martedì 18 giugno 2013

ABOUT_Il twin set: gemellaggio di stile ed eleganza












Chi non ricorda Grace Kelly nelle due celebri pellicole di Alfred Hitchcock “La finestra sul cortile” (1954) e “Caccia al ladro” (1955)? In entrambe il regista inglese teorizza il suo modello di bellezza femminile: bionda, glaciale in superficie ma vulcanica nell’istinto, sofisticata nell’aspetto ma brillante nell’ironia. Qualità personificate dall’attrice in un mix di classe naturale e allure aristocratico. Assi nella manica accessori costosi (la Kelly bag di Hermès in primis), bijoux sobri e preziosi twin set.
Principe di uno stile elegante e lussuoso, dalla semplicità regale, il twin set è un accordo di due capi in maglia, dello stesso colore e filato, il primo una maglietta solitamente con le maniche corte, il secondo un golfino da chiudere con asole e bottoni. Progenie diretta degli scaldaspalle tricottati dalle donne contro il freddo delle notti invernali, assume l’aspetto attuale nel 1918. Sono gli anni ’30, però, a dargli una paternità griffata grazie all’ingegno di Otto Weisz, stilista di Pringle of Scotland. Negli anni ’50 il suo charme diviene di moda - complice l’adorazione di grandi dive come Grace Kelly, Lauren Bacall, Deborah Kerr e Margot Fontayn. Le signore per darsi un tono lo abbinano al filo di perle, mood ripreso dopo oltre mezzo secolo da Bree Van De Kamp/Marcia Cross in Desperate Housewives.
Le ragazze lo reputano fondamentale per il guardaroba del college, come illustrato da Pringle of Scotland in una pubblicità apparsa su Vogue nel numero di settembre del 1951 in cui madre e figlia sono complici nella vita e nel look. Nei 60s è l’apoteosi: ogni donna deve possederlo in cashmere in un degradé infinito di colori. Un must quelli indossati da Marella Agnelli e Tippi Hedren.
Nei 70s, quasi risentendo dell’atmosfera new hippy e della contestazione femminile, il cardigan si arricchisce di ricami e disegni jacquard, a scapito della semplicità pulita che tanto lo caratterizza. Proprio in questi anni Pringle of Scotland trova un diretto concorrente in Ballantyne - anch’esso scozzese - il cui twin set, indossato da Jackie Kennedy durante una passeggiata a cavallo, diviene un must have.
In rotta di collisione con l’ostentazione e l’opulenza degli anni ’80, l’immagine del twin set si appanna inevitabilmente e a tal punto da essere codificato come il capo di zie e zitelle. Ma una seconda giovinezza è all’orizzonte e nell’ultimo ventennio riacquista il suo antico splendore, complice una liaison amoureuse con il cinema: magnifico con Scarlett Johansson in “Black Dalia” (2006), dalle dolci sfumature per Reese Witherspoon in “Pleasantville” (1998), bon-ton quello di Mag Ryan in “C’è post@ per te” (1998), comodo e nelle tinte pastello per la poetessa statunitense Sylvia Plath/Gwyneth Paltrow in “Sylvia” (2003). Passando per l’austerità di quello indossato da Helen Mirren in “The Queen – La Regina” (2006) e il tripudio ostentato di “capi gemellati” nel prestigioso college di Wellesley del film “Mona Lisa Smile” (2003) dove la professoressa d’arte Katherine Ann Watson/Julia Roberts esorta le sue allieve a riscattare il ruolo di moglie imposto dalla società dell’epoca.
Con il twin set la maglieria si tinge di note eleganti, divenendo un capo complementare nel guardaroba di signore très chic. E se è vero, come afferma Suzy Menkes, che esso è il segnale che le donne di potere non devono più provare la loro forza vestendo abiti dalle spalle imbottite come quelle degli uomini, si faccia largo ai twin set, per gemellare eleganza e status, stile e concretezza, nell’affermazione quotidiana di un lusso semplice ma élitario. 

