulard e sciarpe – e più in generale di abbigliamento – il passo è
breve. Dal 1962, infatti, inizia a
firmare linee di abiti e accessori a suo nome. Via Verri, via del Gesù, via
Bagutta, il laboratorio in via Cadolini fino allo show room in via Corridoni,
aperto su di una grande terrazza fiorita, sono le tappe significative delle
sedi milanesi e della sua evoluzione creativa. Dalie, ortensie, drappi di shantung di seta, twill, crêpe e taffetà caratterizzano le sue prime sfilate: ma saranno le
fibre innovative quali il jersey Ban Lon e il Qiana Dupont che lo renderanno
celebre come lo stilista della modernità e del colore. Anche le ovattate atmosfere degli anni ’60 della mitica Sala Bianca di
Palazzo Pitti saranno rivoluzionate dalla sua presenza colorata, attorniata da
modelle con vestiti-fiore elastici e indeformabili dalle tonalità più azzardate.
Promotore di passerelle-spettacolo nei luoghi più insoliti, dal tendone di un
circo sull’Appia Antica alle movimentate strade cittadine, provoca scalpore facendo danzare le sue indossatrici a tempo di musica
beat. Per le sue performance disegna
meticolosamente anche tutti gli accessori: dalle scarpe al cappello, dalle
borse ai bijoux fino agli occhiali, per dar vita a quel concetto di stile,
firmato Ken Scott, che permea ogni dettaglio, fenomeno antesignano del contemporaneo total look.
Negli anni ’70 propone, con grande seguito di pubblico, deliziosi
chemisier di maglia fantasia in cotone o lana con bottoni siglati dalle sue
iniziali oppure abiti da sera-sottoveste e beach-jamas con pantaloni a vita
bassa dalla chiara eco gitana. In quegli anni, vano è ogni tentativo
d’imitazione della sua rigogliosa e variopinta tavolozza: le composizioni Ken Scott hanno un carattere tutto particolare, non
riproducibile soltanto per mezzo di un azzardato accostamento cromatico. Colore
sì, ma che attiene a una precisa visione di vita da cui ne scaturisce una
determinata interpretazione. Il suo stile
rimane inimitabile anche grazie all’utilizzo di una tecnica di stampa a dodici
colori, molto più complessa rispetto a quella usata comunemente dagli
imprenditori tessili e dagli stampatori dell’epoca, che prevedeva un massimo di
sei passaggi di colore. Anche i suoi
inviti, le brochure, i comunicati stampa, i manifesti e le foto pubblicitarie
documentano una fantasia sfrenata, quintessenza di luoghi, tempi, emozioni e
suggestioni. Spettacolari i suoi
defilé: nel 1968, nei panni di un domatore, fa muovere le sue modelle come
felini, avvolte in cappe, tute, maxi abiti zebrati e leopardati; mentre nel
1972, al Piper, mostra la celebre collezione Findus, che inaugura sulla scena della moda italiana il filone
dell’arte figurativa pop. Angurie,
zucchine, uova fritte, cosce di pollo, asparagi e fragole trionfano su abiti da
giorno e da sera realizzati nei materiali più eclettici, tra cui spicca il
Bandura, un crespo di nylon prodotto dalla Bancroft. Sono gli anni in cui inaugura sempre a Milano, in via Corridoni,
il suo ristorante Eat and Drink,
in cui i richiami di un certo surrealismo si concretizzano con collane di
pasta, fantasie tessili riproducenti salami o salsicce e bottoni in porcellana
a forma di piatto ricolmo di spaghetti. Attraverso le collezioni Amanti (1967), Circo (1968), Gipsy Caravan
(1969), Sport (1969), la prima
sfilata dedicata alla moda maschile (1970), per giungere all’unisex (1970) e
alla Kimonomania (1971-1972),
conquistando nel 1968 anche un Oscar
della Moda, Ken Scott attraversa la storia del costume internazionale con
il piglio di un adorabile enfant terrible,
determinato come pochi a trasformare le donne in giardini assolati e la moda in
un coloratissimo gioco.
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