mercoledì 16 novembre 2016

ABOUT_C'era una volta...la sfilata



C’era una volta la moda, fatta di costumi, modelli, figurini e riviste specializzate. Un giorno, un agiato ed elegante signore italiano decise di metterla in scena, facendo sfilare modelle in carne e ossa con indosso le strepitose creazioni di altrettanto strabilianti couturier.
Correva l’anno 1951. In una Firenze dell’epoca, desiderosa d’imporsi nella scena del costume internazionale, avveniva la svolta forse più significativa nella storia dello stile universalmente intesa.
Ma procediamo con ordine…
Fino alla fine dell’800, le ultime novità in fatto di moda e tendenze, circolavano in Europa attraverso la stampa specializzata, i figurini, i dipinti che ritraevano le nobildonne e, difficile a credersi, le bambole. Quest’ultime, corredate di un guardaroba di tutto rispetto da fare invidia a una lady dell’alta società e talvolta realizzate a grandezza naturale, erano lo strumento di cui si servivano le sartorie per esporre al pubblico le proprie creazioni.
Il primo a infondere un segnale di cambiamento rivoluzionario nel comunicare le ultime tendenze è stato Charles Frederick Worth. Considerato il padre dell’haute couture, Worth introdusse innovazioni, quali l’utilizzo delle modelle, il concetto di collezione, l’etichetta firmata, fondamentali per identificare con precisione una creazione, tanto da passare alla storia, tra le altre cose, come primo trend setter, un termine – o per meglio dire, un concetto – poco usuale per l’epoca ma sicuramente chiave di volta per gli anni che sarebbero seguiti. A differenza del sarto, Worth non confezionava i vestiti, assecondando il gusto delle clienti: al contrario, egli stesso era arbitro d’eleganza, stabilendo quello che secondo lui avrebbe fatto tendenza nel senso del vestir bene femminile.
Le sfilate divengono così il segnale cruciale di un cambiamento profondo nel modo di produrre e comunicare la moda, caratterizzato da un graduale passaggio dall’abito identificato con un prodotto esclusivo, eseguito su commissione, confezionato in un unico esemplare, all’abito creato per una clientela numerosa – Worth vestiva le donne dell’alta società europea e americana – e quindi realizzato ricorrendo alla standardizzazione di alcune parti, alla limitazione della scelta del tessuto a una gamma di poche varianti e a una personalizzazione ristretta a semplici applicazioni.
Seguono gli anni della Belle Époque e la sfilata adotta un nuovo linguaggio per comunicare le ultime novità della moda. Nel 1912, Paul Poiret, organizza una tournée nelle principali capitali europee per presentare i suoi modelli. Fiero del successo e dell’apprezzamento riscontrati, l’esperimento viene ripetuto l’anno successivo negli Stati Uniti. Per la prima volta la sfilata esce dagli atelier e incontra il suo pubblico dal vivo, trasformandosi in un evento di grande effetto che richiede il coinvolgimento di specifiche professionalità. È l’inizio di un secolo, per l’Alta Moda parigina, costellato dalle sfilate-spettacolo, per le quali vengono prodotte collezioni ad hoc, ampiamente diverse da quelle realizzate per la vendita.
Ma è in Italia, nella patria dello stile e del buon gusto per eccellenza, quella che diverrà la culla del prêt-à-porter, che avviene la vera svolta. Qui la storia delle sfilate ha inizio per merito di Giovanni Battista Giorgini, uomo dell’alta società, caratterizzato per natura da un senso infuso dell’eleganza e del vestir bene. Sino ad allora le sfilate si sono svolte all’interno dei teatri o dei grandi magazzini, non riuscendo però a dare alla moda italiana quella giusta spinta alla conquista internazionale. Alla celeberrima sfilata del 1951, allestita nella Sala Bianca, per la prima volta assiste un selezionato pubblico straniero, composto da giornalisti e buyer dei principali department store americani. Per la moda italiana il 1951 rappresenta l’anno della consacrazione nella scena internazionale del costume: una conquista legittimata da rare doti, parti integranti del suo essere più profondo e che la distinguono per eccellenza e unicità.
Nel corso degli anni ’60 l’appealing delle sfilate fiorentine lentamente s’indebolisce. Le case di moda romane cominciano a servirsi anche del cinema come vetrina privilegiata in cui proporre le proprie creazioni, facendole indossare da star che diverranno icone di stile. Roma diviene così capitale dell’Alta Moda, mentre Firenze si specializza nella presentazione delle collezioni di boutique e maglieria, ospitando dal 1972 in poi Pitti Uomo, importante rassegna di abbigliamento e accessori maschili.
Proprio in quel periodo si registra un altro significativo cambiamento, paragonabile a quello del 1951: alcuni creatori di moda – Walter Albini, Missoni, Krizia, Ken Scott – lasciano le passerelle fiorentine per sfilare a Milano. In meno di un decennio il capoluogo lombardo diventa la capitale del prêt-à-porter. Nel 1979, il calendario degli appuntamenti di moda milanese si presenta articolato in tre eventi, almeno idealmente complementari tra loro: Milano Collezioni, vetrina in cui le griffe più prestigiose del settore presentavano le loro collezioni, Milanovendemoda di carattere squisitamente commerciale, e Modit, che si caratterizza per l’enfasi posta sul rapporto stilismo e industria.
Da allora ai giorni nostri le evoluzioni sono state continue e repentine, sempre e comunque votate all’esaltazione dell’eccellenza italiana. I nomi si sono susseguiti; i calendari si sono infittiti, scontrandosi spesso con quelli di altre manifestazioni internazionali; si sono sviluppate vere e proprie fashion week, quintessenza di sfilate, eventi collaterali e tendenze, volte a celebrare il saper fare creativo e produttivo; il timing si è scandito all’inverosimile, con l’introduzione di pre-collezioni, anteprima di quelle che saranno le tendenze delle successive linee creative.
Una summa esplicativa e concertata della moda nella sua complessità, tripudio d’idee, cultura e dettami stilistici.

Perché la moda parla: di sé, di noi e del nostro tempo. E ignorarla è inutile, se non addirittura impossibile.

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