giovedì 13 giugno 2013

ABOUT_Il rossetto e la sua storia








Senza rossetto con te non ci parlo” affermava Isabella Blow, quasi a riconoscerne la sovranità nel regno del make-up femminile, eleggendolo il cosmetico par excellence. Un mix di pigmenti, oli, cera ed emollienti che rende glamour in semplici mosse, già solo nell’istante in cui lo si estrae poco per volta dall’astuccio e lo si applica sulle labbra.
5000 anni e non dimostrarli: questa la sua età. Una storia nata in Mesopotamia e proseguita tra le più nobili civiltà, passando per la Valle dell’Indo, l’antica Grecia, l’Egitto con Cleopatra e la sua formula a base di pigmenti di coleotteri e formiche, per arrivare a Poppea e al suo belletto derivato dal fuco, un’alga color porpora potenzialmente velenosa, e da sedimenti di vino rosso. Offuscato per ovvi motivi durante le invasioni barbariche e nel Medioevo (pena l’accusa di devozione satanica), il rossetto torna in auge col Rinascimento nella Firenze di Cosimo I (1519-1574) con la teoria che la bocca debba essere piccola, con labbra medie di color vermiglio. Spopola nell’Inghilterra di Elisabetta I (1558-1603), la quale ne possiede una ricetta segreta: cocciniglia, gomma arabica, albume e latte di fico. Una popolarità che tramonta all’inizio del XVII secolo quando viene giudicato uno strumento di contraffazione estetica, utilizzato per trovare marito: il Parlamento inglese vara una legge con cui processare per stregoneria le donne che, complici i cosmetici, hanno sedotto un uomo al punto da indurlo al matrimonio. Ma il barocco, con i suoi fasti pomposi, lo riporta in prima linea: a corte va di gran moda il trucco pesante, esasperato dalle altissime parrucche (Mme de Pompadour docet). Stesso clima nell’Inghilterra del tempo dove, secondo Sir Henry Beaumont, “..le labbra non devono essere dello stesso spessore..con un rosso vivace a colorarle..come un bocciolo di rosa che sta iniziando a schiudersi”. Un bocciolo che appassisce con i proibizionismi ottocenteschi, diventando appannaggio di prostitute e attori eccezion fatta per i benestanti che si permettono trasferte parigine nella maison Guerlain a comprare pomate per labbra.
Il ‘900 è la svolta: si realizza il primo astuccio metallico (1915); Max Factor inventa il trucco cinematografico (1914), introduce il lip gloss (1928), il primo pennellino applicatore (1929), Tru-Cola - rossetto a lunga durata (1940) - e tre nuances con cui soddisfare bionde, brune e rosse; Revlon lancia la prima pubblicità (1952). Inizia il sodalizio col cinema: Marlene Dietrich in “Disonorata” (1931) affronta il plotone di esecuzione rinfrescandosi il colore delle labbra; Lana Turner ne “Il postino suona sempre due volte” (1946) è la dark lady che, progettando di uccidere il marito con la complicità di John Garfield, muore tragicamente stringendo a sé l’alleato di bellezza; Elizabeth Taylor, prostituta d’alto bordo in “Venere in Visone” (1966), scrive “No sale” sullo specchio col rossetto; Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany” (1961), prima di recarsi nel carcere di Sing Sing, lo estrae dalla cassetta della posta insieme a uno specchio per darsi una ritoccata lampo. Con buona pace della paternità maschile di Jack Lemon e Tony Curtis in “A qualcuno piace caldo” (1959) e del trionfo di Tim Curry in “The Rocky Horror Picture Show” (1975) alle prese con guêpière e gloss. Sexy quanto Kim Basinger in “9 settimane e 1/2” (1986); settecentesco per Glenn Close ne “Le relazioni pericolose” (1988); d’alto bordo per Julia Roberts in “Pretty Woman” (1990); goloso con Juliette Binoche in “Chocolat” (2000); splendente come Nicole Kidman in “Moulin Rogue!” (2001). Iconico da conquistare il mondo della musica, troneggiando in svariati titoli: Lipstick Killers/New York Dolls, Lipstick Lies/Pat Benatar, Lipstick Vogue/Elvis Costello, Lipstick Sunset/ John Hiatt, Traces of my Lipsitck/Xscape. Iconico da divenire tacco per le décolletés di Alberto Guardiani. Un magnete di significati dal grido evocativo, immortale nel tempo e impassibile alle mode. 

