“Ho detto spesso che mi sarebbe piaciuto
inventare i jeans: il capo più spettacolare, più pratico e nonchalant. Hanno
carattere, modestia, sex appeal e semplicità – tutto quello che spero esista
nelle mie creazioni”: questo, forse, il rammarico più forte di Yves Saint-Laurent che, se anche non ha
inventato i mitici jeans, ha in ogni caso segnato in maniera
indelebile la storia del costume e della couture.
Rimpianti
celebri a parte, i jeans nella loro
essenzialità rappresentano valori emblematici come sincerità, autenticità,
coscienza del proprio corpo. Nell’universale spettro del visibile che
contempla tutte le gradazioni dell’azzurro denim, griffati o meno che siano,
disegnati o ricamati, racchiudono sempre
la giusta dose di poetica rudezza che li contraddistingue da decenni,
rendendoli immortali. E se ufficialmente esiste una data per festeggiare il
loro compleanno – 20 maggio 1873,
quando l’ufficio americano dei brevetti
rilascia al commerciante Levi Strauss e al sarto Jacob Davis l’autorizzazione a
produrre in esclusiva pantaloni di cotone robusto tenuti insieme da rivetti
metallici – la loro origine è italiana. Il loro nome, infatti, deriva dalla storpiatura di “Genova”, dove
venivano tagliati e cuciti per i marinai che, dovendo traversare in lungo e in
largo mari e oceani, richiedevano abiti in tessuti robusti, realizzati con la
tela cobalto proveniente dalla città francese di Nimes, “de Nimes”, da cui deriva la parola “denim”.
Tutti ne possiedono almeno un paio
nell’armadio, da alcuni sono addirittura considerati un modo di vivere, da
altri il capo passe-partout in grado di risolvere ogni inconveniente
vestimentario, da altri ancora un oggetto di culto, inviolabile nel suo valore
più autentico, e infine non mancano quelli per i quali sono una moda
permanente, una sorta di evergreen imperturbabile allo scorrere del tempo e
delle stagioni. Tanto permanente da essere arruolato ufficialmente per la campagna pubblicitaria USA della MasterCard,
noto marchio di carte di credito, dove le foto di tre icone rigorosamente in
jeans per l’appunto – Marlon Brando,
James Dean e Marilyn Monroe –
sono utilizzate per lo slogan: “Trovare
il jeans perfetto? Non ha prezzo”. Un’autorevolezza a tuttotondo, che pone
in risalto il lato oscuro del denim,
ossia quello di esaltare la seduzione e rivestire il desiderio:
dall’adolescente Brooke Shields che
sussurrava in uno spot per Calvin Klein “Cosa
c’è tra me e i miei Calvin? Assolutamente niente” alla parata in blu che
accompagnava i motti culturali anti-convenzionali degli anni ’70 e ’80. Andy Warhol nel 1971 firma un close-up
di jeans maschile, con tanto di cerniera funzionante, per l’album Sticky Fingers dei Rolling
Stones, il cui leader, Mick Jagger,
pochi anni prima aveva fatto da testimone di nozze al matrimonio tra Catherine
Deneuve e David Bailey completamente vestito in denim.
Le
eroine del serial Charlie’s Angels
ne fanno la loro divisa; si propone sportivo, invece, sulle gambe scattanti di Kelly McGillis in Top Gun (Tony Scott, 1986), aderente per Thandie Newton in Mission:
Impossible 2 (John Woo, 2000), folk firmato Dsquared nel 2000 per il video Don’t
tell me di Madonna e modaiolo
per Anne Hathaway ne Il diavolo veste Prada (David Frankel,
2006). Anche se, meritatamente, le apparizioni cinematografiche più celebri e
indimenticabili restano quelle di Marilyn
Monroe: dalla sexy ma fragile Kay, la cantante di saloon de La magnifica preda (Otto Preminger,
1954) alla bella e ingenua Roslyn ne Gli
spostati (John Huston, 1961). In entrambi i casi, i jeans esaltano le forme,
mettendo in risalto però, al contempo, la personalità e l’autenticità della
persona. Un capo d’abbigliamento che, per così dire, si spinge oltre il
personaggio, per andare a scovare le inclinazioni più nascoste e celebrarle con
l’onnipotenza visiva e immaginifica che solo un paio di jeans può garantire, restando
inalterata nel tempo e proponendosi sempre nella fulgida essenza di informale
formalismo.
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