Nel
momento in cui si parla della nascita del made in Italy e della celeberrima
sfilata del 12 febbraio 1951 nella Sala Bianca a Firenze, a firma di Giovanni
Battista Giorgini, non si può non citare Emilio Federico Schuberth, sarto napoletano che ha
affermato e legittimato la moda italiana nella sua ragione d’essere.
Il suo tratto distintivo, lo stesso che
rimarca il suo stile, risiede nell’innato senso dello spettacolo e nella
sublime conoscenza sartoriale, ereditata dalla scuola napoletana. Muove i suoi primi passi negli anni ’30
presso l’atelier Montorsi, dove si occupa del settore biancheria,
ricorrendo all’utilizzo di raffinate combinazioni di seta e merletto. Nel 1938 decide di intraprendere la propria
strada, seguendo una vocazione per la moda che diviene sempre più impellente:
apre, così, un negozio di modisteria con la giovane moglie, in via Frattina. In
men che non si dica le richieste delle sue clienti si moltiplicano a vista
d’occhio, complice un sano passaparola, tanto da indurlo a inaugurare un
atelier di alta moda in via Lazio. Non è passato nemmeno un anno che si
trasferisce in via XX Settembre.
Il suo stile è unico: ama il lusso nel
tessuto e nei ricami e possiede un’abilità innata nel mescolare tecniche e
materiali. La sua, è una donna classica:
vita sottile, busto importante, spalle rotonde, ma, al tempo stesso, anche
molto romantica. La moda di
Schuberth è fastosa, vi si fondono elementi ottocenteschi e hollywoodiani.
Una caratteristica molto apprezzata da regine e star del cinema: celeberrimo e curioso l’aneddoto su Soraya,
per la quale – in fuga dalla Persia con lo Scià – aveva preparato, in una sola
notte, un guardaroba degno di un’imperatrice, per l’appunto. Cliente fisso è stato anche re Faruk
d’Egitto, che ha vestito da Schuberth le sue mogli e le sue amanti. Per Maria Pia di Savoia ha invece
realizzato una parte del corredo delle nozze. Ha vestito Brigitte Bardot e Martine Carol. È stato amato dalle
soubrette, divenendo l’artefice degli abiti per il “gran finale” delle riviste
musicali. Sono suoi gran parte degli abiti di Wanda Osiris, Elena Giusti,
Silvana Pampanini, Valentina Cortese, Lucia Bosé, Silvana Mangano e Lorella De
Luca. Sono state sue clienti anche Gina Lollobrigida e Sofia Loren.
Nel 1949 sfila a Palazzo Grassi nell’ambito
del Festival di Venezia, mentre il suo atelier diviene il luogo privilegiato di
frequentazioni di figurinisti e costumisti del calibro di Jon Guida, Costanzi,
Pascali, Pellizzoni, Balestra, De Barentzen, Lancetti, Guido Cozzolino, Ata de
Amgelis, Folco e Miguel Cruz. Non manca nemmeno il debutto sul grande
schermo: nel film Era lui sì, sì di
Metz e Marchesi del 1951, impersona se stesso mentre prova un abito
all’esordiente Sofia Loren.
Agli
eventi mondani, era solito presentarsi seguito da dodici indossatrici vestite
con le sue creazioni. Amava sfoggiare gioielli, non tanto per esibizionismo
quanto per calamitare l’attenzione dei media. Ha partecipato al popolare
programma televisivo Il Musichiere
sia come costumista che come protagonista, cantando Donna, cosa si fa per te.
Eclettico
al punto giusto per non disdegnare ogni forma d’arte, nel 1957 rafforza la sua vocazione per la moda, siglando per il mercato
americano e tedesco un accordo con Delia Biagiotti, madre della nota stilista
Laura, per l’esportazione dei suoi modelli pronti.
Sensibile
alla moda in tutte le sue forme d’espressione, decide di declinarla anche in
inconfondibili note olfattive, firmando il profumo Schu-Schu, la cui campagna pubblicitaria porta la firma
dell’indimenticabile René Gruau.
Nel 2011,
nell’ambito della 67esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di
Venezia, il docufilm fuori concorso “Schuberth
– L’atelier della dolce vita” a firma del regista Antonello Sarno ne
celebra l’estro e la grandezza, mostrandolo come uno dei personaggi chiave della
storia della moda italiana, antesignano delle più contemporanee accezioni di
stile.
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