venerdì 7 giugno 2013

LEISURE_Louis Vuitton et Les Journées Particulières










Saranno particolari le giornate che Louis Vuitton ha organizzato per i prossimi 15 e 16 giugno.
Fedele alla tradizione come poche altre realtà e consapevole di come essa rappresenti un inestimabile valore aggiunto, la Maison rinnova per quest’anno l’appuntamento con le “Journées particuliers”, sulla scia della passata edizione che ha consentito a oltre 100mila visitatori di scoprire il dietro le quinte e il patrimonio di 25 esclusivi luoghi in Francia e in Europa.
L’edizione 2013 ne potrà contare oltre 40, aperti gratuitamente in Francia – a Parigi così come nel resto del Paese –, Italia, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Polonia. Luoghi inesplorati, sconosciuti ai più e spesso meta di addetti ai lavori o di pochi e selezionati che vi possono scoprire segreti, curiosità e peculiarità. Un’occasione unica con cui si aprono i battenti al grande pubblico, coinvolgendolo in un’esperienza senza precedenti e dall’elevato impatto emozionale.
Anche quest’anno, come è stato per la scorsa edizione, i salotti di Christian Dior in Avenue Montaigne, l’atelier delle scarpe su misura di Berluti, la dimora di famiglia di Louis Vuitton e il laboratorio d’Asnières saranno visitabili. Insieme a loro, apriranno i battenti per la prima volta nuovi siti come la sede produttiva di Guerlain a Orphin (Rambouillet), il laboratorio di Vuitton a Marsaz nella provincia della Drôme, la tenuta viticola Numanthia in Spagna, Acqua di Parma in Italia. Dulcis in fundo, le Maison di Orologeria Zenith, Tag Heuer e Hublot in Svizzera.
Un evento unico e irripetibile nel suo genere, che celebra l’eccellenza artigianale delle Maison del Gruppo LVMH. Un patrimonio apprezzato dal pubblico, che si declina in tutte le sfumature del bien vivre – atelier, cantine, hôtels particuliers, dimore famigliari, boutique storiche, ecc. -, mostrando uno stile eterno e permeante ogni angolo dell’esistenza umana. Storia, cultura e senso dell’autenticità sono i capisaldi alla base di simili tesori, che rappresentano la quintessenza di una nobile tradizione artigianale, perpetuata e preservata nel tempo, e di un fattore distintivo di prima categoria, sia per le implicazioni economiche che per quelle occupazionali.
Le “Journées particulières”, pertanto, si pongono come un momento di celebrazione degli innumerevoli mestieri e del savoir-faire artigianale, dell’abilità manuale e dello slancio creativo che da sempre contraddistinguono produzioni senza tempo, destinate a solcare la storia, immutabili nel gusto e inconfondibili nello stile.
Valori che sono alla base dell’heritage delle Maison del Gruppo LVMH e che tuttora rappresentano dettami irrinunciabili, inorgogliendo 48mila dipendenti in Europa, di cui 22mila in Francia. Antoine Arnault, Direttore Generale di Berluti e Amministratore del Gruppo LVMH, non ha nascosto l’entusiasmo legato alla realizzazione di un simile evento, che si caratterizza per l’imprescindibile coinvolgimento di migliaia di artigiani e dipendenti dalle diverse mansioni – ma accomunati da uno spiccato senso di appartenenza e da un’unicità di valori – grazie ai quali il pubblico può scoprire la varietà del patrimonio e del savoir-faire trasmessi di generazione in generazione.
Una carica motivazionale con la quale le Maison del Gruppo LVMH hanno organizzato l’edizione 2013 dell’evento, allargando il raggio d’azione: la maestria prende vita e si dispiega nei suoi tratti essenziali, coinvolgendo in un’esplorazione emozionale dei segreti più autentici, in un mixi di mistero e tranquillità.

