Dici
caftano e subito pensi ad atmosfere permeate di lusso e relax. La
memoria corre senza freni a icone indimenticabili come Talitha Getty,
immersa in una misteriosa Marrakech, e Diana Vreeland nel suo
appartamento Manhattan. Il capo forse più semplice del ben vestire femminile ma
che proprio in virtù di questa sua essenzialità – sinonimo di uno stile
ricercato e per nulla scontato – è tornato ad essere tra i cult
irrinunciabili della bella stagione, per inebrianti serate marittime piuttosto
che per appuntamenti glamour a base di bien vivre. I migliori – da Muriel
Brandolini ad Allegra Hicks a Yves Saint Laurent Rive Gauche
– si trovano in boutique. Altre versioni meno costose si possono trovare in
selezionati negozi etnici, dove sono acquistabili le tradizionali versioni
indiane o marocchine. Più o meno dispendioso che sia, il caftano ha quel
carattere di madeleine proustiana per cui rimanda alla mente quell’eleganza da
jet-set tipicamente anni ’60 e ’70: un mondo patinato al punto giusto, dalle
meravigliose atmosfere, popolato di bonnes vivants divenuti icone di uno
stile di vita devoto al più puro ideale estetico. Babe Paley e Marella
Agnelli docent in fatto di caftano: loro sapevano indossarlo come
nessun’altra…guardare le fotografie dell’epoca e trarre spunto da come lo
portavano loro può rappresentare un’ottima e autentica fonte di ispirazione. Indossato
con ballerine o infradito rimane sinonimo di un bohemien style de luxe,
abbinato invece a un prezioso paio di sandali-gioiello dal tacco alto sfodera
la sua natura più sensuale, complice la leggerezza dei tessuti con cui è
realizzato, i quali – impalpabili al tatto – accompagnano le movenze
femminili in un intrigante gioco di forme e simmetrie irregolari. Monili,
bracciali (etnici o a fascia che siano), bangles fanno il resto, arricchendolo
nel suo allure e contestualizzandolo alla sua antica discendenza.
Eh
già…perché, frivolezze a parte, il caftano nasconde un’anima nobile,
risalendo addirittura al Trecento, dove era un capo di abbigliamento
irrinunciabile nei Paesi del Medio ed Estremo Oriente, il cui clima
richiedeva necessariamente vesti fresche e leggere. Da allora il caffetano
- come veniva chiamato - ha solcato la storia di popoli e luoghi, culture e
tradizioni, per arrivare in Occidente inalterato nel suo fascino nella seconda
metà del novecento, proprio nel momento in cui scoppiava la divinazione per
tutto ciò che sapeva di Oriente. È l’epoca in cui il Signore della moda – Yves
Saint Laurent – si innamora di Marrakech: un amore che lo porta a reinventare
il modello tradizionale, trasformandolo in un capo d’alta moda da inserire in
collezione e far sfilare in passerella. Da lì in poi, questo celebre e antico
indumento diviene il simbolo del look boho chic. E per dimostrare che la
moda affonda in realtà radici ben profonde nella storia e nel costume dei
popoli, il nome stesso caftano e i suoi sinonimi nascondono interessanti
curiosità, mostrando segni d’appartenenza alle antiche civiltà che abitualmente
utilizzavano simili terminologie nel loro lessico quotidiano. Caftano
risulta essere di origine turca, ad indicare un’ampia veste con o senza
maniche, di solito lunga e voluminosa, la maggior parte delle volte di seta o
lino; Djellaba è di origine araba-egiziana e sta per la tradizionale
veste lunga e morbida indossata dagli uomini in Medio Oriente; Tunica è
invece di discendenza greco-romana e indica un indumento semplice da infilare,
che di solito arriva al ginocchio. Verrebbe quasi da dire a ciascun popolo il
suo nome…frase che attualizzata ai tempi moderni suona come “a ciascuno il suo
caftano”. Scegliamolo con la massima libertà: è un capo da osare e con cui
osare. Non fermiamoci quindi ai classici freni inibitori che scattano
nell’acquisto di un qualsiasi altro capo d’abbigliamento. Siamo di fronte a un
capo-non capo, per cui non valgono le solite regole di giudizio. Sbizzarriamoci
e divertiamoci: garantisco che soltanto una volta indossato se ne può
comprendere la sua magia. E da lì, provata una simile sensazione, si può solo
che andare avanti.
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