Vi sono abiti che parlano: raccontano
di un’epoca, di uno stile, di mondi lontani e tempi andati. Abiti che nella
loro semplice resa formale racchiudono uno scrigno di significati, di rimandi e
ispirazioni, di visioni e interpretazioni. Abiti che solo alla loro
vista, proiettano la mente in un passato contestualizzato e identificato a tal
punto da poterlo distinguere nettamente nei meandri intricati della storia.
Perché l’abito – e quindi la moda – è
cultura, è una rappresentazione figurata d’istanze e valori sociali ben
definite, radicati in un popolo e consolidati nel tempo.
Ecco
svelata, pertanto, la sua indubbia valenza in ambito cinematografico:
contestualizzare un personaggio, caricandolo di tutte quelle particolari
valenze proprie del periodo che si va a mettere in scena. Il classico caso che,
per dirla tutta, smentisce una credenza ormai fondamento del pensare sociale e
ci pone di fronte a una semplice, quanto disarmante, presa di coscienza: nel cinema, l’abito fa il monaco.
È lui a dire, svelare, lasciar intendere, comunicare e trasmettere, a volte più
delle mere battute o della scena filmica in se. Regia e sceneggiatura, quindi,
si avvalgono dell’insostituibile prestazione del costumista per creare
un’armonica unitarietà d’intenti nella realizzazione di una pellicola,
rendendola indimenticabile nella sua interezza piuttosto che nelle sue singole
scene, madri o figlie che siano. Cosa sarebbe, infatti, James Bond senza
il suo celebre smoking? O ancora Audrey Hepburn in Colazione da
Tiffany senza il mitico tubino Givenchy? E il De Niro di Taxy
Driver senza giacca di pelle e camicia a quadrettoni? La mostra Hollywood Costume, visitabile al Victoria and Albert Museum fino al 27 gennaio, racconta
proprio questo: oltre cento abiti per oltre cento anni di film, per comprendere
in che modo nasce un costume geniale, in linea con la scena, la storia,
l’attore e il suo personaggio. Non
si parla quindi tanto di moda quanto di quel particolare tipo di fenomeno che
concorre a fare di un film un capolavoro. Pertanto, si va ben oltre la semplice
apparenza e si arriva a una vera e propria analisi del copione, dei personaggi
e del carattere dell’intera pellicola. I
costumi diventano così il traino figurato attraverso il quale rendere la psiche
del soggetto cinematografico, cogliendone ogni sfumatura e rendendola visibile
al grande pubblico attraverso la personalità dei protagonisti che, in gran
parte, corre lungo l’invisibile sentiero dei costumi indossati.
L’esposizione, quindi, non si
esaurisce a una mera sfilata, ma si spinge al di là dell’apparenza, per
arrivare a indagare il making of piuttosto che i risultato finale. L’allestimento già suggerisce tale finalità,
abbinando agli abiti un ricco apparato fatto di estratti di copione, veri e
propri studi del costumista sul personaggio e sulla storia, oltre a spezzoni di
film, musiche, interviste. Per risolvere l’annoso problema di come
richiamare alla memoria attore e personaggio, anziché optare per fantomatiche
parrucche, si è deciso di sostituire le
teste dei manichini con fotografie o monitor che ritraggono il volto, muto ma
animato, protagonista. In men che non si dica al visitatore – semplice
appassionato di cinema piuttosto che esperto cinefilo - saltano alla mente
ruolo e pellicola. La memoria viaggia così nel fascinoso mondo della storia
cinematografica, ri-scoprendo epoche e personaggi che riportano alla luce
aneddoti e curiosità, come, per esempio, la mitica Rossella O’Hara di Via
col vento che realizza un vestito con la tenda di casa. Da un grande
classico di simile caratura, si passa a generi ben diversi, come i costumi di Figth
Club, il vestaglione di ciniglia del Grande Lebowsky, il dark style
della Famiglia Addams, il country di Brokeback Mountain,
solo per citarne qualcuno. Fino ad arrivare ai regali costumi di Elizabeth:
The Golden Age, Marie Antoinette di Sofia Coppola e Le relazioni
pericolose, riuniti insieme nella sezione A Royal Romance. Si prosegue poi con l’area tematica Dialogue, dedicata a quei registi in dialogo con i costumisti: attraverso
film footage, materiali d’archivio e interviste ad hoc, Alfred Hitchcock, la mitica Edith Head e Tippi Hedren raccontano i
retroscena della loro collaborazione per il film Gli Uccelli; poco
più avanti, Tim Burton e Collen Atwood ripercorrono,
invece, le tappe del loro lavoro svolto in perenne simbiosi, da Edward Mani
di forbice (1990) ad Alice in Wonderland (2010).
A seguire, una vera e propria
passeggiata nella storia cinematografica, dal film muto fino ad Avatar:
un viaggio nel tempo che ripercorre le caratteristiche peculiari di ogni epoca,
di cui i costumi ne hanno sempre testimoniato con precisione e pertinenza le
istanze più simboliche. Si comprende, così,
in che modo il lavoro di costumista si sia adattato nel corso del tempo alle
richieste del pubblico e agli sviluppi tecnologici dei mezzi cinematografici.
Si scoprono i segreti del mestiere, racchiusi nell’utilizzo dei tessuti e dei
colori quando il cinema era ancora in bianco e nero; si ricordano alcuni
trionfi, come quelli squisitamente italiani di Cinecittà. Si spazia nei generi,
passando dal romanticismo di Camera con vista del 1986, alle avventure
di John Wayne, alle spade laser di Guerre stellari, fino ad
arrivare, per l’appunto, alla nuova tecnologia della CGI (computer generated
imagery), che, nonostante l’avanguardia, si serve del lavoro artigianale del
costumista.
Un
cammino intricato che porta alla sezione Gran
Finale. Come fosse un red carpet, ma molto più affollato, o il palco di
un teatro nel quale è stata rappresentata la storia del cinema hollywoodiano,
ecco apparire tutti i grandi assenti, fino a quel momento, della mostra. Ecco
quindi la Marylin Monroe di A qualcuno piace caldo, la Keira
Knightley di Atonement, il Javier Bardem direttamente dal set
di Non è un paese per vecchi, la Sharon Stone di Basic Instict,
la Uma Thurman di Kill Bill; e poi, Tony Manero, Austin Power,
Catwoman, l’Uomo Ragno arrampicato sul muro, Superman in volo, Batman
che scruta da una balaustra. Dai grandi salvatori dell’umanità si passa a un’intrigante
Nicole Kidman che si dondola sul trapezio di Moulin Rouge e a una
simpatica Dorothy/Judy Garland con il suo indimenticabile vestito
quadrettato e le sue scarpette rosse.
Una
mostra in cui protagonista è lui - il costume – inteso nella sua accezione più
sublime e rivalutato nel suo ruolo di qualificatore d’istanze e valori: un modo
per comprendere in chiave romanzata il lavoro del costumista, quintessenza di
ricerca storica, pazienza, precisione meticolosa, immaginazione, abilità
tecnica e comprensione psicologica.
Hollywood Costume
Londra, Victoria and Albert
Museum
Fino al 27 gennaio 2013
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