L’estate 2012 vedrà il ritorno prepotente della stampa foulard. Per abiti, camicie, gonne, pantaloni. Si parla di ritorno perché come si può dimenticare la celebre collezione Miami di Gianni Versace datata anni ’80? Un caleidoscopico intrecciarsi di colori, un cocktail vitaminico di vitalità, una miscela effervescente di forme e leggerezze. Proprio come la spensieratezza di quei tempi…
E oggi? Oggi come allora… pochi giorni fa nel flagship store milanese della Medusa sembrava di respirare la stessa aria 80s, in un clima di euforico entusiasmo. Perché? Semplice: in vetrina trovavano sistemazione manichini interamente vestiti di camicie con stampe foulard. In un arcobaleno di colori: dalla classica combinazione nero/bianco/oro - triade must della maison - ad altre più variopinte e calorosamente anticipative dell’estate che sarà – azzurro/rosa/oro in testa. Camicie come camicie ma anche annodate in vita e reinterpretate a gonne, in un’enfatizzata celebrazione del capo che per antonomasia per gli archivi della maison ha da sempre significato foulard print.
Una premonizione svelata di quella che sarà una delle principali tendenze della prossima stagione? Ebbene sì…la primavera/estate 2012 sarà un trionfo di colori, vuoi forse il momento di crisi che investe il mondo intero, imponendo di lanciare ogni qual si voglia segnale di ottimismo. Quasi a portare una sferzata di slancio positivo e fiducioso, almeno nel nostro abbigliamento. E guarda caso lo fa strizzando l’occhio agli anni ’80, l’epoca dell’opulenza par excellence, della Milano da bere, della socialité très puissante, dell’ottimismo sfrenato. E lo fa recuperandone una delle note più intonate: il colore.
E allora apriamo le ante del nostro guardaroba al sole, anche perché abbiamo l’imbarazzo della scelta: D&G (la loro ultima collezione tra l’altro, per cui imprescindibile non poterne avere almeno un capo), Missoni, Matthew Williamson in testa.
Cara Anita, la notizia dell'inatteso ritorno della stampa foulard rimanda prepotentemente la mia mente ai freddi inverni milanesi di tanti anni fa, quando giovane e fiduciosa nel domani mi accingevo a debuttare in una società che, mio malgrado, portava già in seno i malesseri politici ed economici di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.
RispondiEliminaInverni freddi e nebbiosi, ma allo stesso modo elettrizzanti, perchè il grigiore metropolitano veniva sistematicamente penetrato da una continua fonte di luce e di colore, anticipazione, forse meno finta e più sentita, di un Natale che si preparava ad avvolgere la città in un'aura di festa per tutti.
Le vetrine delle boutique rapivano la mia attenzione con il bagliore dei gioielli e la prepotenza dei rossi e dei verdi, che oggi sembra impossibile ritrovare con la stessa carica di allora.
Ammiravo stupefatta i morbidi visoni argentati, gli abiti incrociati in lana, le bluse in ciniglia damascata dal taglio deciso, i severi gilet all'inglese, da portare sopra alle candide camicie in seta di Armani, così voluttuose con le loro ampie maniche...
E ancora le gonne plisettate a vita alta di Ferrè, magicamente abbinate agli stivali in canvas con il tacco alto ma largo, a garanzia di un comodo e sicuro appoggio in quelle giornate fredde, ma anche frenetiche.
Come dimenticare poi le fusciacche in raso, meglio se da legare in un ampio fiocco, o le borse tracolla in avana di Trussardi, ricchissime di scomparti, tasche e accessori a misura della donna in carriera, che non poteva rinunciare a portare con sè gli strumenti necessari al proprio look e alla propria professionalità.
L'incontro che mi fece prendere piena consapevolezza del mio gusto avvenne in un gelido pomeriggio di inizio dicembre del 1984, nell'esatto momento in cui il bagliore lattigginoso del giorno si prestava a lasciare il campo all'oscurità della sera, proprio quando le luci degli interni alimentano in modo decisivo la curiosità dei passanti.
Attraverso il vetro di un'indimenticabile boutique, all'angolo di un marciapiede umido e battuto da affrettati e sconosciuti passi, un paio di decolletè di Fendi, strabilianti nel contrasto tra il nero lucido della pelle e il rosso del tartan che impreziosiva la suola, gettavano nel mio subconscio un'ancora che mi trattiene intatta dopo più di 25 anni.
Tornando alla mia A112 blu scuro che avevo parcheggiato in una traversa defilata, sentivo in mè una consapevolezza nuova, quella spinta, forse innata e che tu ben conosci cara Anita, di vestire di stile ogni cosa che sappia raccontare di noi.
Azzurra Duse Parquati