Journées Particulières
15-16 giugno 2013

giovedì 6 giugno 2013

LEISURE_Festival Filosofi lungo l'Oglio: al via oggi l'VIII edizione



Al via oggi l’VIII edizione del Festival Filosofi lungo l’Oglio, incentrato quest’anno sulla tematica Noi e gli altri. Un Simposio di Pensiero e di Parole; una manifestazione che, senza mai perdere la sua freschezza, torna ogni anno ad animare la valle resa feconda dal Sommo Vegliardo, il Fiume Oglio, mirando ad una fecondità di ordine superiore: offrire lezioni magistrali di alta divulgazione – tutte ad ingresso libero – su temi fortemente legati all’esistenza di ognuno, affidandone la disamina ai grandi maestri del pensiero contemporaneo e portando il filosofo in mezzo alla gente, nella consapevolezza che la diffusa richiesta di senso sia un bisogno sociale da soddisfare e da prendersi sul serio.
Un evento itinerante, in tour tra le province di Brescia e Cremona, nell’ambito del quale, fino al 25 luglio 2013, si susseguiranno relatori di elevata levatura, come vuole la tradizione, pronti a illuminare con le loro acute riflessioni quanti interverranno. Per il mondo francese torneranno, nella splendida cornice della Chiesa S. Maria del Carmine di Brescia, l’antropologo dei nonluoghi Marc Augé e la pensatrice Danielle Cohen-Levinas, nuora del grande filosofo Emmanuel Levinas. Per la scuola tedesca ha confermato la sua presenza uno dei massimi filosofi della religione, Bernhard Casper, vincitore con il suo volume: Das Dialogische Denken. Franz Rosenzweig, Ferdinand Ebner und Martin Buber (Alber 1967; 2002) tr. it. Il pensiero dialogico. Franz Rosenzweig, Ferdinand Ebner e Martin Buber (Morcelliana 2009) della Prima Edizione del Premio Internazionale di Filosofia/Filosofi lungo l’Oglio. Un libro per il presente. Interverrà poi il meglio del pensiero italiano: Salvatore Natoli, Maria Rita Parsi – rispettivamente padrino e madrina del Festival – Edoardo Boncinelli, Vanni Codeluppi, Duccio Demetrio, Massimo Donà, Umberto Curi, Massimo Cacciari, Francesca Rigotti, Remo Bodei, Adriano Fabris, Stefano Semplici, Piero Coda.
Domenica 16 giugno, inoltre, avrà luogo la cerimonia di proclamazione del vincitore della II edizione del Premio Internazionale di Filosofia/Filosofi lungo l’Oglio. Un libro per il presente. Il conferimento della prestigiosa benemerenza si terrà, a partire dalle ore 18, nell’Aula Magna del Centro Pastorale Paolo VI a Brescia, alla presenza dell’intera giuria composta dai Professori: Ilario Bertoletti – direttore editoriale Morcelliana e Scuola, Azzolino Chiappini – Magnifico Rettore della Facoltà di Teologia di Lugano, Adriano Fabris (Presidente) dell’Università di Pisa, Amos Luzzatto – Presidente emerito dell’UCEI, Aldo Magris dell’Università di Trieste, Salvatore Natoli dell’Università Milano-Bicocca, Maria Rita Parsi – Presidente Fondazione Movimento Bambino e psicoterapeuta e da Francesca Nodari, direttore scientifico del Festival e segretario del Premio.

