giovedì 16 maggio 2013

PEOPLE_Germana Marucelli, la donna che ha anticipato la moda






Germana Marucelli, stilista e sarta, è stata l’antesignana di quella moda italiana divinamente slegata dai dettami e delle influenze d’oltralpe. Una moda che rifletteva - e riflette tuttora – quelle caratteristiche inconfondibili quali artigianalità, savoir-faire, stile, raffinatezza e qualità, combinate con aspetti più pratici e confortevoli che consentono di sposare situazioni informali con il medesimo glamour destinato alle circostanze più rigorose e formali.
Insieme ad Elsa Schiaparelli è stata fra i pochi a cogliere la necessità di uno stretto rapporto tra moda e arte, tanto da essere arruolata ufficialmente nella compagine che il 12 febbraio 1951 prese parte alla celeberrima sfilata della Sala Bianca, organizzata da Giovanni Battista Giorgini. Germana Marucelli vi partecipa forte della sua tradizione ed esperienza sartoriale: il suo atelier milanese, infatti, poteva vantare già una certa celebrità, rappresentando non solo un luogo di moda e alla moda, ma anche un salotto artistico-letterario, crocevia di personaggi e cultura, dove il giovedì si riunivano poeti come Quasimodo e Montale, gli intellettuali più in vista del momento, architetti estrosi e versatili come Giò Ponti, pittori del calibro di Savino, Casorati, Gentilini e Campigli.
Donna dal profilo battagliero, intraprendente e determinata, ferma nelle sue idee e impermeabile alle correnti della moda spettacolo, aveva una passione smodata per le contaminazioni artistiche, reputandole alla base di una resa formale perfetta e, al tempo stesso, lungimirante, che sapesse quindi spingersi oltre la realtà apparente per scovare il significato più profondo di stili, tendenze, reminiscenze e tradizioni. Un amore respirato ed ereditato dalla famiglia, essendo figlia d’arte: la madre sarta a Settignano (suo paese natio), la zia Failla sarta famosa a Firenze. Da entrambe trasse insegnamenti e ispirazioni, lavorando nelle rispettive botteghe. In seguito è stata anche modellista, acquistando modelli e tele a Parigi per rivenderli alle sartorie italiane. Aveva un occhio e una memoria infallibili, grazie ai quali realizzava creazioni uniche sulla base di altre già esistenti.
Nel 1938 si trasferì a Milano, dopo aver diretto la sartoria Gastaldi di Genova e aprì un piccolo atelier in via Borgospesso, da cui però dovette sfollare a causa dei bombardamenti. Vi ritornò nel 1945, consolidando la propria visione dell’abito, che per lei divenne una vera e propria architettura, quintessenza di pittura (per il colore) e scultura (per la forma), in perfetta armonia con la donna persona.
Complice il fermento artistico del quale adorava circondarsi, nel 1947 con fervida lungimiranza anticipò il New Look, lanciato in seguito da Fath e Dior, e più tardi la linea Pannocchia, ossia il sacco parigino. Supportata dall’industriale Franco Marinotti, fondatore della Snia Viscosa, rilevò mura e archivio della storica sartoria milanese Ventura. Proprio in questi anni consolidò la sua alleanza con l’arte, entrando in contatto con personaggi del calibro di Capogrossi, Zuffi e Alviani: alle loro sperimentazioni cinetico-visuali si ispirò per abiti a corazza e a scudo, realizzati in leggero alluminio, anticipando così, ancora una volta, la moda che verrà e, in particolare, quella di Paco Rabanne. Un’alleanza di ispirazioni ma anche di lavoro: ogni collezione risultò essere la perfetta combinazione tra arte rinascimentale e avanguardia. Dalla linea Impero (1951) che guardava a Botticelli a quella Fraticello che puntava l’attenzione sulle delicate cromie del Beato Angelico, era un continuo andirivieni di reminiscenze artistiche e di costume, in un’armonica alternanza di valorizzazione e validazione. Un’arte a tuttotondo, che influenzò la sua moda in maniera inequivocabile: nel 1968 fu la volta della scultura e in particolar modo di Manzù, chiamato a dare suggestioni per la linea Vescovo. E poi ancora Mirò e Picasso per la collezione Astratta.
Germana Marucelli è stata una delle poche persone in grado di ideare, progettare e creare seguendo un fil rouge capace di coniugare, in un clima vivace come quello dell’epoca, ricerca intellettuale, pensiero e messaggio estetico. Negli anni ’70, quando Milano divenne capitale del prêt-à-porter, la sua creatività, singolare e universalmente riconosciuta, cominciò ad annebbiarsi di un alone di esclusività e di elitaria solitudine: la sua arte era troppo pura e autentica per poter mantenere e seguire il ritmo frenetico di quegli anni, la mutevolezza di sfilate e collezioni e il tamtam frenetico di una dispersione consumistica che non consentiva di soffermarsi sui dettagli salienti di un capo. Germana Marucelli, però, non abbandonò mai la sua vocazione, rafforzando la ricerca di tutte le possibili  contaminazioni tra arte e moda e realizzando abiti in perfetta sintonia con la persona, quintessenza di stile, creatività e cultura.

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