“Habiter
une maison qui ne vous ressemble pas, c’est un peu comme porter les vêtements
d’un autre” era solito affermare Monsieur Christian Dior. Per lui, infatti,
era vitale che vi fosse una corrispondenza
tra gli spazi abitativi e la propria personalità, così come tra essa e gli
abiti indossati. Una concezione
artistica e architettonica, alla base di ogni sua ispirazione, sia nella moda
che fuori. È così, quindi, che si scopre un’ulteriore vocazione del grande
couturier, devoto al bello in tutte le sue accezioni.
In particolare, Monsieur Dior non ha mai nascosto il forte attaccamento alla casa
d’infanzia, fortificazione di ideali e valori per lui fondamentali per la
definizione del suo particolare percorso creativo. Un ricordo tenero e, al
tempo stesso, meraviglioso, che l’ha accompagnato per mano nel cammino della
vita, segnandolo in maniera inequivocabile.
A fianco della vocazione sartoriale, egli non ha mai perso di vista la fascinazione
per l’architettura: il gusto per le dimore e la decorazione, il senso de l’art de vivre e la passione per i quadri,
ne hanno forgiato lo spirito, inducendogli il culto del confort, del benessere,
della convivialità, del saper vivere…in poche parole, di uno stile di vita
raffinato e a lui ampiamente famigliare in quanto sperimentato proprio negli
anni della sua infanzia.
Uno
stile di vita che ha traghettato nel côté
creativo, cominciando proprio con l’emblematico indirizzo parigino: 30 Avenue
Montaigne. Nella sua Maison, egli ha trasferito dettagli precisi e
meticolosi, gli stessi che si possono ritrovare nei suoi abiti, generando una
perfetta commistione tra couture e personalità. Qui convivono lo stile e i
colori che hanno caratterizzato il periodo della sua infanzia trascorso nella
Ville Lumière: si tratta di un neo Luigi XVI, tipico degli anni compresi tra il
1900 e il 1914, tripudio di boiserie bianche, mobili laccati bianchi, tinture
grigie, porte in vetro intagliato.
Con i guadagni iniziali, Monsieur Dior compra la sua prima casa,
il mulino di Coudret, vicino Milly-la-Forêt: una vera
dimora rurale, nata dalla terra e per la terra, per la vita dei campi,
simile a quella in cui era solito trascorrere brevi periodi visitando i
parenti. Il mulino diviene ben presto il
suo buen retiro, in cui trovare
ispirazione per le collezioni nonché rifugio adorato dai suoi amici: Raymonde
Zehnacker, Mitza Bricard, André Levasseur, Marlene Dietrich, Jean Cocteau, René
Gruau. Una volta affermatosi come couturier, Dior capisce che è ora di
cambiare indirizzo, trovandone uno consono al suo nuovo status. Opta per un hotel particulier, situato in boulevard
Jules Sandeau, contemplato dallo stilista in tenera età dalla casa dei nonni
poco distante. “Riconobbi il balcone
con le colonne, che tanto aveva incantato i miei anni giovanili…aveva un giardino
d’inverno dove vidi, insieme, piante e fiori particolari come le kentia e le
peonie di Granville”. Questo spazio diventa per Christian Dior la
quintessenza delle sue preferenze in termini di gusto, su cui troneggiano la
moltitudine cromatica e le tele di Matisse. Qui è solito ricevere i suoi amici – Laurence Olivier, Vivien
Leigh, Henri Sauguet, Francis Poulenc, Boris Kochno, Denise Tual – attorno a un
tavolo, servendo loro menu e pietanze curate personalmente.
Acquista, inoltre, la proprietà della Collina Nera, vicina a
Callian.
Un luogo unico nel suo genere, ideale per ritirarsi un giorno, ritrovando,
sotto altre spoglie, il giardino che ha protetto (e influenzato) in maniera indelebile la sua infanzia. Un
sogno che, purtroppo, resterà tale. Tuttavia, questa dimora, attorno alla quale
il couturier in persona aveva dato vita a vigneti, come tutte le altre diviene
per lo stesso l’inizio della tanto idolatrata ricerca dei ricordi e della
creazione di quell’idillio giovanile.
Così, come i suoi abiti rinnovano ogni
giorno quello slancio vitale verso una femminilità eterna e una sensualità
rivisitata, allo stesso modo le sue dimore non sono tanto rivolte verso il
futuro quanto a un fedele recupero di un paradiso perduto.
È così che Christian Dior rivela il suo lato
proustiano, che vede nella ricerca del tempo perduto l’ideale di uno stile di
vita da riproporre nel futuro, prendendone le peculiarità e donando loro una
magica eternità protratta oltre ogni umano limite.
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