In linea di continuità con le edizioni precedenti, quest’anno il Festival propone riflessioni strettamente legate all’esistenza di ciascuno, rinvenendo nella problematizzazione della relazione – dimensione costitutiva del rapporto che intercorre tra noi e gli altri – la sfida che il nostro mondo globalizzato pone o, se così si può dire, ripropone all’uomo del XXI secolo. Un mondo ove ad entrare in crisi sono le agenzie educative: la famiglia, la scuola, l’università; le grandi narrazioni della politica, delle ideologie, delle religioni e, da ultimo, e non certo per minor importanza, la crisi della comunità. Una temperie culturale dove la cifra dominante sembra quella del disorientamento del soggetto in preda, per usare un’espressione kierkegaardiana, a una sempre più impellente “disperazione della possibilità”. Lasciato solo dalle scienze – perlopiù permeate da una visione della realtà nei termini di un mero more geometrico – dinnanzi alla domanda cruciale “che cosa devo fare, come mi devo comportare in questa situazione?”; iperstimolato dai nuovi mezzi di comunicazione ove all’abbattimento delle distanze e all’accelerazione dei trasferimenti corrisponde un ulteriore sfasamento - con internet e i social media si può interagire in tempo reale, anche a distanza di migliaia di km - l’esserci rischia di cadere preda del cosiddetto paradosso della planetarizzazione. E il pedaggio da pagare per percorrere le autostrade informatiche, apparentemente attraenti e comode – in fondo basta sedersi davanti al proprio pc o disporre di un iphone per coltivare l’illusione di comunicare davvero col mondo – si traduce spesso in una pericolosa frantumazione della propria identità tra nicknames e profili immaginari, con un progressivo sconfinamento del reale nel virtuale.
Non si intende certo demonizzare le nuove possibilità della comunicazione, ma appunto di possibilità si tratta. Di mezzi e non di fini, di strumenti e non di mondi alternativi a quello in cui ci è dato vivere. Di qui la tentazione sempre più frequente di fuga dalla realtà con il risultato di ottenere l’effetto contrario a quello voluto: la soggettività, pervenendo sartrianamente ad una sorta di autoimprigionamento della propria coscienza, si consegna ad un’icona, ad un’immagine muta che si pone, si espone o addirittura si dà in pasto all’anonimato delle comunità virtuali.
Già qui la relazione è messa prepotentemente in scacco e, quel che è peggio, rischia di sostituire quella reale: chi c’è dietro quell’avatar, da dove viene, qual è la sua storia? Domande che, in molti casi, restano senza risposta o che forse l’homo consumans, immerso com’è nella liquidità odierna, neppure ritiene di porsi teso ad indossare, di volta in volta, maschere che riproducano certi modelli, perpetuino la finzione, promettano l’euforia a quelle che, ormai, come nota Bauman sono vite di corsa. Vite isolate, deserte ove la minaccia de La morte del prossimo, come avverte Luigi Zoja, sembra palpabile. Di qui l’urgenza di riflettere su noi e gli altri, sulla messa in crisi dell’uomo come animale politico e come essere parlante, ossia come colui che, per dirla con Natoli, coglie nella trama delle relazioni “un appartenersi e un appartenere a” e, insieme, come colui che presta ascolto a ciò che l’altro dice e che ascolta l’altro mentre questi si rivolge a lui e lo invoca.
Riflettere sulla relazione, quindi, è una sfida che richiede una tematizzazione di che cosa si deve intendere oggi per soggetto e per Altro, e dunque per umanità dell’uomo, per libertà, per volontà, per tolleranza, per rispetto, per convivenza civile e pacifica e che necessita, altresì, di essere indagata a partire da prospettive diverse: da quella antropologica a quella etica, da quella fenomenologico-ermeneutica a quella teologica, da quella sociologica a quella politica.
Una sfida che si deve affrontare senza alcuna possibilità di procrastinazione e che si afferma anche quando la si nega degradando, ad esempio, il tu ad esso. Di qui il darsi di una fenomenologia della relazione: come nasce? Quali sono le sue condizioni? In quali forme si esplica? E se l’individualismo, l’egoismo, il solipsismo ne decretano lo scacco, la prossimità, l’apertura ad altri - in quanto ne siamo debitori sin dal nascere- non ne favoriscono, al contrario, il suo instaurarsi concreto? Un instaurarsi che rinvia ad un’altra sfida, altrettanto urgente, quella del dialogo, che si declina in maniera plurivoca, attraversando trasversalmente le sfere del nostre essere in società con gli altri: con i genitori, con i figli, con il partner, con le vecchie e nuove generazioni, con chi ha usi, costumi e abitudini diversi dai nostri, con chi appartiene a un altro credo o, affermando la propria laicità, si apre all’incontro e al confronto con l’altro. Non si sottrae, ma al contrario, si mette in gioco, entra in relazione. Ma quali sono i luoghi del dialogo e in che modo se ne può favorire la pratica nella cosiddetta età del rischio? In che termini, oggi, attraverso il rapporto dialogico si possono “gettare ponti” tra gli uomini nell’ambito personale e comunitario, ma anche in quello della mediazione tra popoli e culture? Interrogativi che stanno alla base di un esistere plurale e condiviso.
Parlare oggi di noi e gli altri significa avere il coraggio, come ha mostrato Adriano Fabris nel suo illuminante volume TeorEtica, di portare alla luce ciò che nei luoghi classici del pensare risulta come l’impensato: il concetto di relazione, appunto. E di declinarlo attraverso il coinvolgimento del soggetto nella teoria e nella decisione morale. Coinvolgimento che va oltre la dimensione meramente psicologica, afferendo a qualcosa di strutturale, come ciò senza cui non si da relazione.
La teoria, anche nelle sue elaborazioni più alte, non è in grado di coinvolgere. Può convincere, può persuadere. La teoria non riesce a motivare all’azione. Se infatti so cosa è bene, non è detto che non faccia il male: ciò accade non tanto perché sono libero di comportarmi in modi diversi da quelli indicati dal sapere, piuttosto perché la teoria risulta davvero impotente sul piano della messa in opera di azioni responsabili. La teoria, pertanto, può dare il via ad azioni efficaci ed efficienti, basate, più o meno specificamente, sul principio di causalità. La motivazione della teoria, invece, è il controllo dei processi che essa ha spiegato. E questo controllo è fornito oggi dagli strumenti tecnologici. Ma ciò che manca, qui, è la messa in gioco di una responsabilità più ampia: quella che si assume il compito di realizzare i principi, che magari la teoria ha contribuito a chiarire, all’interno dell’agire quotidiano. Questa responsabilità deriva dal riconoscimento della struttura relazionale da parte di ciascuno di noi e dall’assunzione, riflessiva e libera, di tale struttura in ogni occasione del nostro agire. Ma non è tutto...intendendo dare una risposta fattiva al diffuso senso di indifferenza dinnanzi a tutte le questioni che riguardano le scelte fondamentali della nostra vita, la TeorEtica presuppone un concetto impegnato di teoresi e diffusivo di etica. Di qui il ruolo fondamentale giocato da questa fondazione del principio etico della relazione come relazione capace di promuovere relazioni.
E se è vero che solo le relazioni feconde sono relazioni buone, intendendo levinasianamente per fecondità “avere possibilità oltre ogni possibile, al di là di tutto il possibile”, questo Simposio di Pensiero e di Parole costituirà sicuramente un laboratorio in cui la filosofia della relazione viene esperita e messa in pratica. Una sorta di risposta all’inesauribile richiesta di senso, che è il bisogno quanto mai attuale della filosofia.

Festival Filosofi lungo l’Oglio – Noi e gli altri
VIII edizione
Dal 6 giugno al 25 luglio 2013, ore 21.15

Per il programma completo degli appuntamenti www.filosofilungologlio.it

Iniziativa realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con il Patrocinio del MIBAC, della Prefettura di Brescia, della Consigliera di Parità della Provincia di Brescia, dell’Assessorato Culture, Identità e Autonomie della Lombardia, delle Province di Brescia e Cremona, dei Parchi Oglio Nord e Sud nonché degli enti ospitanti e in partnership con la Fondazione Movimento Bambino